Il presidente Usa sembra aver perso la battaglia contro i produttori di pistole. Nonostante le sue pressioni, l’import è a livelli record. E la presa della National Rifle Association sul Congresso è più forte che mai
«Se mi chiede qual è il settore in cui sento di essere stato più frustrato e più ostacolato è il fatto che gli Stati Uniti sono la sola nazione avanzata sulla Terra in cui non abbiamo leggi di buon senso per il controllo delle armi, nonostante le ripetute uccisioni di massa. Se consideriamo il numero di americani uccisi per terrorismo dall’11 settembre sono meno di cento, mentre le vittime della violenza delle armi sono nell’ordine delle decine di migliaia. Non essere in grado di risolvere questo problema è stato angosciante: ma non è un tema sul quale ho intenzione di smettere di lavorare nei restanti 18 mesi».
Queste parole di Barack Obama arrivavano, consegnate al microfono di un inviato BBC, all’indomani della strage di Charleston, in cui Dylann Storm Roof, 21 anni, ha fatto fuoco con una pistola calibro 45 regalatagli per il compleanno dal padre, all’interno della Emmanuel African Methodist Episcopal Church durante una lettura della Bibbia. Il bilancio della sua azione: nove morti – tre uomini e sei donne -membri della comunità afroamericana che frequenta la chiesa tra cui anche il pastore, il reverendo Clementa Pinckney, senatore del Partito democratico.
Un mix di impotenza e frustrazione del comandante in capo della Nazione più potente della Terra, che fa chiaramente trasparire l’influsso e la capacità d’azione della lobby delle armi negli Stati Uniti. Quasi sfrontata nell’attaccarlo («Il presidente Obama – affermarono commentando gli ultimi dati del Bureau of Alcohol, Tobacco, Firearms and Explosives –non si fermerà di fronte a niente per spogliare i cittadini del loro diritto costituzionale di difendersi»). E nell’evidenziare che proprio gli annunci di leggi più restrittive sulla detenzione delle armi hanno indotto le persone a correre ad acquistarle: «Barack Obama merita il premio di “Venditore di armi del decennio”» ha commentato, non senza sarcasmo,Erich Pratt, portavoce di Gun Owners of America. «Il presidente è stato implacabile nei suoi attacchi contro il Secondo Emendamento alla Costituzione (quello del 1791 che garantisce il diritto di possedere armi, ndr) e non c’è da stupirsi che la gente abbia paura e voglia proteggersi» ha aggiunto Jennifer Baker, portavoce della National Rifle Association (NRA).
In effetti, i dati sembrano incontrovertibili: durante la presidenza Obama la produzione di armi da fuoco negli Stati Uniti è passata da meno di 4,5 milioni di unità a oltre 10,8 milioni di unità con un incremento del 140%: è vero che l’export è cresciuto nell’insieme, però riguarda meno di 400mila unità; ma è aumentato soprattutto l’import che nel 2013 ha superato i 5,5 milioni di unità toccando un record trentennale.
Anche sul fronte della legislazione, le notizie non sono incoraggianti. Come riporta una meticolosa inchiesta del New York Times del dicembre 2013, cioè a un anno esatto dalla strage di Newtown (alla Sandy Hook Elementary School un ventenne aprì il fuoco uccidendo 27 persone, tra cui 20 bambini sotto i 7 anni), delle 109 nuove leggi approvate nei vari Stati solo un terzo ha effettivamente rafforzato le restrizioni sulle armi, mentre la maggior parte le ha di fatto ammorbidite. Ed è proprio su questo versante che si manifesta la potenza mediatica della lobby delle armi negli Stati Uniti. Una lobby capitanata dalla National Rifle Association (NRA), una delle più influenti degli Stati Uniti: un’entità che Obama conosce bene e di cui ha ripetutamente evidenziato l’influsso su Camera e Senato: «Sfortunatamente, la presa della NRA sul Congresso è estremamente forte – ha ribadito nei giorni scorsi. E non prevedo nessuna iniziativa legislativa all’orizzonte, finché l’opinione pubblica Usa non sentirà un senso d’urgenza che porti a dire “tutto questo non è normale, possiamo cambiare qualcosa e abbiamo intenzione di cambiarla”».
Eppure, una recente ricerca dell’Harvard Injury Control Research Center smentisce numerose delle tesi sostenute dalla lobby armiera. A cominciare da quella secondo cui “possedere un’arma in casa rende più sicuri” (lo pensa solo il 5% degli intevistati, il 64% sostiene l’esatto contrario). Ma, soprattutto, l’inchiesta dimostra che per il 72% degli americani leggi più severe sulle armi aiutano a ridurre gli omicidi. Eppure questo punto di vista pare non riuscire a far breccia tra le maglie dei legislatori statunitensi. Inutile domandarsi di chi è il merito.
DOVE PRENDONO I SOLDI I LOBBISTI?
La National Rifle Association (NRA) è un’organizzazione ben strutturata tanto da essere considerata “la lobby più influente degli Stati Uniti”. Potente con l’elettorato e, ancor di più, con il ceto politico: secondo il Centro Open Secrets l’influenza della NRA si fa sentire non solo attraverso i contributi elettorali, ma anche con i milioni di dollari di spese non rese pubbliche (off-the-book ) per diffondere annunci pubblicitari. Le sole sue spese di lobbying sono nell’ordine di svariati milioni di dollari all’anno, usati per esercitare la sua influenza su agenzie governative, membri del Congresso e su vari ministeri tra cui quelli degli Interni e del Commercio.
Un’imponente organizzazione, fondata nel lontano 1871, che oggi può disporre di svariati milioni all’anno (il Washington Post parla, forse esagerando, addirittura di 250 milioni) raccolti attraverso donazioni e sostegni di singoli aderenti, spesso esentabili dalle tasse, ma soprattutto col contributo delle maggiori aziende produttrici di armi e delle ditte specializzate nella rivendita. Come riporta una delle rare indagini in questo oscuro ambito, promossa dal Violence Policy Center (VPC), la NRA ha messo a punto uno specifico “Corporate Partners Program ” (Programma per le aziende) per incrementare i contributi da parte delle ditte produttrici e rivenditrici di armi.
Tra i donatori primeggia Midway USA, un colosso nella vendita online (non ha negozi fisici) di armi e munizioni di tutti i tipi che non solo ha donato più di cinque milioni di dollari alla NRA di cui è lo sponsor ufficiale del meeting annuale, ma soprattutto ha contribuito a creare il “NRA Roundup Programme ” per promuovere la raccolta fondi della lobby armiera. Seguono una serie di aziende produttrici di armi e munizioni: Smith & Wesson, Sturm, Ruger & Co., Blaser USA, Glock, Noser, Barret, Remimgton, Browning. C’era anche la Colt che nelle scorse settimane ha dichiarato bancarotta. Ma soprattutto spicca il gruppo Beretta USA che nel 2008 ha donato un milione di dollari all’”Istituto NRA per l’azione legislativa e le attività per la difesa dei diritti civili”. Obiettivo: difendere e ampliare la portata del Secondo Emendamento. E in quei soldi c’è tanta Italia: la Beretta USA fa parte infatti della Beretta Holding, interamente controllata dalla famiglia Gussalli Beretta di Gardone Val Trompia in provincia di Brescia.
BERETTA, DAL MARYLAND AL TENNESSEE PER PUNIRE IL GOVERNATORE “OSTILE”
Il governatore di uno Stato decide di promuovere leggi più restrittive sulle armi? E io chiudo la fabbrica. È quello che la Beretta ha deciso nel febbraio 2014, chiudendo lo storico stabilimento di Accokeek nel Maryland per aprirne uno nuovo a Gallatin, nel Tennessee. In un comunicato, il presidente Ugo Gussalli Beretta, dimessosi poche settimane fa, giustificava la decisione attaccando frontalmente la decisione dell’allora governatore Martin O’Malley (un liberal del partito democratico) per la sua scelta di limitare la diffusione delle pistole. “Pattern of harassment” (una “prassi di molestie”) contro i legali possessori di armi, fu definita la scelta del governatore. Una presa di posizione inusuale per l’azienda italiana che è stata duramente criticata dalle associazioni statunitensi per il controllo delle armi: «Contesta una legge che è molto meno restrittiva di quelle che in Italia proteggono la sua famiglia», ha commentato Jonathan Lowy, del Brady Center to Prevent Gun Violence. Gussalli Beretta ha ovviamente taciuto nella sua lettera i milioni di dollari di finanziamenti pubblici dello Stato del Tennessee ricevuti per aprire la sua azienda. Ma anche così funziona la lobby delle armi. Che nella cinquecentenaria azienda italiana fornitrice di armi alle polizie e all’esercito Usa trova uno dei suoi più attivi azionisti.
Di Giorgio Beretta (Analista dell’Osservatorio Permanente sulle Armi Leggere e Politiche di Sicurezza e Difesa di Brescia) ed Emanuele Isonio