Le ultime parole del Capo della Polizia Franco Gabrielli sollevano non poche perplessità: è forse giunta per l’Italia l’ora degli attacchi terroristici da parte dell’ISIS?

In due interviste a “Il Giornale” e al “Quotidiano Nazionale”, il Capo della Polizia di Stato, Dott. Gabrielli, ha rilasciato dichiarazioni che lasciano, sinceramente, alquanto perplessi e sbigottiti su eventuali e futuri attentanti terroristici di matrice islamica (Isis) sul territorio italiano.

“Lo dico in maniera molto cruda: prima o poi anche noi un prezzo lo dovremo pagare. Ci auguriamo sia quanto più contenuto possibile, noi dentro a quella minaccia ci siamo. Le indagini, spesso successive ai rimpatri, hanno dimostrato che buona parte delle persone fermate nel nostro Paese perché considerate vicine all’Isis stava realmente per compiere attentati e fare morti. Questo, però, non deve toglierci la nostra libertà. Saremmo sconfitti solo se ci lasciassimo condizionare nella nostra quotidianità“. Ha del paradossale che il Capo della Polizia che ha come compito primario la tutela dei cittadini e la prevenzione del crimine, faccia determinate dichiarazioni che suonano come ammissione di debolezza se non di completa inefficacia di fronte alla minaccia di attentati terroristici.

Solo qualche giorno fa abbiamo esaltato – giustamente – quando gli agenti di Polizia e l’intero sistema di sicurezza della Repubblica che a Sesto San Giovanni hanno fermato l’attentatore di Berlino, Anis Amri. È stata una prova eccellente dell’efficacia del nostro apparato di sicurezza interna, ed è proprio alla luce di ciò che ci riesce difficile trovare la ratio nelle dichiarazioni del Prefetto Gabrielli che potrebbero fomentare panico tra la popolazione dando adito alle “teorie complottiste”.

Dopo la cocente sconfitta del terrorismo islamista in Siria – che sia Daesh o al-Nusra poco importa, obiettivi e finanziatori sono gli stessi – sono ripresi gli attentati terroristici in Europa (Germania) e nei paesi suoi alleati (Turchia), e il tutto appare come una vendetta da parte di coloro che si sentono “sedotti e abbandonati”.

L’Europa è stata vassalla fedele di USA e monarchie del Golfo nel destabilizzare il Vicino Oriente foraggiando direttamente le formazione terroristiche salafite e wahabite, con un massiccio apparato propagandistico volto a distorcere la verità e preparare psicologicamente la società civile europea a qualsiasi intervento armato in Siria.

L’Italia ha avuto un comportamento spesse volte ambiguo per quel che riguarda il fronte siriano. A differenza dei francesi il nostro paese storicamente non ha il passato che Parigi gode nel vicino oriente. Si può dire che dal punto di vista diplomatico l’Italia ha compiuto ben poche ingerenze sulla guerra siriana. Anzi, va ricordato che Roma prima della guerra aveva dei rapporti proficui con Assad culminati nella visita del Presidente Napolitano a Damasco qualche anno fa.

Dal punto di vista mediatico tuttavia vi è stato invece un largo fronte che ha sostenuto a lungo e ancora sostiene l’azione francese e americana a favore dei ribelli. Insomma se ufficialmente l’Italia ha ben poco a che fare con la Siria e la guerra civile, non sono mancati episodi ambigui che potrebbero suggerire un coinvolgimenti ad alcuni livelli del nostro paese nell’affare siriano. Che spiegherebbe le preoccupazioni del Prefetto Gabrielli.

Molti ricorderanno il terrorista siriano Haisam Saiqan arrestato dalla polizia italiana nel febbraio del 2012 per aver assaltato l’ambasciata siriana a Roma assieme ad Amar Basha, presidente dell’Unione Italiana delle Comunità Islamiche (UICI), e ad altri attivisti islamisti del “coordinamento libero siriano di Milano“.

Nonostante l’atto vandalico – per usare un eufemismo – Saiqan fu inspiegabilmente rilasciato dalle autorità italiane scappando subito dopo in Siria dove venne immortalato in due foto che lo ritraggono affiliato ad un gruppo di terroristi mentre partecipa all’assassinio di sette soldati dell’Esercito Arabo Siriano nella provincia di Idlib, nell’aprile 2012, come documentato dal “The New York Times”, e successivamente insieme a Lucia Goracci, famosa inviata del TG3.

Tra i “foreign fighter italiani” possiamo citare il genovese Giuliano Delnevo, morto vicino ad Aleppo nel 2013, Anas el Abboubi, che si è unito al Daesh nel settembre 2013, Maria Giulia Sergio, la convertita lombarda che si è trasferita nel territorio occupato dal “califfato nero” e Meriam Rehaily, immigrata di seconda generazione che è partita per la Siria nel luglio 2015. Ma oltre ai “foreign fighter”, ci sono anche pseudo-attivisti per i “diritti umani” che sono andati in Siria, con o senza il consenso delle autorità italiane, con finalità non del tutto chiare in località controllate integralmente dai terroristi.

A pensare male si fa sempre peccato ma alcune domande vanno poste: le autorità italiane hanno avuto un qualche ruolo nella partenza degli jihadisti italiani in Siria? Perché tali dichiarazioni arrivano proprio ora che il terrorismo islamista è stato sconfitto ad Aleppo? Se il nostro Paese ha attuato una seria politica di espulsione di quei migranti sospettati di essere potenziali terroristi, perché oggi c’è la certezza che ci colpiranno? Cosa significa “il prezzo da pagare”? E a chi? Perché dare per scontato eventi non accaduti e che, volendo, si potrebbero prevenire se c’è il reale e concreto sentore di possibili attentati? Il tutto appare ancor più surreale vista la presenza di Marco Minniti, uomo dei servizi segreti e fedele alleato della NATO, al Viminale.

Nelle dichiarazioni finali rilasciate ai quotidiani nazionali sopracitati, il Capo della Polizia parla anche di Libia “e di importanti novità nei prossimi giorni”. Per il momento sappiamo solo che la Libia rappresenta una nuova, e ben più tragica, Caporetto. Dopo esserci “suicidati”, politicamente ed economicamente, avvallando la guerra anglo-francese contro il nostro alleato Gheddafi, oggi sosteniamo, insieme a UE ed USA, il governo fantoccio di Tripoli che controlla solo pochi quartieri della città. Ma oltre il danno subiamo anche la beffa dei nostri “alleati”: la Francia, ad esempio, che ufficialmente sostiene Tripoli, de facto combatte al fianco delle truppe cirenaiche del Generale Khalifa Haftar, appoggiato da Russia ed Egitto, per difendere i suoi interessi strategici ed energetici attaccando i pozzi petroliferi dell’Eni, ergo dell’Italia, nel più assordante silenzio di media e politica. Almeno questo dovrebbe indurre alla riflessione gli apologeti degli “Stati Uniti d’Europa”.

Gli interessi della NATO, e dell’asse franco-tedesco che domina l’Unione Europea, non hanno mai coinciso con i nostri, ma sembra che “ai piani alti” delle Istituzioni ciò non abbia importanza.

Ci auguriamo di non essere carne da macello per scopi e ambizioni altrui.

Antonello Tinelli per L’Opinione pubblica

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