di Fabrizio Casari
Questo Paese ama la sua Costituzione. La rispetta e la difende contro qualsiasi manipolazione, non importa da dove venga. Considera la sua Carta dei principi, il tessuto connettivo della nostra società e non consente avventure politiche alle sue spalle. Soprattutto quando a produrle sono un ex Presidente della Repubblica come Napolitano, che ha imposto a Renzi il terreno dello scontro costituzionale. Non si può tacere del ruolo fondamentale avuto dall’ex-presidente della Repubblica in questa vicenda.
Silente nella soluzione dei problemi politici e sociali dell’Italia, Napolitano ha caratterizzato la sua presidenza con l’ossequio costante verso i poteri forti internazionali; lo ha fatto ampliando a dismisura i poteri d’intervento del Presidente della Repubblica previsti dalla Costituzione, arrivando ad intestarsi la direzione politica de facto del Paese.
Quale che fosse il Presidente del Consiglio, Napolitano lo ha soverchiato assumendo su di sé le scelte fondamentali del Paese, tra le quali il pareggio di bilancio in Costituzione e la controriforma Boschi ieri rifiutata dagli italiani.
Ma il voto di ieri non è solo la dimostrazione della fedeltà alla nostra Carta, pure ribadito con simile forza. Contiene un giudizio netto e senza appello anche sul governo, sulla sua proposta politica, persino sullo stile di governo di un premier intriso di bullismo. Che ha voluto trasformare la campagna elettorale in un plebiscito su di sé, conducendo una competizione fatta di bugie, ricatti, minacce, campagne terroristiche destinate ad installare la paura nell’elettorato.
Il voto esprime il rifiuto popolare verso un premier considerato un abusivo e un arrogante, un bugiardo seriale dotato di ambizione eccessiva e di spregiudicatezza senza limiti nella ricerca della sua affermazione personale. Tutto ciò ha certamente inciso molto sul sentiment del Paese espresso nel voto. Ha definito “accozzaglia” la storia della tradizione politica italiana, ma non é servito: anzi, è probabile che la scorrettezza ampiamente manifestatasi nella campagna elettorale abbia spinto al voto più gente di quanta ci si sarebbe aspettato.
La chiave del successo del NO è stata la risposta di milioni di italiani piagati dalle politiche economiche del governo. Che hanno visto nel voto la possibilità di riprendersi la parola negata da governi che si succedono senza esser stati eletti. E, quello Renzi, oltre all’assunzione inginocchiata delle disposizioni della UE, ha operato per azzerare il patto sociale e costituzionale, scalpo necessario per riscrivere l’assetto dei poteri, piegando ogni opposizione ed estromettendo i corpi intermedi della società dal suo ruolo di mediazione sociale.
Hanno risposto NO com’era logico attendersi i lavoratori privati dell’articolo 18, ritrovatisi senza tutele nei confronti dell’arroganza padronale. Allo stesso modo gli insegnanti derisi e umiliati dalla “buona scuola” così come i giovani che si sono visti turlupinati con i vaucher, spacciati come occupazione e invece elemosina precaria utile solo a truccare i dati sul mercato del lavoro.
Hanno votato NO le persone che erano prossime alla pensione che sono state schiacciate dalla riforma Fornero, riforma che non solo Renzi non ha modificato (come aveva promesso) ma che addirittura ha infarcito di presa in giro degli italiani con la proposta di anticipo pensionistico.
Ha votato NO il Paese schiacciato dalle politiche del governo dispiegate, oltretutto, con arroganza e sarcasmo. Ha votato NO chi ritiene che sia necessaria una nuova politica industriale per l’occupazione, una politica salariale che riporti alla decenza la prestazione lavorativa, che inverta la tendenza alla riduzione pesante del livello dello stato sociale rinunciando ad ogni intervento di sostegno su previdenza e assistenza.
E non è casuale che il Si abbia vinto nei pochi centri dove il contesto socioeconomico è migliore e che proprio al centro italia e nel Sud, dove invece le piaghe sociali sono più dolorose, la vittoria del NO sia stata così netta.
Il voto di ieri indica anche la fine della breve ed ingloriosa storia del PD. L’esperimento di laboratorio che ha obbligato alla convivenza forzata due culture politiche attraverso l’uccisione di quella di sinistra, non ha funzionato. Si apre ora una fase completamente diversa e la analizzeremo nei prossimi giorni.
Ma quel che è certo è che è rimasto sepolto sotto le schede elettorali è il progetto del Partito della Nazione. Il PD, che ha perseguito una strategia fondata sull’eliminazione della sinistra e l’attrattiva per il voto moderato, ha ridato vigore alla sinistra e ha perso il voto moderato.
La promessa di Renzi di risollevare l’Italia e sconfiggere Grillo è diventata il peggioramento del Paese e l’affermazione del M5S. Il voto ha dimostrato che molto più del PD è il M5S che ha la capacità di intercettare i voti orfani della storia ideologica del Paese e persino dei moderati. I giovani, che si volevano arruolabili nella battaglia per la rottamazione, hanno rottamato il rottamatore.
Oltre al PD renziano, la grande sconfitta è la struttura mediatica del Paese, che a Renzi è stata devota per l’assonanza tra il personaggio e le banche che sostengono i rispettivi gruppi editoriali. Toni apocalittici, pressioni e sotterfugi, bugie ricevute e rilanciate senza decenza deontologica, non sono state sufficienti.
L’occupazione militare della RAI da parte di Renzi, lo schieramento vergognosamente di parte di Mediaset e Sky e la mobilitazione della grande editoria cartacea, che ha stampato su carta quello che Palazzo Chigi indicava, non sono servite. I pizzini elettronici con i quali Filippo Sensi indicava contenuti e titoli alla maggioranza degli organi di stampa, da ieri sono carta straccia e si registra una la più pesante sconfitta di sempre per il sistema mediatico ufficiale.
La propaganda, la capacità di persuasione forzata (palese come occulta) dell’opinione pubblica, è stata sconfitta da una consapevolezza generale della posta in gioco. E, sempre per restare nell’area mediatica, non sono servite le genuflessioni di Benigni e di Santoro, per non parlare dei conduttori del 90 per cento delle trasmissioni televisive e radiofoniche. Il dialogo tra le persone ha prevalso sulle lingue battenti sui tamburi.
Finisce qui la carriera politica di Renzi e ciò è certamente un bene per il Paese e per lo stesso PD. Da oggi la parola è al Capo dello Stato che dovrà ricevere le dimissioni di Renzi e cercare la soluzione parlamentare alla crisi.
Ma se le prerogative presidenziali potranno delinearsi solo attraverso le procedure previste dalla Carta, quelle popolari hanno già fornito una indicazione netta e senz’appello. Legge di stabilità (da modificare sensibilmente) entro Dicembre, quindi Riforma elettorale e poi alle urne. Gli italiani vogliono tornare a votare: questo ha detto, chiaro e forte, il voto di ieri.
FONTE: AltreNotizie.org