Oggi il governo ha organizzato festeggiamenti nelle piazze italiane per ricordare l’abolizione della Imu/Tasi sulla prima casa. Una imposta è venuta meno e ciò è positivo, non c’è che dire, ma c’è davvero da celebrare? In questo articolo si spiega cosa è davvero la Tasi, perché milioni di italiani continuano a pagarla, e perché oggi – con tutte le altre scadenze fiscali pendenti – non era proprio il giorno adatto a un party: con questa tornata estiva, infatti, verseremo 40 miliardi di tasse nelle tasche dello Stato.
“Una seconda festa della liberazione”. Così il presidente del Consiglio, Matteo Renzi, ha detto di voler ricordare la giornata di oggi. E’ il 16 giugno, infatti, e gli italiani non pagheranno la prima delle due rate dell’imposta sulla prima casa, Imu o Tasi che sia. L’abolizione di questo oneroso balzello è stata decisa nella scorsa legge di Stabilità, scritta dal governo in carica cui questa volta va dato atto di aver agito in controtendenza rispetto agli ultimi anni. Detto ciò, c’è davvero da festeggiare un “no Imu Day” come suggerisce il Partito democratico? Non proprio. Intanto perché la Tasi (acronimo di Tassa sui servizi indivisibili) rimane in essere per milioni di italiani, poi perché spesso è più onerosa della vecchia Imu, infine perché in queste ore il governo sta comunque tartassando il contribuente italiano.
Chi paga ancora la Tasi? Le abitazioni principali, cioè le prime case, almeno quelle non di lusso, sono salve dal tributo. Sono colpiti invece tutti gli altri tipi di immobili. Chi possiede una pertinenza alla prima casa della stessa categoria catastale (cantine, garage, posti auto, tettoie) deve comunque versare l’Imu/Tasi, perdipiù con l’aliquota che spesso è quella delle seconde case. Rispetto all’Imu, c’è un’importante complicazione in più: poiché la Tasi è dovuta da chiunque possieda o detenga a qualsiasi titolo un’unità immobiliare, sono tenuti al pagamento pro quota anche gli inquilini, i comodatari e chiunque detenga l’immobile soggetto alla Tasi (la percentuale che deve pagare il proprietario e quella che deve pagare ad esempio l’inquilino varia a seconda del Comune). L’importo del tributo si calcola in modo pressoché identico all’Imu: occorre partire dalla rendita catastale dell’immobile al 1° gennaio 2016, rivalutarla del 5 per cento e moltiplicarla per il moltiplicatore catastale che varia a seconda della categoria catastale.? Entro il 16 giugno, quasi 25 milioni di proprietari di seconde case ma anche di prime rientranti nelle categorie “lusso” e pertinenze varie sono chiamati a versare il primo acconto di Imu e Tasi residua.
Quanto paghiamo di Tasi? Secondo i calcoli della Uil, la prima tranche della Tasi che si paga in questi giorni varrà, 10,1 miliardi di euro (per un totale di 20,2 miliardi di euro a conguaglio), con un costo medio sulla seconda casa di 535 euro oggi e di 1.070 euro medi totali a fine anno, con punte di oltre 2 mila euro nelle grandi citta?. Sulle prime case signorili, la media e? invece di 1.305 euro di acconto, per un totale annuale di 2.610 euro, con punte di oltre 6 mila euro. Anche se sull’abitazione principale non si pagano più le imposte – ha precisato in questi giorni Guglielmo Loy, Segretario Confederale della Uil – per 3,5 milioni di proprietari non è proprio così. Chi possiede una pertinenza alla prima casa della stessa categoria catastale (cantine, garage, posti auto, tettoie) deve comunque versare l’Imu/Tasi, e con l’aliquota che spesso è quella delle seconde case, con costi medi di 55 euro, con punte di 110 euro.
Oggi non si paga soltanto il mattone, gli italiani lo sanno bene. Come ha ricordato correttamente il quotidiano economico Sole 24 Ore, il tax day di oggi (16 giugno) “riguarda anche tutte le altre imposte”: la cedolare secca sugli affitti, i contributi previdenziali e i diritti camerali. E solo qualche giorno fa il governo Renzi, rendendosi conto che il “no Imu day” sarebbe apparso ridicolo in una giornata piena di scadenze fiscali, ha concesso a circa quattro milioni di contribuenti di effettuare alcuni versamenti entro mercoledì 6 luglio: parliamo di “società, imprese e professionisti soggetti a studi di settore e quelli che hanno scelto i regimi agevolati dei minimi (con imposta sostitutiva al 5 per cento) e i forfettari (qui l’imposta è al 15 per cento ma le start up hanno ‘diritto’ a uno sconto per i primi cinque anni di attività)”. Ciò non toglie che nel complesso, sempre secondo i calcoli del Sole 24 Ore, “la tornata estiva dei versamenti portare nelle casse dell’Erario qualcosa come 40 miliardi di euro. La parte maggiore arriverà dal versante imposte dirette: poco più di 13 miliardi per l’Ires e 9,5 miliardi dall’Irpef. Mentre l’Irap del settore privato risentirà appunto della riduzione legata alla componente lavoro. E, seppur alleggerito della componente legata alla Tasi sull’abitazione principale e all’Imu sugli imbullonati, il prelievo su immobili e fabbricati resta un’azionista di tutto ri- spetto per le casse pubbliche. L’acconto dovrebbe, infatti, portare 9,6 miliardi per l’Imu (quasi totalmente da seconde case e immobili non residenziali) e 600 milioni per la Tasi”.
Lo Stato fa lo “sconto” solo allo Stato (per ragioni elettorali). Mentre noi cittadini, insomma, ci mettiamo in fila per pagare tasse, utili – nel caso delle imposte sugli immobili – a riempire le casse dei comuni, il Governo Renzi starebbe lavorando proprio a uno sconto per i sindaci troppo spendaccioni. Secondo il quotidiano Repubblica, infatti, allo studio di palazzo Chigi ci sarebbe infatti un decreto volto a cancellare almeno mezzo miliardo di euro di multe per gli enti locali che non hanno rispettato i vincoli di bilancio (ovvero il “patto di stabilità”). Tra le città destinate a beneficiare del colpo di spugna, ci sarebbe- ro anche Roma, Milano, Torino e Napoli, guarda caso tutte al ballottaggio domenica prossima per eleggere il nuovo sindaco. Piccola obiezione: con la sanatoria, si corre il rischio di creare un disincentivo proprio per i comuni che oggi rispettano le regole, aprendo le porte a una gestione allegra dei soldi dei contribuenti.
Fonte: Capire davvero la crisi