Haaretz, 26.05.2015

http://www.haaretz.com/opinion/.premium-1.658054

Ciò che in un contesto diverso sarebbe considerato apartheid è da molti tollerato in quanto dichiaratamente temporaneo. Ma l’occupazione ha smesso da molto tempo di essere temporanea.

di Aeyal Gross

Un giovane uomo di colore, in un atto di resistenza alle politiche di apartheid del Sud Africa, sale su un autobus riservato ai bianchi, a Durban, Sud Africa, nel 1986. (Foto Reuters)

In Sud Africa si parlava di due tipi di apartheid. Il primo, chiamato apartheid “meschino”, includeva la separazione dei servizi pubblici quali panchine, bagni e mezzi di trasporto. Il secondo, il “grande” apartheid, riguardava la divisione del territorio e i diversi diritti politici. Venivano designate aree separate dove i neri erano costretti a vivere, i cui residenti erano privati della cittadinanza sudafricana. Il governo sosteneneva che questi territori, noti come bantustan, erano sostanzialmente indipendenti. Se era facile fotografare l’apartheid meschino, che aveva espressioni palesi nei cartelli con scritto “Riservato ai bianchi”, l’impatto del grande apartheid non era certo meno duro.

Il tentativo di far viaggiare i palestinesi dei territori su autobus separati ha sollevato un fuoco di critiche sia da destra che da sinistra. Gli autobus segregati hanno un grande potere simbolico, in quanto ricordano a tutti la lotta iniziata da Rosa Parks, la donna americana nera che si rifiutò di sedere nella parte posteriore di un autobus nel 1955. Si tratta di un aspetto dell’apartheid che fotografa in modo chiaro, pur essendo solo una manifestazione di apartheid meschino, il lato più cospicuo della segregazione che è alla base del regime israeliano nei territori.

 

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