DALL’ATTENTATO DI TEHERAN AL PETRODOLLARO
Ieri un commando delle milizie di Daesh ha fatto irruzione nel Parlamento della Repubblica Islamica dell’Iran facendo strage di civili. Gli assalitori sono stati prontamente uccisi e catturati dai Pasdaran, le milizie iraniane della rivoluzione khomeinista. E’ la prima volta che il terrorismo salafita colpisce direttamente all’interno di quello che nel mondo Occidentale viene additato come stato “canaglia”. L’Iran è da sempre considerato il nemico per eccellenza dal “cartello del Petrodollaro”, ovvero da quel sistema di potere trasnazionale nato subito dopo la fine degli accordi di Bretton Woods, con cui il 15 Agosto del 1971 il Presidente americano Richard Nixon dichiarava la fine della sistema monetario a riserva aurea, il Gold-Dollar-Standard. Infatti nel 1972 gli americani siglarono con l’Arabia Saudita l’accordo del Petrodollaro che sanciva il primato della divisa stampata dalla Federal Reserve sull’approvvigionamento energetico mondiale: da quella data in poi, chiunque deve comprare petrolio dai Sauditi o dai paesi OPEC può farlo esclusivamente pagando l’Oro Nero in dollari. In poche parole: se vuoi che il tuo Paese avanzi tecnologicamente deve necessariamente acquistare petrolio, per fare questo occorre pagare il pizzo alla Federal Reserve utilizzando la loro moneta. In virtù di questo accordo internazionale gli USA hanno potuto mantenere il loro primato di superpotenza mondiale, continuando ad inondare i mercati di tutto il pianeta con il biglietto verde. Contando su Bretton Woods prima e sull’accordo con le Petromonarchie poi, la Federal Reserve ha indebitato il mondo intero.
ANOTHER BRICS IN THE WALL
Ad opporsi al signoraggio del petrodollaro oggi ci sono i cosidetti BRICS, ovvero stati nazionali come Brasile, Russia, India, Cina, Sudafrica e tanti altri (tra cui Iran, Siria etc) che da anni cercano di costruire un mondo “multipolare” che si oppone alla visione monopolista, imperialista, “unipolare” degli USA. Ed è in questo quadro che siamo chiamati a leggere gli eventi dei giorni nostri. Non possiamo comprendere le guerre d’aggressione in Siria, in Libia, in Afghanistan, in Iraq e in tante altre parti del mondo se non focalizziamo l’attenzione sullo strumento che regola tutti i rapporti tra gli stati: la moneta. Concretamente, i paesi non allineati sono da tempo impegnati a trovare reciproci accordi di collaborazione e cooperazione che permettano alle rispettive economie di fare a meno del biglietto verde. E’ così che nascono accordi e protocolli commerciali come Oil for Gold tra Iran e Cina (accordo che prevede la vendita di petrolio iraniano con la garanzia dell’oro cinese), o l’accordo del Santo Graal tra Mosca e Pechino (accordo che vede la costruzione di un gasdotto diretto tra i due paesi per lo scambio di “oro blu”) e tanti altri. Imponenti economie mettono sempre più da parte li dollaro e propongono a molti paesi di scambiare i rispettivi prodotti con le divise nazionali. E’ così che entra in crisi la moneta americana: quando una grande quantità di denaro non viene più utilizzata perde progressivamente il suo valore. L’Euro è una moneta coloniale, dipende in tutto e per tutto dal dollaro. Quando gli imperi entrano in crisi i primi a risentirne sono proprio le colonie periferiche: ed è così che la crisi del dollaro si ripercuote nella colonia Europa, e all’interno della colonia Europa gli stati a loro volta più periferici sono i primi a pagarne le conseguenze: Grecia, Spagna, Italia etc.. La “madrepatria” scarica la crisi della sua moneta sulle colonie.
LA TIGRE CINESE E L’ALBA DEL PETROYUAN
Secondo Blomberg News nel 2017 la Cina ha superato gli USA nell’importazione di Petrolio , con l’inevitabile conseguenza di poter fare sempre più la “voce grossa” con i paesi produttori. E’ una dura legge di mercato: il cliente più importante viene trattato con più riguardo. Leggiamo dal sito http://reseauinternational.net/la-chine-entame-une-nouvelle-etape-dans-la-destruction-du-dollar-le-petro-yuan/ *:
“Mentre la Cina importa sempre più petrolio, l’idea di pagarlo in yuan e non in dollari è sempre più cruciale. La Cina non vuole utilizzare dollari per comprare petrolio, così comincia a premere sui sauditi sulla natura del denaro da utilizzare nelle operazioni per il loro petrolio. La Cina lo fa abbassando regolarmente l’acquisto di petrolio dai sauditi. Allo stato attuale, i tre maggiori fornitori di petrolio della Cina sono Russia, Arabia Saudita e Angola. Dietro questi tre fornitori v’è una combinazione di fonti, con Iran, Iraq e Oman che contribuiscono a diversificare gli approvvigionamenti di petrolio della Cina. Negli ultimi anni, la Cina è passata ad acquistare petrolio al di fuori dell’Arabia Saudita, e le esportazioni di petrolio della Russia sono aumentate dal 5% al 15% del totale della Cina. La Cina importa più petrolio da Russia, Iran, Iraq e Oman; e meno dall’Arabia Saudita. La quota delle importazioni cinesi dall’Arabia Saudita è scesa da oltre il 25% nel 2008 a meno del 15% attuale. Nel frattempo, i concorrenti dei sauditi, Russia, Iran, Iraq e Oman, vendono più petrolio alla Cina. L’Arabia Saudita vuole invertire la tendenza al ribasso nel commercio di petrolio con la Cina. Tuttavia, questi grandi flussi di petrolio non si verificano nel vuoto. C’è una buona ragione per cui le vendite di petrolio russo alla Cina aumentano. Come vedrete nell’articolo di Nomi, commercio e servizi finanziari sono spesso strettamente legati. Negli ultimi anni, la Cina ha rafforzato i rapporti commerciali con la Russia; oggi la Cina paga il petrolio russo in yuan. La Russia, a sua volta, usa lo yuan per comprare merci dalla Cina. Oltre agli scambi di merci, negli ultimi sei mesi la Russia ha istituito una filiale della Banca di Russia a Pechino. Quindi, la Russia può utilizzare i suoi yuan cinesi per comprare oro sulla Borsa di Shanghai. In un certo senso, il commercio del petrolio sino-russo è ora sostenuto dal “gold standard”. In futuro, l’Arabia Saudita sarà sempre più esclusa dal mercato petrolifero cinese, se non vende il petrolio in yuan. Ma per farlo, i sauditi devono allontanarsi dal dollaro USA e dai petrodollari, se vuole mantenere e aumentare l’accesso al mercato del petrolio della Cina. Ne sapremo di più sulla probabilità di tale scenario dopo il tour di Donald Trump in Medio Oriente. Se l’Arabia inizia ad accettare yuan per il petrolio, tutte le carte saranno contro i petrodollari. I petroyuan cambiano le dinamiche monetarie dei flussi energetici globali. Credo che il dollaro USA sarà gravemente indebolito con questa nuova fase.
Gran parte delle informazioni sul petroyuan è pubblica. Eppure, per qualche strana ragione, c’è una forma di cecità nei politici e media occidentali sulle implicazioni del petroyuan. L’idea è così “assurda” che molti politici preferiscono ignorarla. L’evitano in modo totale. Ma potrebbero svegliarsi una mattina nel bel mezzo di una massiccia crisi valutaria in cui il valore del dollaro è in calo e il prezzo in dollari del petrolio alle stelle. Jim e io consigliamo vivamente di destinare il 10% del vostro portafoglio ad investimenti sui metalli preziosi.”
E L’EUROPA?
Ecco perché, di fronte a questo processo ormai irreversibile, il peccato più grave della UE è quello di continuare a fare gli interessi USA attuando politiche ostili alla Russia di Putin che trovando le porte chiuse ad occidente è costretta a guardare ad oriente. Il passaggio dal dominio del Dollaro a quello dello Yuan pone molti, moltissimi dubbi, e un grandissimo rammarico: ancora una volta l’Europa manca il suo appuntamento con la storia e rinuncia al suo ruolo primordiale, quello di essere centro di equilibrio tra oriente e occidente. Ma ciò sarà possibile soltanto se il Vecchio Continente si sveglierà e si libererà dalle lobby che se ne sono impossessate. Abbiamo disperato bisogno di un’Europa libera e riunificata con una delle sue figlie: la Russia.
twitter @francescofilini
Vedere pure:
http://www.rapportoaureo.it/il-piano-segreto-tra-la-merkel-e-putin-che-non-piace-ad-obama/
http://www.rapportoaureo.it/trump-il-petrodollaro-la-russia-e-renzi-che-non-e-piu-tanto-sereno/
*Traduzione disponibile qui