È stato uno dei temi dominanti nella discussione sul TTIP e sul CETA – lo strapotere delle multinazionali. Non si tratta di una questione astratta, ma carica di conseguenze pesanti sulle nostre vite. Questo articolo dello Scientific American denuncia un esempio della pressione delle aziende farmaceutiche: la diagnosi gonfiata di malattie, in questo caso psichiatriche, per aumentare i profitti sui farmaci. In Usa due terzi dei bambini cui vengono prescritti farmaci psichiatrici contro il disturbo da deficit di attenzione/iperattività (ADHD) probabilmente non ne hanno bisogno e si ritrovano ad assumerli – con tutte le conseguenze del caso – senza soffrire della malattia. Una denuncia impressionante, che è solo uno degli esempi possibili: la iperprescrizione di farmaci è da tempo emersa come uno dei problemi peggiori della medicina nel mondo occidentale.
di Gareth Cook, ottobre 2016
Traduzione di Guglielmo, con la collaborazione della redazione
Secondo l’American Psychiatric Association, circa il 5% dei bambini americani soffre di disturbo da deficit di attenzione/iperattività (ADHD). E invece questo disturbo è diagnosticato al 15% dei bambini, molti dei quali sono sottoposti a un pesante regime farmacologico, con conseguenze che durano per l’intera vita. Questo è il tema centrale del nuovo libro del giornalista Alan Schwarz, ADHD Nation. Trovare una spiegazione per questo fatto – ovvero come possa verificarsi che due terzi dei bambini cui è stato diagnosticato l’ADHD in realtà potrebbero non soffrire di questo disturbo – è il mistero al cuore del libro. La soluzione è una schiacciante accusa contro l’industria farmaceutica, e una descrizione allarmante di ciò che viene fatto ai bambini in nome della salute mentale.
L’autore ha parlato con Gareth Cook, giornalista di Mind Matters.
Cosa l’ha spinta a scrivere questo libro?
Nel 2011, dopo aver passato quattro anni a fare luce per il New York Times sui pericoli legati ai traumi nella National Football League e negli sport giovanili, cercavo un altro progetto. Avevo sentito che gli studenti della scuola superiore nel Westchester, da cui provengo (appena a nord di New York), sniffavano Adderall prima dei S.A.T (Scholastic Assessment Test) per essere più concentrati durante l’esame. Ero inorridito e volevo saperne di più. L’ho vista non come una storia di “psichiatria infantile”, e neppure di “abuso di farmaci”, ma come una storia sulla pressione scolastica e sulle richieste da cui i nostri figli si sentono schiacciati.
Quando ho esaminato la faccenda più a fondo, è emerso molto chiaramente che il nostro sistema nazionale per il trattamento dell’ADHD andava completamente alla cieca – in pratica, molti dottori prescrivevano il farmaco senza fare particolare attenzione al fatto che il bambino avesse realmente o no l’ADHD, e in seguito le pastiglie venivano comprate e vendute tra studenti che non avevano nessuna idea di ciò che stavano assumendo. Ho posto domande su questo fatto agli esperti ufficiali di ADHD e di psichiatria infantile, e questi hanno negato che ciò stesse accadendo. Hanno negato che ci fossero molte false diagnosi. Hanno negato che i ragazzi vendessero e comprassero pastiglie. Hanno negato che i tassi nazionali di diagnosi riportati dal C.D.C (Centers for Disease Control and Prevention) – in quel momento il 9.5% dei ragazzi tra i 4 e i 17 anni, ora l’11% e la percentuale è ancora in crescita – fossero valide. In sostanza, hanno negato che ci fosse qualcosa che non andava in assoluto nel settore. Alla fine, hanno negato troppo. Su tutto questo ho scritto una decina di articoli in prima pagina sul New York Times tra il 2012 e il 2014.
In che senso l’ADHD è “un’epidemia”, e come è stata “costruita”?
L’ADHD di per sé non è un’epidemia- le diagnosi errate di ADHD sono un’epidemia. Se il sistema funzionasse in un modo tale da stare attorno al 5% di diagnosi, come le indicazioni ufficiali dell’American Psychiatric Association suggeriscono, non saremmo in questo guaio. Ma il sistema non funziona in modo adeguato, nemmeno lontanamente. Circa il 15% dei bambini americani arrivano ai diciotto anni con una diagnosi di ADHD, il 20% dei ragazzi, e il 30% dei ragazzi che vivono al Sud. È completamente indifendibile. È tempo di capire che anche se non si può rimediare a tutto ciò, perché ormai quel che è fatto è fatto, bisogna migliorare il sistema per fare la diagnosi ai bambini che realmente rientrano nelle caratteristiche del disturbo e per aiutare gli altri bambini in altri modi. Molti bambini hanno problemi e necessitano di aiuto – ma molti di questi problemi in molti casi derivano da traumi, ansia, discordie familiari, poco sonno o dalla dieta, da bullismo scolastico o da altro. Non dobbiamo abbandonarli. Dobbiamo aiutarli. Ma dobbiamo anche essere più riflessivi nel farlo, invece di diagnosticare loro automaticamente un disturbo mentale serio e che li accompagna per tutta la vita.
Quanto a come questa epidemia è stata “costruita”, è chiaro che qualsiasi cosa l’ADHD sia, da qualunque causa venga e in qualsiasi modo si manifesti nelle diverse persone, è stata ingrandita molto al di là delle ragionevoli proporzioni. Il disturbo può esistere e deve essere rispettato senza che sia erroneamente diagnosticato a milioni di bambini in più. Non è colpa del disturbo se gli adulti che devono occuparsene hanno creato questo caos. Noi, gli adulti, lo abbiamo fatto diventare qualcosa in cui non doveva essere trasformato.
Quale ruolo hanno giocato le aziende farmaceutiche?
Un ruolo assolutamente prevedibile. Noi siamo una nazione pienamente capitalistica, particolarmente per quanto riguarda i medicinali, e l’industria farmaceutica ha grandi incentivi finanziari a produrre farmaci che rispondano ai bisogni medici. Tutti noi ne beneficiamo – sia che si parli dell’Advil che ho preso la scorsa notte per il mal di testa, o della chemioterapia che ha fatto mio fratello 30 anni fa a causa del Linfoma di Hodgkin. Non c’è nulla di sbagliato nel fatto che producano quello che le persone vogliono. Il problema, nel mondo dell’ADHD e in altri – in particolare nell’ambito della psichiatria – è che le aziende si sono interamente impadronite del campo. Hanno inglobato tutti i migliori ricercatori e medici del campo e hanno dato loro compensi a cinque, sei, addirittura sette zeri per condurre studi che vanno tutti nella stessa direzione: l’ADHD è molto più diffuso e pericoloso di quanto si può pensare, i farmaci funzionano meravigliosamente e senza quasi effetti collaterali, e se non diagnostichi e curi un bambino, lui o lei sarà destinato alla sventura scolastica e sociale, a fare incidenti in auto, a contrarre malattie veneree e molto altro.
Certo, tutti questi risultati ottenuti negli studi erano fondati su una piccola base di verità, ma sono stati esagerati senza scrupoli proprio per spaventare dottori e genitori e spingerli a fare diagnosi e dare farmaci ai bambini, senza gran riguardo al fatto che i loro problemi potrebbero non derivare dall’ADHD, ma da qualcosa d’altro, qualcosa di più complicato, e qualcosa magari che meriterebbe molta più attenzione e cura di una compressa di anfetamina al giorno. Tutto questo è stato orchestrato nell’alone di prestigio delle istituzioni accademiche – è facile cavarsela quando i medici che conducono gli studi insegnano ad Harvard, alla Johns Hopkins e a Berkeley, con solo minuscole postille in cui si dichiara che il loro lavoro è finanziato dai fabbricanti di farmaci e ricompensato da contratti di consulenza e divulgazione.
In seguito, a peggiorare le cose, le aziende farmaceutiche hanno usato questi studi per confezionare messaggi pubblicitari, in ultimo rivolti ai genitori stessi, che descrivono in maniera sbagliata ciò che il loro prodotto è, cosa cura, e cosa fa. Disgustoso, ma è così. Non è vero che i farmaci per l’ADHD consentono ai ragazzi di prendere “i voti che si confanno alla loro intelligenza”, che è ciò che un’inserzione pubblicitaria dell’Adderall XR diceva ai genitori sulla rivista People (gli Stati Uniti sono pressoché l’unico Paese nel mondo sviluppato a permettere pubblicità rivolta direttamente ai consumatori di farmaci venduti solo sotto controllo medico, come i medicinali per l’ADHD). Un’altra pubblicità presentava una madre che, grazie ai farmaci per l’ADHD, poteva dire al figlio “Sono orgogliosa di te”. Tutto ciò è disgustoso. Ma non c’è alcuna ripercussione per le aziende che lo fanno. Tutti i farmaci per l’ADHD – Adderall XR, Concerta, Vyvanse, Metadate o come si voglia chiamarlo – hanno ricevuto una condanna formale dalla Food and drug administration (Fda) per pubblicità falsa e ingannevole. Tutti.
Il Dottor Keith Conners è una figura interessante. Che cosa ritiene così intrigante nella sua storia?
È l’Oppenheimer dell’ADHD. È stato Conners, nei primi anni ’60 alla Johns Hopkins, a condurre il primo trial clinico ufficiale sull’uso del Ritalin nella cura di bambini indisciplinati (gli studi furono finanziati dal produttore del Ritalin, la CIBA.) I risultati furono incredibilmente interessanti – questo farmaco aiutò alcuni bambini che avrebbero potuto non riuscire a ricevere un’educazione ragionevole, né a vivere una vita familiare decente, a imparare a seguire le regole e prestare attenzione in un modo che ha trasformato le loro vite. Questi risultati hanno aiutato a spingere la ricerca verso ciò che allora era chiamato Disfunzione neurologica minore o Reazione ipercinetica dell’infanzia, e furono nuovi farmaci efficaci nel trattamento per ciò che noi ora chiamiamo essenzialmente ADHD. Conners diventò un campione nella diagnosi e nel trattamento, curò bambini nella sua università e nella clinica con cui collaborava, sviluppò una scala di sintomi per aiutare altri clinici a identificare e trattare il disturbo e lavorò per quasi tutte le aziende farmaceutiche a condurre trial clinici su nuovi e migliori medicinali. Tutto ciò fu fatto in buona fede e per il beneficio dei bambini. Ma durante gli anni ’80, ’90 e 2000, era così focalizzato su questi onesti fini che non prestò attenzione a come il settore stava completamente andando fuori strada. Non aveva realizzato di che cosa era diventato parte. Ora se ne è reso conto, e definisce le diagnosi sbagliate di ADHD “un disastro nazionale di proporzioni pericolose”.
Lei descrive questo problema come una frittata ormai fatta. Qual è la strada per il futuro?
Non c’è alcun modo di contenere le diagnosi di ADHD attorno al 5% che l’American Psychiatric Association definisce appropriato, o magari attorno al 7 o all’8% includendo le persone che riescono a convivere con il disturbo (nessun sistema che implica una diagnosi soggettiva, come nel caso dei disturbi psichiatrici, sarà mai perfetto, e non possiamo aspettarcelo). Ma all’11% di bambini e ragazzi che attualmente hanno trai i 6 e i 17 anni è già stato detto che hanno l’ADHD da un medico, e nel momento in cui arriveranno all’età del college questa percentuale raggiungerà il 15%. Fanno parte dello zeitgeist medico e culturale, in parte perché i bambini che hanno avuto la diagnosi sono in così grande compagnia, e in parte perché i farmaci li aiutano, in generale, a comportarsi meglio a casa e a scuola. Tutto ciò è molto seducente per i genitori, i dottori, gli insegnanti e per chiunque si preoccupi dal comportamento dei bambini.
Che ci si creda o no, io direi che qualsiasi sorta di cambiamento improvviso nel trattamento dell’ADHD, qualsiasi significativa avversione nel permettere la diagnosi, nuocerebbe ai ragazzi che realmente rientrano nel disturbo e che beneficerebbero dei trattamenti – non possiamo reagire in maniera sproporzionata. Ciò che semplicemente dobbiamo fare è essere più riflessivi nelle diagnosi. Ai genitori e ai medici deve essere spiegato chiaramente che un bambino che ha difficoltà a stare attento o a stare seduto tranquillo a scuola, non ha, ipso facto, un disordine mentale permanente. È una cosa più complessa. Ci vuole del tempo per trovare quello che è meglio per ogni specifico bambino.
Noi, gli adulti, dobbiamo andarci più piano. Essere meno impulsivi. Prestare molta attenzione. Ciò che noi vogliamo dai nostri figli innanzitutto dobbiamo richiederlo a noi stessi.
FONTE: Voci dall’Estero