di Sara Lapico e Giovanni Moretti

Ripetere una menzogna all’infinito finché non diventi realtà”

In sintesi è questo il succo di quello che vi accingerete a leggere. La MMT (o Teoria Monetaria Moderna) continua a ripetere come un mantra che le tasse danno valore alla moneta altrimenti nessuno la accetterebbe.

Questo concetto, che di moderno non ha assolutamente nulla, fa presa sugli stolti e giustifica le vessazioni fiscali. Gli stolti credono che siano le tasse a mantenere in piedi lo Stato, ma i fatti, soprattutto di questi ultimi 15 anni dall’introduzione dell’euro, smontano tale affermazione.

È sotto gli occhi di tutti che le tasse hanno letteralmente distrutto l’intera economia italiana (e non solo). Sono soltanto uno strumento funzionale alla rarefazione della moneta di proprietà dell’oligarchia bancaria. Secondo la MMT dovrebbe essere lo Stato, ente giuridico o fantasma giuridico governato da burocrati e magistrati, il proprietario della moneta che dovrebbe emetterla in prestito sul mercato.

Inizialmente la MMT prevedeva l’emissione in prestito con emissione di titoli di Stato; oggi hanno rimodulato tale concezione, forse pressati dai numerosi auritiani che contestavano tale principio. Oggi dicono che lo Stato deve spendere per dare ricchezza ai cittadini che percepiscono la moneta spesa. Economicamente, ma meglio dire logicamente, il fatto che la spesa dello Stato sia la [una, NdR] ricchezza dei cittadini è talmente lapalissiano che non è il caso di perderci tempo.

Quello che invece ha distratto verso la MMT, in questi anni, alcuni che si ritengono auritiani, è il fatto che questa teoria dica che lo Stato deve essere proprietario della moneta. Ricordiamo che secondo i principi di Auriti non è lo Stato ma sono i cittadini ad essere proprietari della moneta. Se fosse lo Stato, nel contesto attuale della sua organizzazione, esso potrebbe attuare comunque politiche di restrizione monetaria sotto forma di tasse, esattamente come fa oggi, non per ripagare i banchieri, ma per mantenere l’oligarchia burocratica che lo dirige. Ed infatti, secondo la MMT, lo Stato deve ritirare la moneta spesa e lasciare solo una minima parte in circolazione, come deficit, che rappresenterebbe la ricchezza dei cittadini. Ricordiamo tutti gli esempi che un certo Paolo Rossi, detto Barnard, faceva sulla circolazione della moneta di stampo MMT, quando diceva che lo Stato, per far valere la moneta, “doveva puntare il fucile sui cittadini per farsi pagare le tasse”.

In effetti, se ci pensate bene, quale sarebbe la logica e la razionalità di un sistema in cui lo Stato, per creare valori quantificati 100, spende 100 monete che incasseranno coloro che avranno creato tali valori? Tipo imprese e operai che costruiranno strade, acquedotti, ospedali, scuole, per poi restituire allo Stato 97 delle 100 monete che hanno “sudato” e restando in mano con 3 monete? Quale sarebbe il “valore del loro lavoro e sacrificio” se quantificato in 100 monete gliene restano solo 3 ?

A questo si aggiunge la concezione della MMT che la moneta serve per pagare le tasse. E noi che pensavamo che la moneta servisse per scambiare i valori che i cittadini creano con la loro esistenza, il loro lavoro ed ingegno.

Ma vediamo in sintesi, dall’analisi logica fatta da Sara Lapico e Giovanni Moretti dove sono le “irrazionalità” della MMT.

ME-MMT Propone:

A) Una moneta di proprietà di un monopolista privato che impone la sua (?) moneta per pagare le sue tasse.

Preliminarmente rileviamo che:

La moneta, o meglio il simbolo monetario, alla nascita è un contenitore vuoto (banconota carta ed inchiostro, bit sul computer prodotto a costo zero). Il supporto del simbolo monetario (banconota, moneta bancaria, carta di credito), può appartenere al tipografo, cioè a colui che stampa, emette e/o ne tiene la contabilità, il quale verrà pagato per l’opera svolta.

Questione separata è invece il valore monetario (potere d’acquisto) inglobato nel simbolo. Detto valore nasce quando la collettività accetta quel determinato simbolo per scambiare i beni e i servizi prodotti e dunque la pone in circolo divenendo, ora sì, moneta.

È chiaro che non si può essere “preventivamente” proprietari di qualcosa che inizia ad esistere solo con l’accettazione e quindi solo nella fase di circolazione. Eppure, oggi la moneta nasce come debito, perché la si riconosce di proprietà di un privato che non ha nessun diritto se non quello dell’arroganza.

È esattamente come se la casa editrice incaricata di stampare un libro pretendesse di divenire proprietaria dell’opera intellettuale contenuta nel supporto cartaceo o digitale. Con questo esempio appare lampante come colui che senza averne titolo assume, anche tacitamente, di essere proprietario, sfrutta e depreda l’altrui ingegno. Chi conferisce e produce il valore deve esserne, giustamente, il proprietario.

Negare questo elementare costrutto ammettendo che la moneta sia di proprietà privata porta esattamente nella direzione di PRIVARCI di ogni bene. Si noti come anche dal punto di vista lessicale è evidente lo scopo della classe dominante, la quale pretende di mantenere in vita un polveroso sistema oligarchico che vive parassitariamente.

B) Le tasse danno valore alla moneta

Tale affermazione è anacronistica ed è frutto diretto della filosofia materialista. È evidente ma tuttavia doveroso sottolineare che è l’uomo a decidere l’utilità di uno strumento. Non è possibile che un oggetto più o meno tangibile, come le tasse, dia valore ad un altro strumento, il denaro, seguendo lo schema perverso secondo cui un oggetto ha valore preventivamente alla stessa valutazione umana.

In realtà è l’uomo che decide se quel dato strumento gli è utile. Se si ribaltano i rapporti del giudizio di valore si incorre nel pericolosissimo errore di ridurre l’uomo a strumento, in quanto al primo posto è messo l’oggetto. Ed è esattamente ciò che oggi accade. Gli uomini sono evidentemente divenuti schiavi del denaro perché pongono tutta la loro attenzione sull’oggetto creato e non sul soggetto che compie quell’azione.

Le tasse vanno pagate in un’ottica di scambio per un servizio che si riceve. Se non si rispetta questo sinallagma, nesso di causalità, l’imposizione fiscale diventa un mezzo con il quale depauperare i popoli. La pretesa affermazione secondo cui l’imposizione dall’alto di una moneta di un monopolista serve a mantenere unito lo Stato è facilmente smontabile. Anzitutto si rileva come tale affermazione sia riconducibile ad un’errata interpretazione di Marx, il quale con la parola “Stato” indicava la classe dominante che vive di valore defraudato.

Lo Stato non nasce da un atto di imperio esterno alla volontà del popolo. Non sta insieme per unione come fossimo “pesci nella rete”. Esso sta insieme per concordia ed il “possesso dei mezzi di produzione”, tra cui quello della moneta, è il modo in cui l’élite che vive di valore defraudato “si estingue”, la qual cosa è in contrapposizione alla concezione anarchica secondo cui lo Stato è da abolire.

Al contrario, questa pretesa unione ad ogni costo, va esattamente nella direzione di “sgretolare” la comunità e, usando le parole di Karl Marx, “Di qui, con piena coerenza, viene la dottrina moderna che un popolo diventa tanto più ricco quanto più a fondo s’indebita.”

L’uomo, in quanto essere capace di previsione predispone strumenti frutto del suo intelletto utili affinché dalla e per la comunità possa trarre giovamento. È l’uomo che ha concepito la moneta, così come ne concepisce i mezzi per governarla attraverso il diritto. Nell’antichità la moneta era chiamata “nomos”, in quanto essa veniva regolata attraverso la legge.

Il diritto è uno strumento frutto dell’intelletto umano, in quanto preordinato a garantire il benessere spirituale e l’applicazione delle regole stabilite per il benessere sociale. Così come il diritto si manifesta attraverso un mezzo “sensibile”, cioè la norma giuridica, allo stesso modo il valore monetario creato dalla convenzione sociale si esprime attraverso il simbolo monetario.

È pertanto lapalissiano che non può essere privatizzato un frutto dell’intelletto umano come la moneta o il diritto. Sarebbe come pretendere di privatizzare il tempo. E chi potrebbe voler privatizzare il tempo e con esso il valore in sé racchiuso, se non un élite disumanizzante che pretende di servirsi dei popoli, onde vivere di privilegi?

Per poter usare l’uomo occorre ridurlo a strumento e dunque, costruire una ideologia di dominazione delle masse che ponga al primo posto l’oggetto e al secondo il soggetto. È a questo punto evidente che l’impostazione materialistica di MMT è da rigettarsi, se si vuole uscire dal rovesciamento di valori e ricollocare l’uomo al di sopra dell’oggetto. Sovrano, non strumento.

Fonte: giacintoauriti.eu

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