Di byebyeunclesam

La Turchia di Gul e l’AKP di Erdogan hanno cacciato il 2 Settembre l’ambasciatore di “Israele” Gabby Levi.
Al provvedimento di espulsione Ankara aggiungerà la denuncia dello Stato sionista alla Corte dell’Aja, la decadenza di qualsiasi fornitura militare tra i due Stati, la immediata cessazione di ogni collaborazione nel campo culturale e scientifico e la chiusura di porti e aeroporti a navi e velivoli, militari e civili, con la “stella di David”.
Dopo aver ribadito il pieno diritto di navigazione della Turchia nel Mediterraneo centrale fino al limite alle acque territoriali di “Israele”, riconosciute a 12 miglia contrariamente alle 120 rivendicate dai governi di “Gerusalemme” e libertà di approdo per le sue navi mercantili sulle coste di Gaza, il ministro degli Esteri Ahmet Davutoglu, annunciando la rottura dei rapporti diplomatici con il governo Netanyahu, ha inteso precisare che le decisioni adottate dal governo Erdogan fanno parte di un primo pacchetto di provvedimenti contro “Gerusalemme”.
Fonti ufficiali di Ankara il 3 Settembre, dal canto loro, hanno dichiarato al quotidiano Hurriyet che “non ci sarà più posto nel Mediterraneo dove le forze navali di Israele possano esercitare il bullismo senza fare i conti con la marina militare e la difesa aerea turca”.
In particolare, le navi militari di Ankara scorteranno tutte le imbarcazioni civili che porteranno aiuti a Gaza e garantiranno la libera navigazione nelle acque tra “Israele” e Cipro, dove i due Paesi conducono operazioni di ricerca di petrolio e gas senza riconoscere al Libano eguali diritti.
“Stiamo scegliendo – hanno inoltre confermato dal Ministero degli Esteri turco – una data utile perché il premier Tayyip Erdogan possa recarsi in visita ufficiale nella Striscia di Gaza”.
Ahmet Davutoglu inoltre aggiungerà: “E’ ora che Israele paghi per le sue pretese di stare al di sopra delle leggi internazionali”.
I media occidentali hanno artificiosamente declassato l’importanza e i significati, anche geopolitici, della rottura delle relazioni diplomatiche tra la Turchia e “Israele” con l’intento di nascondere il progressivo isolamento con cui lo Stato sionista deve fare i conti nell’intera Regione del Vicino Oriente, al di là di qualche sotterranea complicità tattica con la screditatissima e traballante monarchia ereditaria di Giordania o con certi sultanati, alla bancarotta, del Golfo Persico.
Un Paese, “Israele”, scosso da 53 giorni di oceaniche manifestazioni di protesta contro il governo Netanyhau che taglia le risorse a casa, istruzione, assistenza sanitaria e retribuzioni per mantenere in condizioni di permanente emergenza un apparato bellico in piena crisi di credibilità dopo la guerra al Libano del 2006 e ormai ridotto a usare la sua forza militare unicamente nella spietata, sanguinosa, repressione contro il popolo palestinese in Cisgiordania e nella Striscia di Gaza. Le profezie contenute nella Bibbia ebraica su Eretz Yisrael promessa da Yahweh ai discendenti di Abramo non si sono avverate, come si sono dimostrate irrealizzabili le aspirazioni di “Gerusalemme”, e delle Amministrazioni USA, alla edificazione di un nuovo Grande Medio Oriente sotto il tallone di Tsahal.
Un isolamento aggravato dalla recente caduta dell’”alleato” Hosni Mubarak, che costringe lo Stato sionista ad allargare le misure di “sicurezza” sull’intera fascia di confine con il Sinai e a rinunciare forzatamente al 40% delle sue necessità energetiche, con il blocco dell’approvvigionamento di metano dalle stazioni di pompaggio di Al Arish.
Una gigantesca fornitura durata oltre 30 anni, a costi inferiori alla metà del prezzo internazionale di vendita.
Il “ritardato aggiornamento” dei listini durante l’intera “presidenza” Mubarak ha prodotto decine di miliardi di dollari di mancati introiti per l’Egitto. Nelle elencazioni delle accuse mosse dai giudici all’ex “rais”, in gabbia nel salone cerimonie dell’Accademia di Polizia, c’è anche questa flagrante “omissione”. La riapertura del valico di Rafah e le folle egiziane in tumulto sotto l’ambasciata di “Gerusalemme” al Cairo sono segnali altrettanto inequivocabili del crescente logoramento nei rapporti tra l’Egitto e “Israele”.
La morte di 5 militari egiziani falciati dal mitragliamento di un Apache dell’IDF nel Sinai il 18 Agosto, come risposta all’attacco di non meglio precisate formazioni “terroristiche” ad Eilat, ha contribuito ad alimentare, a livelli di guardia, lo stato di tensione lungo la fascia di frontiera dei due Paesi.
E’ di queste ore la notizia della costruzione di un muro di cemento lungo 100 metri e alto 3 davanti all’edificio che ospita l’Ambasciata dello Stato sionista al Cairo.
Torniamo all’apertura del 5° fronte per il governo Netanyahu.
La pubblicazione del rapporto Palmer, anticipata dal New York Times prima della sua presentazione ufficiale al Palazzo di Vetro prevista per la metà di Settembre, che riconosce la legittimità del blitz di “Gerusalemme” contro la Freedom Flotilla, è stata per la Turchia la goccia che ha fatto traboccare l’acqua dal vaso.
 Davutoglu dichiarando il documento, non irricevibile, ma “inesistente” finirà per mandare un pesante avvertimento anche alla plateale parzialità espressa dalla Commissione messa in piedi dal Segretario Generale Ban Ki Moon.
Il rapporto di 105 pagine che porta il nome dell’ex premier neozelandese, incaricato di accertare le dinamiche che portarono i commandos di Tsahal ad assaltare, a 75 miglia dalle coste di “Israele”, la Mavi Marmara battente bandiera turca, a uccidere a colpi di arma da fuoco alla testa e al torace 18 attivisti per la pace della stessa nazionalità e uno con passaporto USA, a ferirne altre decine, a sequestrare i carichi alimentari e farmaceutici destinati ad alleviare le condizioni di vita di 1.550.000 residenti a Gaza per il blocco terrestre e navale attuato dallo Stato ebraico, a scortare sotto controllo militare nel porto di Ashod le imbarcazioni abbordate e a identificare e trattenere coattivamente a terra, in stato di fermo prolungato, oltre 500 volontari della spedizione, non poteva non creare, prima o poi, le oggettive condizioni per una durissima risposta da parte del governo di Ankara.
La diffusione del rapporto Palmer, rinviata tre volte nel corso del 2010 e nei primi sei mesi del 2011 per le pressioni esercitate sui componenti della commissione internazionale dall’ambasciatore USA all’ONU Susan Rice, certificherà a conclusione dell’inchiesta il pieno diritto di “Israele” all’intervento armato contro un convoglio mercantile in acque internazionali e a infliggere una protratta “punizione collettiva”, per fame, malattie e malnutrizione, al popolo palestinese, riconoscendo di fatto come perfettamente legale l’assedio terrestre e navale alla Striscia di Gaza.
Le unità d’assalto anfibie dell’Israeli Defence Force verranno dichiarate dal rapporto Palmer unicamente responsabili di un uso “non proporzionato” della forza. Dal canto suo il governo Netanyahu si rifiuterà di presentare “scuse ufficiali” alla Turchia.
La ruggine uscita allo scoperto a Davos tra il primo ministro turco Erdogan e il presidente di “Israele” Peres a distanza di 24 ore dalla conclusione del massacro su larga scala – 1.587 morti tra anziani, giovani, donne, bambini e combattenti, di 5.786 feriti di cui 436 da zero a sei anni, oltre alle distruzioni di abitazioni e infrastrutture che verranno successivamente quantificate in oltre 3 miliardi di dollari – attuato da “Israele” nella Striscia di Gaza con l’operazione “Piombo Fuso” tra il 27 Dicembre 2008 e il 18 Gennaio 2009, l’attacco di USA e NATO alla Jamahirya per la “afghanizzazione” del Paese che riserverà enormi “sorprese” agli aggressori, quello attuale, verbale e sanzionatorio, di Sarkozy, Cameron e Unione Europea alla Siria di Assad e all’Iran di Ahmadinejad, nonché il perdurante stallo dei “negoziati” tra Al Fatah e “Gerusalemme” stanno lentamente trascinando l’intera Regione del Vicino Oriente verso l’abisso di una guerra su vasta scala.
Giancarlo Chetoni

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