Quando è possibile considerare una persona, benché proprietaria di beni, ugualmente nullatenente e quali sono i rischi e gli effetti per chi non paga i propri debiti.

Si sente spesso dire che una persona è nullatenente quando poi si vede la stessa circolare tranquillamente in auto di grossa cilindrata o vivere in appartamenti di proprietà: ecco che allora il concetto di nullatenenza assume un carattere relativo o, quantomeno, di facile manipolazione. Corrisponde allora al vero l’affermazione che, in Italia, è possibile vivere allegramente anche senza essere intestatari di nulla? E fino a quando deve durare la situazione di nullatenenza per togliersi i debiti di dosso?

La parola di nullatenente non è di carattere giuridico: non la si trova in nessuna legge, né sono indicati i requisiti minimi perché una persona possa ritenersi tale. Nei fatti, però, il termine è spesso usato per indicare soggetti privi sia di reddito che di patrimoni. Quindi, il nullatenente è colui che, al tempo stesso, non ha né un lavoro (e, quindi, non riceve periodicamente flussi di denaro), né è titolare di altri averi (un immobile, un conto corrente, altri titoli); insomma, si tratta di colui nei cui confronti è impossibile avviare un pignoramento perché la procedura risulterebbe negativa e senza esiti fruttuosi.

Quali sono le conseguenze per i nullatenenti?

Nel nostro ordinamento non esiste alcuna legge che punisca chi non possa pagare i propri debiti, sia che la morosità riguardi rapporti con altri soggetti privati, che con le pubbliche amministrazioni, il fisco o Equitalia. Salvo casi straordinari di evasione fiscale – per i quali, superata una determinata soglia di imposta evasa, si sconfina nel penale – chi non adempie alle obbligazioni contratte non va in carcere.

Si può essere nullatenenti se poi si è proprietari di beni?

Apparire nullatenenti quando in realtà non lo si è, non è così facile come sembra. Per essere realmente nullatenenti, come detto, non bisogna avere né un reddito di lavoro (autonomo o dipendente), né altri utili, proventi o immobilizzazioni (case, terreni, diritti reali minori su immobili). E non basta esserne privi in un determinato periodo di tempo, ma – per come vedremo a breve – è necessario che la situazione si protragga a lungo.

Ben si potrebbe, tuttavia, godere di singoli beni ottenuti in prestito (comodato) dai parenti come ad esempio un’abitazione, un’automobile. Colui che ritenga di tutelarsi dai debiti donando la proprietà e riservandosi l’usufrutto deve sapere però che l’usufrutto si può pignorare (anche se, nei fatti, avviene raramente, posta la scarsa appetibilità di tale diritto sul mercato).

Il vero nullatenente è colui che anche per il fisco risulti completamente a “zero”. Come ben si sa, infatti, è proprio la presenza di due importanti banche dati a definire la situazione reddituale dei contribuenti: l’anagrafe tributaria e l’anagrafe dei conti correnti. Nella prima confluiscono tutte le informazioni relativi a redditi percepiti dal soggetto, sotto qualsiasi forma (redditi fondiari, da locazione, da lavoro, da investimenti, ecc.); nella seconda confluiscono invece tutte le informazioni relative a conti correnti o altri depositi in banca o alle poste. Ebbene, grazie a una recente riforma, qualsiasi creditore può accedere a tali banche dati. Dunque, solo chi è in grado di sfuggire completamente al fisco può sfuggire anche ai creditori posto che questi ultimi sono ormai in grado di vedere (quasi tutto) ciò che è accessibile al fisco.

Peraltro, l’Agenzia delle Entrate può individuare alcuni indici di spesa che potrebbero rivelare redditi occulti e, così, procedere ad accertamento fiscale. Si pensi al caso di un soggetto che, pur non avendo un lavoro o altre entrate, abbia intestata un’assicurazione dell’auto o le utenze di un appartamento. Ma, in realtà, una situazione del genere, rivolta solo a recuperare a tassazione i proventi nascosti, non incide più di tanto sulle possibilità del creditore di recuperare i propri soldi.

Il nullatenente proprietario

Da quanto detto si comprende che il nullatenente assoluto è un concetto più teorico che pratico: tutti, in un modo o nell’altro, nell’arco di una vita, acquisiamo prima o poi la proprietà di un bene o di un reddito; diversamente ne andrebbe della nostra stessa sopravvivenza.

Tuttavia, si può essere nullatenenti anche se si è proprietari di beni. Infatti, per sfuggire ai creditori non è necessario essere “poveri in canna”. La legge stabilisce una serie di beni che, seppur di titolarità del debitore, non sono pignorabili. Ne abbiamo già parlato diffusamente nell’articolo “I diritti del debitore”. Essi sono, per esempio, gli immobili inseriti nel fondo patrimoniale; la prima e unica casa (solo per i pignoramenti di Equitalia); i 4/5 dello stipendio; i 4/5 della pensione detratto il minimo vitale; il conto corrente bancario su cui è depositato lo stipendio o la pensione fino a un massimo di 1.345,53 euro (oltre tale cifra è possibile il pignoramento); i beni in comunione dei coniugi per un massimo del 50%; i beni i comproprietà (anche in questo caso fino a massimo la metà dell’importo); i beni necessari all’esercizio dell’arte, della professione o dell’impresa (sono pignorabili solo se non vi sono altri beni e comunque non oltre 1/5); l’auto che serve per svolgere il proprio lavoro, sulla quale Equitalia non può iscrivere il fermo.

Il codice di procedura civile poi indica una serie di beni assolutamente impignorabili come la fede, gli indumenti e la biancheria; letti, tavoli per i pasti con le relative sedie; armadi guardaroba, cassettoni, frigorifero, stufe, la cucina, la lavatrice, utensili di casa e di cucina; cose sacre e che servono all’esercizio del culto; decorazioni al valore, ecc.

Ma allora, quale conseguenza può subire il debitore che non paga?

Nessuna, almeno sul piano della libertà personale. Il codice civile, tuttavia, stabilisce che ciascuno è responsabile dei debiti contratti con tutto il suo patrimonio presente e futuro. Il che significa che il nullatenente che voglia scansare i creditori dovrà stare attento a non intestarsi nulla per tutto l’arco della propria vita o almeno finché il credito si prescrive. Egli, quindi, non è al riparo dopo che i primi tentativi di esecuzione forzata non siano andati a buon fine: i creditori, infatti, potrebbero riprovarci in un secondo momento.

E la prescrizione dei debiti?

È vero che, dopo un determinato periodo (di norma 10 anni o, in alcuni casi, 5 o 3) i debiti si prescrivono, ma è anche vero che, se prima della scadenza del termine, il creditore invia una nuova diffida di pagamento (per esempio un sollecito con raccomandata a.r.), il termine di prescrizione si interrompe e inizia a decorrere nuovamente da capo dal giorno successivo al ricevimento della diffida. Questo significa che, se l’operazione viene ripetuta costantemente ad ogni scadenza del termine, la prescrizione potrebbe non compiersi mai e il debito rimanere in piedi per una vita intera.

Quali sono le conseguenze per gli eredi?

Il debito può addirittura protrarsi anche oltre la vita del soggetto obbligato: infatti le morosità si trasferiscono sempre sui familiari che abbiano accettato (in modo espresso o tacito) l’eredità. Il creditore, senza dover intraprendere una nuova causa, può agire contro gli eredi pignorando i beni di questi ultimi. Dunque, sebbene il debitore sia nullatenente, non è detto che lo siano anche i suoi eredi e, se questi sono proprietari di beni, il creditore troverà, alla fine, di che soddisfarsi.

Conviene davvero tentare di recuperare il credito?

Nonostante quanto detto, però, anche il tentativo di esecuzione forzata ha un costo (l’avvocato, le imposte, la notifica degli atti e l’ufficiale giudiziario), sicché non sempre i creditori hanno la pazienza di restare in attesa che il debitore diventi proprietario di qualche bene e, dopo un po’ di tempo, potrebbero abbandonare la presa e lasciar prescrivere il credito.

E se il soggetto vende e dona tutto quando sente odore di pignoramento?

Non è detto che nullatenenti si nasca. Anzi, il più delle volte si diventa tali a seguito di atti di disposizione, come vendite o donazioni. In tali casi, è sempre possibile l’azione revocatoria: il creditore, entro 5 anni dall’atto, può impugnarlo e renderlo inefficace se riesce a dimostrare che il debitore non ha altri beni intestati e che, quindi, lo spoglio era solo finalizzato a frodare i creditori.

Fonte: www.laleggepertutti.it

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