Il 3 giugno si è celebrato il Tax Freedom Day: la fine dei 153 giorni all’anno in cui abbiamo lavorato solo per pagare le tasse. Un tempo spaventoso, se pensiamo che nel 1980 questa scadenza coincideva con il 25 aprile. E sebbene la pressione fiscale complessiva sia leggermente calata negli ultimi anni, rileva la Cgia di Mestre, queste buone notizie non valgono per una delle categorie più a rischio: quella delle partite Iva.
Il 2 giugno gli italiani hanno celebrato come ogni anno la Festa della Repubblica. Ma in pochi sanno, al di fuori della ristretta cerchia degli addetti ai lavori, che anche il 3 di giugno era una data da segnare in rosso sul calendario, per un motivo assai poco noto eppure – c’è da giurarci – caro a molti.
Il 3 giugno è stato infatti il primo giorno del 2017 in cui i guadagni degli italiani non sono finiti nelle casse dello Stato, ma sono rimasti nelle tasche dei contribuenti: il cosiddetto, Tax Freedom Day.
Secondo un calcolo della Cgia di Mestre quest’anno abbiamo lavorato per lo stato ben 153 giorni su 365: ben 38 giorni in più rispetto al 1980. In quell’anno il Tax Freedom Day coincideva con la festa della Liberazione, il 25 aprile; nel 1990 cadde il 20 maggio; nel 2000 cadde il 27 dello stesso mese, fino ad arrivare al “record” del 7 giugno, nel 2014.
Secondo il centro studi veneto, dividendo il gettito fiscale dovuto dagli italiani quest’anno per il dato medio giornaliero della previsione del Pil si trova la conferma a un fenomeno preoccupante che purtroppo si ripete di anno in anno ormai da qualche tempo: oltre 5 mesi su 12 se ne vanno solo per pagare imposte, tasse e contributi, per un totale che per l’anno scorso è stato calcolato in ben 723 miliardi di euro. “Al netto del peso dell’economia sommersa – commenta il coordinatore dell’Ufficio studi della Cgia Paolo Zabeo – Sui contribuenti fedeli al fisco grava una pressione fiscale reale che sfiora il 50 per cento, un carico che non ha eguali in Europa.”
E il divario col resto del Vecchio Continente è aggravato dall’evidente disparità dei servizi offerti, che in Italia scontano spesso il prezzo di gestioni inefficienti – come questo sito ha già dimostrato per quanto riguarda le partecipate.
Certo, dal 2014 la pressione fiscale complessiva del nostro Paese è leggermente calata, ma la considerazione questo risultato non può prescindere dalla politica dei bonus inaugurata dal governo Renzi, che non solo non persegue l’obiettivo del contenimento del debito, ma anzi lo ha fatto ulteriormente crescere. Tuttavia, rileva la Cgia, dall’alleggerimento della pressione fiscale risulta esclusa una categoria di contribuenti particolarmente vulnerabile: quella del cosiddetto “popolo delle partite Iva“. Lavoratori autonomi, piccoli imprendiori, liberi professionisti e giovani non assunti che più stentano, privi di ogni welfare aziendale, iper-tassati ed esentati da ogni bonus. Con lo spauracchio dell’aumento dell’Iva.