Quando si parla di tasse, Mario Monti proprio non riesce a resistere. È più forte di lui. Non importa che si trovi a Palazzo Chigi o nei palazzi di vetro di Bruxelles: l’austerità è una religione. Infatti la sua attuale occupazione è quella di escogitare un altro modo per salassarci, come se non bastasse quello che ha fatto nel 2011. Il Preside da qualche tempo, guida un gruppo di studio creato dalla Commissione europea. È una squadra composta da dieci persone (tra cui il vice presidente della Commissione Frans Timmermans e l’economista tedesco Clemens Fuest). Devono mettere mano al bilancio dell’Unione Europea per rimediare ai buchi creati dalla Brexit. Il rapporto verrà sottoposto il prossimo 27 gennaio ai ministri delle Finanze degli Stati membri. L’uscita della Gran Bretagna significa che verranno a mancare circa sei miliardi. Mica robetta. Come si fa a contenere il danno? Forse limitando gli esborsi assurdi? Beh, da qualche parte i soldi bisognerà pur trovarli, visto che l’Ue non può indebitarsi e ha dei tetti di spesa fissati dai trattati. Motivo per cui bisognerà ridiscutere i contributi dei singoli Stati a Bruxelles. Significa nuove gabelle in arrivo per i Paesi membri. Secondo i giornali inglesi, le opzioni sul tavolo sono molteplici. Tra queste, una tassa sull’energia elettrica e un prelievo sulla benzina. Sì, proprio quello che aveva suggerito il ministro tedesco Wolfgang Schäuble nei mesi scorsi: una bella tassa sul carburante per coprire i costi dell’emergenza immigrazione. Per sapere come andrà a finire dovremo aspettare i prossimi giorni, ma le premesse non sono per niente buone. Una revisione dei contributi richiesti dall’Ue agli Stati membri guidata da Monti già fa temere il peggio. Ma il fatto che circolino proposte come la tassa sull’energia e quella sulla benzina fa davvero correre un brivido lungo la schiena. Qualche mese fa, fu “Repubblica” a rivelare qualche dettaglio su ciò che frullava nella testa dell’ex premier italiano. «Monti, stando alle indiscrezioni», scrisse, «proporrà di aumentare la quota di Iva girata dai Paesi a Bruxelles dall’attuale 1% all’1,25-1,50 (in Italia il gettito è di circa 100 miliardi l’anno). Potrebbe poi essere l’occasione per rendere europea la Tobin tax sulle transazioni finanziarie, che proprio Monti da premier introdusse nel 2013 in Italia nella misura dello 0,2% di ogni transazione». Capite bene che le condizioni di partenza non sono delle migliori. Dopo tutto, l’euroburocrate perde il pelo ma non il fisco.