di Paolo Cardenà –

Secondo quanto riportato da Il Sole 24 Ore – che ha rilanciato l’indiscrezione apparsa sulle colonne dello Spiegel – il FMI (Fondo Monetario Internazionale) vorrebbe bloccare il pacchetto di aiuti alla Grecia poiché, secondo uno studio della Troika (Fmi, Ue e Bce) e stando a quanto rilanciato da Il Sole:

«appare chiaro che il governo greco non riuscirà a ridurre entro il 2020 il debito pubblico al 120% del Pil».Nel caso in cui ad Atene venisse concesso più tempo, ciò causerebbe secondo la troika un esborso maggiore degli aiuti compreso tra 10 e 50 miliardi di euro, che molti Paesi dell’Eurozona non sono disposti ad accollarsi. In aggiunta a ciò, Olanda e Finlandia avrebbero posto come condizione della loro partecipazione agli aiuti alla Grecia che anche l’Fmi se ne assuma una parte. Lo Spiegel scrive inoltre che, secondo l’opinione dei Paesi dell’Eurozona, un’uscita della Grecia dall’euro sarebbe controllabile.

Se ciò dovesse essere confermato, determinerebbe un ulteriore default della  Grecia  (probabilmente in settembre) e spalancherebbe le porte all’uscita della Grecia dalla moneta unica, con conseguenze pericolosissime per la sopravvivenza della stessa unione monetaria e per i paesi dell’area mediterranea già alle prese con il rischio, sempre maggiore, di perdere l’accesso ai mercati e non riuscire a finanziare il debito in scadenza.
Come ho avuto modo di scrivere in un precedente articolo, l’euro, almeno fino  a questo momento, ha potuto godere  anche della credibilità derivante dell’irreversibilità del processo di unificazione monetaria. Tanto è vero che nei trattati non sono previsti dei protocolli che disciplinano  l’eventuale uscita di un paese membro;  tanto meno l’espulsione.
L’eventuale uscita dello stato ellenico costituirebbe un precedente devastante per la sopravvivenza della moneta unica. I mercati percepirebbero    immediatamente    la caduta del baluardo dell’irreversibilità del processo di unificazione monetaria e di conseguenza sarebbero meno disposti a concedere credito ai paesi più vulnerabili. Eventualmente, nel farlo, esigeranno un maggior premio di rischio   che vanificherà le politiche di riequilibrio di bilancio adottate, compromettendo così la tenuta dei conti dei singoli paesi.
Se la Grecia dovesse ritornare alla dracma, lo farà ovviamente ripudiando il debito pubblico,  con conseguenti  perdite in seno alle banche e alle istituzioni europee che hanno in portafoglio titoli di stato ellenici e indebolendo ulteriormente  le già fragili fondamenta delle banche europee. Queste,  a quel punto, dovranno essere sostenute e ricapitalizzate attraverso interventi statali che, allo stato attuale, sembrano quanto mai inimmaginabili visto  il deteriorarsi delle condizioni di sostenibilità delle finanze pubbliche negli stati più vulnerabili. L’uscita della Grecia dalla moneta unica accelererà la fuga di capitali nei paesi mediterranei. Questa tendenza  potrebbe investire in maniera impetuosa anche l’Italia, prosciugando il sistema bancario.
Nel frattempo, con i rendimenti dei titoli di stato spagnoli e  italiani in forte rialzo e ai limiti della sostenibilità, e con una recessione che sta assumendo sempre più i connotati di una grande depressione, tanto in Spagna che in Italia, molte autonomie locali sarebbero prossime al default  con una sempre più probabile escalation di fallimenti a catena che non potrebbero essere evitati, stando la carenza di liquidità nelle casse degli Stati coinvolti.
La situazione appare sempre più complessa e altrettanto vicina ad un punto di svolta catastrofico, che potrebbe essere evitato (o per meglio dire rimandato) solo con un intervento massiccio della BCE. Ma probabilmente servirebbe solamente a comprare un pò di tempo.
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