Il testo per il quale dei comunisti polacchi vengono incarcerati
Histoire et Societé 5 maggio
Monika presenta il caso dei quattro comunisti polacchi condannati senza diritto alla difesa per reato di opinione, che comincia ad essere noto… ma non vi è alcun reale sostegno. Invio un esempio del motivo per cui sono condannati! Un testo “ultraviolento” davvero… l’analisi di Beata Karon, una degli attivisti condannati per il seminario “Bilancio del Socialismo reale”, tenutosi presso il Forum Est Europeo di Wroclaw lo scorso marzo. Eco il testo, la storia dell’industria polacca e della sua distruzione da parte del capitalismo… Sarei molto felice se venisse pubblicata come petizione nei blog e giornali; in realtà non solo il contributo di questi giovani è importante per il bilancio della Polonia popolare, ma ancora si viene repressi per questo… Il sistema si fascistizza, finora si accontentava di privarci “solo” di posizione sociale, occupazione, riconoscimento e denaro, ma poi vanno dritti, come prima della guerra, dicendo che i comunisti devono stare in prigione! Naturalmente anche se questi giovani non sono condannati a nove mesi di carcere o al servizio sociale, si tratta di piegarli; è ben noto che la fedina penale impedisce di lavorare in scuole e servizi pubblici con i bambini… Anch’io penso che sia un test per vedere come reagiremo… E solo per un reato di opinione; si viene condannati per aver scritto su un giornale!
“L’industrializzazione della Polonia popolare e le sue conseguenze sociali”
Beata Karon, Partito Comunista Polacco
Negli ultimi 25 anni il quadro dei risultati economici della Polonia negli anni 1944-1989 è stata deliberatamente falsificato per giustificare interessi politici. Un esempio lampante di tale manipolazione è la famosa frase pronunciata nei primi anni ’90 da Jan Bielecki, allora primo ministro, che “i comunisti hanno distrutto l’economia polacca più dell’occupazione nazista“. L’anno scorso il presidente Komorowski ha detto che “la Polonia ha recuperato nel 1989 dalle mani dei comunisti un’economia in rovina“. Allo stesso modo istituzioni come l’Istituto della Memoria Nazionale evidenziava esagerando i problemi dell’economia defunta, mentre non presentava lo sviluppo raggiunto in quel periodo. Tale immagine di distruzione è completamente lontana dalla realtà. Nella Polonia popolare molti sviluppi positivi ebbero luogo, anche nel campo economico. L’industrializzazione meglio illustra le conquiste sociali del socialismo reale in Polonia. Ed è anche importante analizzare l’industrializzazione della Polonia popolare per capire come poté realizzarsi la trasformazione capitalistica.
Iniziamo presentando la Polonia nel 1945, una Polonia appena uscita dall’arretratezza economica della Seconda Repubblica e dalle rovine della guerra. Nel 1918-1939 la Polonia era un Paese agricolo e nel 1939 aveva un livello d’industrializzazione pari a quella dei territori polacchi nel 1913. Negli anni 1935-1939 furono costruite sotto la COP, Regione Industriale Centrale, solo 51 nuove imprese con 110000 dipendenti. Durante la Seconda guerra mondiale l’apparato produttivo fu quasi completamente distrutto. L’ufficio d’indennità di guerra cita nel rapporto del 1947 che il 64,5% delle strutture dell’industria chimica, il 64,3% delle tipografie, il 59,7% dell’elettrotecnica, il 55,4% del tessile, il 53,1% dell’alimentare e il 48% della metallurgia erano state distrutte. L’industrializzazione del dopoguerra fu il risultato delle trasformazioni politiche con la nazionalizzazione delle aziende, permettendo la ricostruzione senza l’intervento degli ex-proprietari e dei loro eredi. La nazionalizzazione della proprietà nelle città ne facilitò lo sviluppo consentendo la ricostruzione e la rapida costruzione di intere città laddove furono pianificati impianti di produzione. Le autorità crearono l’Istituto centrale di pianificazione (CUP) che attuò il Piano triennale per la ricostruzione economica negli anni 1947-1949. Il piano conteneva il programma per ricostruire rapidamente le fabbriche distrutte e sviluppare l’industria. Le statistiche dimostrano l’intensificazione degli investimenti. Se nel 1937 25 su 1000 persone lavoravano nell’industria, nel 1950 erano 85, più di tre volte tanto. Nel primo Piano Triennale furono costruite le maggiori aziende nella Polonia popolare come la Fabbrica di Automobili Personali (FSO) a Varsavia, nonché il famoso kombinat metallurgico di Nowa Huta. Nella seconda fase dell’industrializzazione nel 1951-1960, le autorità costruirono 519 aziende, il 32% degli impianti attivi nella Polonia popolare in quel periodo. Nei seguenti 10 anni furono costruite 617 imprese industriali. In totale, negli anni 1949-1988 furono aperte 1615 fabbriche con oltre 100 dipendenti. In queste aziende lavoravano più di 2 milioni di persone. Il valore della produzione di queste aziende fu di 17 miliardi di zloty, il 55% del valore dell’industria in Polonia. La metà della produzione industriale in Polonia si concentrava su cinque settori, acciaio, energia, industria chimica, trasformazione dei prodotti alimentari e miniere. Il maggior numero di aziende fu creato nel settore alimentare, 295, spesso più piccole di quelle dell’industria pesante. Furono inoltre create 142 imprese ad alta tecnologia.
L’industrializzazione comportò cambiamenti demografici. Nel 1946 oltre il 68% dei polacchi viveva nei villaggi. In seguito a sviluppo e costruzione di città correlate alle infrastrutture industriali, nel 1960 tale tasso scese al 51,7%. Tuttavia le disuguaglianze territoriali tra aree industriali ed agricole diminuirono perché aziende industriali furono aperte anche nelle città di medie dimensioni, trainando lo sviluppo delle piccole città e dei villaggi. Nacque la nuova classe operaia e nuove classi medie con la mobilità sociale consentita da industrializzazione e urbanizzazione. Lo sviluppo dell’industria creò stabilità occupazionale. I diplomati delle scuole professionali trovavano lavoro immediatamente con una prospettiva di carriera per diversi decenni. Le differenze di reddito tra capireparto e operai non erano molto grandi e furono accettate dalla società. Le aziende create nella Polonia popolare garantirono ai dipendenti, immediatamente dopo l’assunzione, notevoli benefici oltre allo stipendio. Questi benefici erano composti da case di cultura, centri medici aziendali, scuole professionali, alloggi aziendali. L’industrializzazione culminò negli anni ’70 con la costruzione di grandi industrie mentre le autorità cercarono in primo luogo di sviluppare tecnologie avanzate. Nel 1970 137 polacchi su 1000 lavoravano nell’industria, e nel 1980 erano 147 su 1000. Nelle aziende all’inizio degli anni ’70, furono creati 2 milioni di nuovi posti di lavoro, soprattutto nella metalmaccanica (202000), quindi nell’estrazione (187000) e nella siderurgia (173000 posti di lavoro). Negli anni ’80 il numero di addetti all’industria diminuì e comparvero i primi sintomi della de-industralizzazione, infatti iniziarono a chiudere alcune controllate già destinate alla privatizzazione. Le nuove joint venture ricevevano dalle società capitale gratuito, macchinario avanzato e personale meglio addestrato. Dal 1989 la “trasformazione” con la privatizzazione capitalista iniziò liquidando su larga scala le industrie. Dal 1989 al 2012 657 aziende delle 1615 costruite nella Polonia popolare furono chiuse, il 40% delle imprese costruite nella Polonia popolare fu così distrutto. Inoltre, date le grandi dimensioni, la distruzione ebbe conseguenze economiche e sociali gravi per intere regioni. Così i nuovi governi distrussero più di 834000 posti di lavoro, tra cui 640000 nelle maggiori imprese, quelle con oltre 1000 dipendenti. 242 aziende di queste dimensioni furono liquidate. Tra le 657 aziende defunte, solo 28 furono chiuse per obsolescenza tecnologica e 18 per tutela ambientale. Se si aggiungono 86 aziende chiuse per redditività non immediata, si hanno 132 aziende, meno di un quarto ebbe motivo di essere chiuso. Nelle 500 società rimanenti, la distruzione fu causata da “forza del mercato”, cattiva gestione e liquidazione per decisioni puramente politiche. Tali società furono svendute e i nuovi proprietari perseguivano accaparramento di capitali o mera distruzione, perché erano concorrenti. Un esempio è la compagnia di cellulosa e carta Kostrzyn venduta ad un capitalista svedese per 0,8 milioni di zloty, mentre il bilancio della società (valore meno il debito) era superiore a 250 milioni di zloty.
L’acciaieria Huta Warszawa è l’esempio della privatizzazione. Negli anni del boom impiegava 10000 dipendenti, aveva una propria scuola professionale che ogni anno diplomava 1000 allievi. La ristrutturazione dei primi anni ’90 ridusse il numero di dipendenti a 4500. Nel 1992 la società italiana Lucchini rilevò la fabbrica trasformandola in società a responsabilità limitata, riducendo ulteriormente i posti di lavoro, ma promettendo di mantenere i benefici e la modernizzazione della produzione. Lucchini però continuò a dislocare diversi settori produttivi. La liberalizzazione del mercato dell’acciaio fece il resto. Nel 1999 l’azienda aveva non più di 2000 impiegati. Ciò che rimaneva degli altiforni di Huta Warszawa non poteva competere sul mercato siderurgico globale. Nel 2005 ArcelorMittal acquistò l’impianto. Con la crisi del 2008 ArcelorMittal decise di rivendere la controllata polacca per recuperare le perdite dovute a multe per pratiche monopolistiche e danni ambientali altrove. Nel 2013 la maggior parte dei posti di lavoro diHuta Warszawa era persa e gli operai furono licenziati, rimanendone solo 200, costretti a licenziarsi per rallentamento della produzione e cessazione degli investimenti. Oggi la fabbrica è fallita e la sua produzione non ha alcun valore sul mercato. Un altro impianto emblematico della storia della Polonia e di Varsavia fu distrutto nello stesso modo. La FSO,Fabryka Samochodów Osobowych, Fabbrica di Automobili Personale. Per la FSO 13 aziende subappaltatrici producevano parti di auto nel Paese. La fabbrica impiegava molte persone che vivevano nei villaggi della regione o nei sobborghi di Varsavia. Dai primi anni ’90 molti posti di lavoro andarono persi. La società non investì nelle nuove produzioni, in attesa dell’acquisizione da parte di un investitore. Nel 1995 i politici decisero di privatizzarla chiudendola e trasferendone il patrimonio alla Società del Tesoro Pubblico, che firmò unajoint venture con la Daewoo. L’accordo siglato con la multinazionale coreana prevedeva il mantenimento dei posti di lavoro per 3 anni e benefici ai lavoratori. Nel 1996, 20000 persone erano impiegate nella FSO, ma ci furono problemi finanziari anche per la Daewoo, portando alla chiusura della società polacca. L’azienda coreana prima chiuse molte aree dello stabilimento nel 2004 e quindi cessò la produzione. Per un certo periodo un oligarca ucraino fu proprietario dell’impianto, ma non fece alcun investimento. Nel 2009 vi erano 2500 dipendenti nella società di cui 600 rapidamente licenziati. La crisi del capitalismo fu mortale per la FSO: la General Motors che vendeva le Chevrolet prodotte a Varsavia violò nel 2011 gli accordi firmati. La produzione fu interrotta completamente e la SARL FSO non è che residuale. Produce serbatoi di carburante, impianti elettrici per auto, recinzioni da giardino, lampade, giocattoli Lego o componenti per lavatrice.
Attualmente il 30% dei dipendenti polacchi ancora lavora nell’industria. Tuttavia non vi sono grandi aziende, ma reti di piccole imprese che impiegano meno dipendenti e sono geograficamente disperse con una produzione diversificata. Il carattere della produzione è anche cambiato. Durante la Polonia popolare, la progettazione dei prodotti era il frutto di ingegneri locali e si vendevano prodotti creati dalla A alla Z in loco. Attualmente le aziende internazionali che investono in Polonia vogliono implementare elementi prodotti altrove o produrre solo componenti da assemblare in altri Paesi. Le imprese industriali hanno assai meno indipendenti e sono molto vulnerabili alle crisi del capitalismo. Analogamente, il processo di urbanizzazione s’è invertito con la distruzione dell’industria nata nella Polonia Popolare. Nel 1991 il 62% della popolazione polacca viveva in città nel 2009 meno del 61%, con tendenza alla diminuzione. La de-industrializzazione della Polonia dal 1989 fu più veloce e più massiccia rispetto agli altri Paesi europei, comportando disoccupazione di massa, regressione sociale e culturale, emigrazione, in particolare dei giovani. La distruzione delle imprese industriali in Polonia è in gran parte effetto di decisioni puramente politiche, uno degli obiettivi del nuovo potere era sbarazzarsi del bene pubblico nazionale, in modo che gli investitori stranieri ne disponessero liberamente senza preoccuparsi delle conseguenze sociali.Traduzione di Alessandro Lattanzio – SitoAurora