di: Mario Baratta
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È ancora crisi tra Serbia e Kosovo, dopo che il governo illegittimo di Pristina ha deciso di inviare nella notte le forze di polizia nel nord della regione occupata a controllo dei confini. L’obiettivo è stato quello di rafforzare l’embargo alle merci serbe imposto dagli occupanti albanesi la scorsa settimana. Le unità della polizia kosovara (Kps) che questa mattina si erano ritirate dal valico di frontiera di Brnjak, tra il nord del Kosovo e la Serbia, sono tornate indietro ed hanno aperto il fuoco per farsi largo tra un gruppo di serbi che cercava di bloccarne il passaggio. Le forze speciali si sono scontrate con la popolazione serba: un poliziotto è stato ferito da un ordigno e altri tre sono rimasti feriti dal lancio di sassi. Secondo quanto riportano i media locali, gli abitanti serbi delle zone circostanti hanno iniziato a radunarsi spontaneamente, in segno di protesta, presso i checkpoint presidiati dalla polizia kosovara. Alcuni colpi di arma da fuoco sarebbero stati uditi, stando a quanto hanno reso noto i media di Pristina e di Belgrado. La risposta della popolazione locale è stata immediata: i cittadini sono scesi per le strade e hanno impedito il passaggio degli agenti, bloccando la strada con un autocarro. Già nella tarda serata di lunedì membri di un’unità della Kps avevano raggiunto il valico di Brnjak poi avevano trascorso la notte lungo la strada che collega Leposavic-Kosovska Mitrovica, dopo che la popolazione serba della zona aveva reagito costruendo barricate per proteggere il valico di Jarinje. Diverse persone erano state arrestate, mentre tre serbi erano rimasti feriti.
La decisione dello stop delle merci made in Serbia imposto dal governo kosovaro è una ritorsione all’embargo imposto da Belgrado ai prodotti in arrivo dalla provincia dopo la dichiarazione unilaterale di secessione del 2008.
“La situazione è molto tesa”, ha dichiarato il ministro serbo per il Kosovo, Goran Bogdanovic, che si è recato sul posto insieme a Borko Stefanovic, capo del team negoziale di Belgrado nel dialogo con Pristina. “La decisione delle autorità albanesi è priva di senso”, ha dichiarato il ministro Bogdanovic, informando sia il presidente della Repubblica, Boris Tadic, che il premier serbo Mirko Cvetkovic “hanno contattato la Commissione europea, l’Onu, e la Nato” per riferire della situazione. Stefanovic, dal canto suo, ha sottolineato che con l’invio della polizia e il blocco forzato delle frontiere il Kosovo vuole “provocare il popolo serbo”. “Si è trattato di un’azione pianificata e organizzata – ha proseguito – che ha avuto come obiettivo di provocare il popolo serbo che vive nel nord del Kosovo e, ciò che è ancora peggio, di pregiudicare in modo unilaterale e provocatorio i risultati del dialogo che stiamo conducendo con Pristina”. Diversa invece la posizione degli occupanti albanesi, che, nei giorni scorsi, hanno aumentato anche i dazi delle merci provenienti dalla Bosnia-Erzegovina. “È stato necessario prendere una tale misura”, ha dichiarato il ministro del Commercio e vicepremier kosovaro, Mimoza Kusari-Lila. “Vigileremo al fine di evitare ogni violenza, ma non ci sarà alcun ritiro”, ha dichiarato, da parte sua, il ministro dell’Interno kosovaro, Bajram Rexhepi. Parole molto pericolose che chiariscono bene la strategia degli occupanti del Kosovo. Intanto, si è dimesso il direttore generale della polizia kosovara, il comandante Reshat Maliqi. “Non ero stato informato della decisione (del governo di Pristina) sull’operazione in corso e non dipende da me”, ha riferito Maliqi.
La decisione dello stop delle merci made in Serbia imposto dal governo kosovaro è una ritorsione all’embargo imposto da Belgrado ai prodotti in arrivo dalla provincia dopo la dichiarazione unilaterale di secessione del 2008.
“La situazione è molto tesa”, ha dichiarato il ministro serbo per il Kosovo, Goran Bogdanovic, che si è recato sul posto insieme a Borko Stefanovic, capo del team negoziale di Belgrado nel dialogo con Pristina. “La decisione delle autorità albanesi è priva di senso”, ha dichiarato il ministro Bogdanovic, informando sia il presidente della Repubblica, Boris Tadic, che il premier serbo Mirko Cvetkovic “hanno contattato la Commissione europea, l’Onu, e la Nato” per riferire della situazione. Stefanovic, dal canto suo, ha sottolineato che con l’invio della polizia e il blocco forzato delle frontiere il Kosovo vuole “provocare il popolo serbo”. “Si è trattato di un’azione pianificata e organizzata – ha proseguito – che ha avuto come obiettivo di provocare il popolo serbo che vive nel nord del Kosovo e, ciò che è ancora peggio, di pregiudicare in modo unilaterale e provocatorio i risultati del dialogo che stiamo conducendo con Pristina”. Diversa invece la posizione degli occupanti albanesi, che, nei giorni scorsi, hanno aumentato anche i dazi delle merci provenienti dalla Bosnia-Erzegovina. “È stato necessario prendere una tale misura”, ha dichiarato il ministro del Commercio e vicepremier kosovaro, Mimoza Kusari-Lila. “Vigileremo al fine di evitare ogni violenza, ma non ci sarà alcun ritiro”, ha dichiarato, da parte sua, il ministro dell’Interno kosovaro, Bajram Rexhepi. Parole molto pericolose che chiariscono bene la strategia degli occupanti del Kosovo. Intanto, si è dimesso il direttore generale della polizia kosovara, il comandante Reshat Maliqi. “Non ero stato informato della decisione (del governo di Pristina) sull’operazione in corso e non dipende da me”, ha riferito Maliqi.
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