Mentre i ministri del governo Renzi giurano che la ricapitalizzazione di Mps non dipenderà né dall’intervento pubblico né dal bail in, intorno alla cordata per salvare l’istituto toscano si avvicendano i nomi più chiacchierati della finanza internazionale. Ma il vero convitato di pietra è il referendum: se vincerà il Sì, i soldi arriveranno. E se dovesse vincere il no? Chi sarà chiamato a pagare?
Cinque miliardi di euro. Tanto serve per condurre in porto la maxi ricapitalizzazione del Monte Paschi di Siena: l’appuntamento è per l’ultima settimana di novembre, quando l’assemblea degli azionisti chiederà una delega aperta per prendere una decisione da cui dipenderà molta parte del futuro della banca senese. Istituto che, dopo essere diventato la banca simbolo della sinistra, naviga in acque davvero pessime nonostante le ripetute e robustissime iniezioni di denaro.
La priorità, confermano anche da Bruxelles, è fare presto. E gli occhi di tutti sono puntati sulle fonti da cui l’istituto di credito toscano deciderà di attingere gli investimenti necessari.
Il governo ha assicurato che per salvare la banca – a cui Renzi, si ricorda, lega le sorti finanziarie del sistema Paese e quindi dell’intera Ue – non si farà ricorso né al bail in né ad alcuna forma di aiuto pubblico.”
La via che a questo punto sembra la più probabile è quella del piano industriale presentato dal nuovo ad Marco Morelli, approvato dal cda lunedì 24 ottobre. Il piano industriale per i prossimi tre anni prevede il deconsolidamento di 28,5 miliardi, di cui 27,6 milardi di crediti in sofferenza attraverso la cessione a un veicolo di cartolarizzazioni a un prezzo di 9,1 miliardi e la successiva assegnazione della tranche junior ad azionisti Mps e la ricapitalizzazione fino a 5 miliardi.
All’operazione di ricapitalizzazione sono stati associati i maggiori nomi della finanza internazionale, da George Soros a Corrado Passera, in una lotteria di ipotesi che si avvicendano vorticosamente. Certo è che per salvare Monte Paschi salteranno molte teste: 2600 dipendenti rimarranno a casa e 500 filiali verranno chiuse.
Un dettaglio che, osserva Maurizio Pagliassotti sulla testata online “Diario del web”, lascia molto da pensare. “Manca la relazione tra una richiesta di capitale così massiccia e le future dimensioni della banca. A cosa servono quei soldi se verranno chiuse cinquecento filiali?” .
In borsa, il titolo di Mps è più volatile che mai. Molto verrà deciso dall’esito del referendum del prossimo 4 dicembre, come è stato implicitamente suggerito anche dallo stesso Morelli.
Che infatti, presentando il piano industriale ha spiegato che l’avvio delle operazioni per la ricapitalizzazione di Mps è vincolato alle condizioni dei mercati. Che, in caso di vittoria del No, saranno, secondo il governo, più agitati che mai. Rinviando qualsiasi intervento decisivo almeno al 2017.
Uno scenario avallato, in varie forme, dagli analisti di Goldman Sachs, Moody’s e Credit Suisse. Che, con parole differenti, ripetono tutti il medesimo avvertimento: in caso di rivolgimenti politici, gli investitori aspetteranno che le acque si calmino prima di fare qualsiasi cosa.
Peccato che la paventata burrasca sui mercati sia tutta da dimostrare, e quando anche dovesse effettivamente verificarsi resterebbe da provare che sia dovuta alla vittoria del No e non – per esempio – da un’eventuale vittoria di Donald Trump alle elezioni presidenziali americane.
Per l’Italia però l’interrogativo resta. In caso di vittoria del No, chi sarà chiamato a pagare la ricapitalizzazione della più antica banca ancora in attività?
FONTE: Capire davvero la crisi