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Nel 2012-13 gli Stati Uniti e l’Iran hanno combattuto una guerra finanziaria. Con il senno di poi, secondo il nostro amico Jim Rickards, è finita in pareggio.
Abbiamo documentato questa guerra su queste pagine e ora Rickards ci ha aiutato a riempire i buchi in un breve passaggio tratto dal suo nuovo libro The Death of Money: The Coming Collapse of the International Monetary System.
Prima di tutto, facciamo un passo indietro. A marzo 2012 gli Stati Uniti e l’Unione Europea imposero sanzioni economiche contro l’Iran, chiudendo il paese fuori dalla rete globale dei pagamenti chiamati SWIFT. Inoltre, sempre nello stesso mese, le esportazioni di oro dalla Turchia all’Iran raddoppiarono rispetto al mese precedente — superiori di 37 volte ai numeri del marzo 2011.
“Non è stato difficile unire i puntini”, abbiamo scritto sulla nostra newsletter a pagamento Apogee Advisory: “Il gas naturale è la fonte di quasi tutta l’elettricità in Turchia. Più del 90% delle esportazioni di gas dell’Iran finiscono in Turchia. L’Iran fornisce il 18% del gas naturale alla Turchia. Senza l’Iran, la Turchia dipenderebbe quasi interamente da un unico fornitore di gas — la Russia. Con le sanzioni, la Turchia non può pagare per il gas iraniano con dollari o euro. Così paga con l’oro.”
Anche l’India ha pagato con l’oro il petrolio iraniano. L’Iran poteva quindi utilizzare l’oro per comprare cibo o manufatti da Russia e Cina.
“Gli Stati Uniti”, scrive Rickards, “hanno innescato un crollo valutario (iperinflazione) e una corsa agli sportelli e hanno causato una scarsità di beni alimentari, benzina e beni di consumo quando hanno tagliato fuori l’Iran dal sistema dei pagamenti globali.” L’oro era diventato un’àncora di salvezza per l’Iran.
A luglio 2013 il Tesoro americano l’aveva capito… e così ha cominciato ad accelerare l’imposizione di un divieto di vendere oro all’Iran — “un tacito riconoscimento da parte degli Stati Uniti che l’oro è denaro”, aggiunge seccamente Rickards.
Con la chiusura del viale dell’oro, l’Iran ha amplificato le sue operazioni in valuta estera con le banche non soggette all’embargo. “L’Iran poteva spedire petrolio in India e ricevere rupie indiane depositate sul suo conto in banche indiane”, spiega Rickards a titolo di esempio. Scomodo, certo, ma il risultato era assicurato.
“L’Iran utilizza anche le banche cinesi e russe per operazioni di facciata in modo da aggirare le sanzioni”, scrive Rickards. “Prima che fossero approvate le sanzioni, ha accumulato grandi depositi nelle banche cinesi e russe. Quelle banche hanno poi condotto normali bonifici attraverso lo SWIFT a favore dell’Iran, senza rivelare che esso fosse il beneficiario effettivo.”
“L’Iran”, scrive Rickards, “ha anche dimostrato come la guerra finanziaria e la guerra informatica possano essere combinate in un attacco asimmetrico ibrido.”
A maggio dello scorso anno, gli esperti hanno ritenuto che alcuni hacker iraniani abbiano fatto irruzione nei sistemi informatici che controllano oleodotti e impianti di gas naturale. “Manipolando questo software”, scrive Rickards, “l’Iran non solo ha potuto devastare la catena di approvvigionamento fisico, ma anche i mercati dei derivati ??energetici che dipendevano dall’offerta fisica e dalla domanda di price discovery.” Panico accidentale nei mercati, capito?
Verso la fine dello scorso anno, l’Iran e gli Stati Uniti hanno deciso di riprendere i negoziati sul programma nucleare dell’Iran. Nell’ambito di tale accordo provvisorio, il presidente Obama ha rimosso le sanzioni sugli acquisti di oro da parte dell’Iran — uno dei pochi modi con cui poteva alleviarle senza il consenso del Congresso.
“Per il momento”, conclude Rickards, “l’Iran ha combattuto gli Stati Uniti e siamo arrivati ad un punto morto in questa guerra finanziaria, nonostante gli enormi disagi per l’economia iraniana. La guerra finanziaria statunitense-iraniana 2012-13 illustra come le nazioni che non possono competere militarmente con gli Stati Uniti, potrebbero rivelarsi un osso duro sul campo finanziario o elettronico.”
Anzi. Ci piacerebbe fare un ulteriore passo. Quando l’Iran ha accettato di riprendere i colloqui sul nucleare, la presunzione di Washington è stata quella di dire che “le sanzioni hanno funzionato”.
Non è così, dice l’ex-ambasciatore William Miller, che era di stanza in Iran nel corso degli anni ’60 ed è in contatto con l’attuale regime. “Le sanzioni li hanno solamente resi più sprezzanti”, riferisce il Los Angeles Times.
Volete una prova? L’Iran ha messo sul tavolo la stessa offerta del 2003 — quando venne respinta dagli Stati Uniti. In realtà, era un’offerta migliore dal punto di vista di Washington. Allora l’Iran aveva solo 164 centrifughe nucleari; nel 2013 ne aveva 19,000.
Saluti,
[*] traduzione di Francesco Simoncelli
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