Quattro giovani italiani su dieci sono disoccupati: un dato che certifica il fallimento del Jobs Act, magnificata come la migliore delle riforme del governo Renzi. Finiti gli incentivi, le aziende non assumono ma licenziano e i ragazzi tornano ad affollare gli uffici di collocamento. Ma il governo non rinuncia alle marchette elettorali e anzi si prepara ad assumere 120mila precari di una pubblica amministrazione già ipertrofica

Se i giovani disoccupati italiani fossero un partito, avrebbero finalmente sfondato la soglia necessaria per ottenere il premio di maggioranza.

I dati Istat hanno rilevato infatti come a dicembre il tasso di giovani italiani disoccupati sia salito al 40,1%, in aumento di 0,2 punti percentuali rispetto al mese precedente. Dal computo sono esclusi i giovani inattivi, quelli cioè che non hanno lavoro né lo stanno cercando, ma si tratta comunque di un dato allarmante, soprattutto poiché è unito a quello relativo al tasso dei senza lavoro, che non diminuiscono rispetto al 12% di novembre (ma comunque sale di 0,4 punti percentuali rispetto all’anno precedente).

 Notizie decisamente negative soprattutto se comparate al calo della disoccupazione in Germania (dove il dato è sceso dal 6% al 5,9%) e come tali fotografate dal Financial Times , che parla di un’Italia “a crescita lenta e oberata dal debito”, alle prese con i problemi delle banche , impantanata nelle secche di una crisi che sembra eterna proprio mentre l’Europa pare avviarsi nella direzione opposta.

Ma un dato, su tutti, spicca: quello che sancisce definitivamente il fallimento del Jobs Act, la riforma del lavoro che era stata una bandiera del fu governo Renzi. I numeri di Eurostat aggiornati al 18 gennaio indicano come la percentuale di occupati nel nostro Paese si appena del 56,3%: superiore, in Europa, solo a quella di Croazia (55,8%) e Grecia (50.8%).

Analizzando più nel dettaglio i dati relativi all’Italia, si nota come il vero boom si registri nell’aumento dei lavoratori a termine, cresciuti di 155mila unità. Un importante +6,6% rispetto all’anno scorso, rimarca il direttore di Adapt Press ed esperto di mercato del lavoro Francesco Seghezzi.

Insieme ai precari crescono anche i lavoratori over 50: è questa l’unica fascia di età che registra un aumento degli occupati (+410mila), se si esclude il modesto +1000 degli under 24. Gli occupati fra i 25 e i 34 anni sono infatti diminuiti di 20mila unità, così come quelli fra i 35 e i 49 anni (-149mila).

Finiti gli incentivi del Jobs Act, insomma, quella stabilità che era stata promessa dalla riforma di Poletti si è trasformata in un miraggio. Il lavoro resta un sogno e per chi lo ha, resta comunque estremamente precario. I licenziamenti sono più facili, ma questa mobilità in uscita non si è tradotta in un aumento significativo degli occupati, soprattutto fra le fasce più giovani della popolazione.

Capiredavverolacrisi aveva già indagato i numeri sul fallimento della riforma del lavoro d Renzi. Esaminando la variazione tendenziale, si scopre confermato un trend preoccupante già rilevato dall’analisi congiunturale: i contratti a tutele crescenti sono rimasti in fasce, limitandosi a fornire un’occupazione precaria per i giovani (che il governo precedente spacciava per “contratti a tempo indeterminato) che nel giro di qualche mese si ritrovano appunto disoccupato.

Venti miliardi di euro buttati nella fornace della decontribuzione non hanno fornito, per ora, risultati apprezzabili.

E, purtroppo, non è tutto. Viene infatti da chiedersi come si possa commentare la notizia riportata lo scorso 31 gennaio dal Messaggero , che ha annunciato come il ministero della Pubblica Amministrazione – guidato da quella Marianna Madia incredibilmente riconfermata al governo da Paolo Gentiloni dopo la bocciatura nel referendum – stia preparando un’infornata di assunzioni per i precari del pubblico impiego.

Non solo 76mila “precari storici” ormai impiegati da cinque sei anni con contratti flessibili o a tempo determinato e che dovrebbero essere assunti direttamente. Ma anche 40mila titolari di Contratti di collaborazione “Co.co.co”, che dovranno passare per un concorso pubblico.

Numeri che fanno strabuzzare gli occhi considerando che Capiredavverolacrisi ha già dimostrato come la macchina pubblica italiana possa funzionare benissimo con un numero inferiore di dipendenti e a costi decisamente minori. La mossa della Madia arriva però, guardacaso, proprio nell’imminenza dell’ennesima campagna elettorale.

Esclusi dall’infornata di assunzioni, naturalmente, tutti coloro che furono precari grazie al Jobs Act e che ora rientrano nel fatidico 40% (di disoccupati). Per loro, che si rivolgono al privato, non c’è assunzione: la loro marchetta elettorale l’hanno già avuta.

Capire davvero la crisi

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