Di Sherif El Sebaie
“Diverse fondazioni e organizzazioni private a Washington, a Belgrado e a Doha, hanno offerto assistenza agli attivisti. Alcuni di loro sono stati addestrati da associazioni dietro le quali si possono intravedere la CIA o altri servizi segreti. Quasi tutte le rivolte sono state precedute da un’intensa attività di blogging sul web e sui social network: un mondo virtuale, come abbiamo visto, dietro cui si può nascondere chiunque. Alcune insurrezioni hanno seguito lo schema tattico della non violenza, quello teorizzato da Gene Sharp, Robert Helvey e Peter Ackerman, altre sono degenerate in guerre civili. In quel caso le forze speciali inglesi, francesi e americane hanno addestrato e aiutato i ribelli, soldati e mercenari hanno combattuto sul campo, sostegno logistico e armamenti sono stati offerti dai servizi segreti di mezzo mondo.
[…] La Primavera Araba, preparata o meno che fosse, è stata per Washington l’occasione per sbarazzarsi di regimi legati in qualche modo alla vecchia concezione statalista e nazionalista dell’economia, eredità del socialismo sovietico in salsa araba. In ballo c’è, come avvenuto dopo la caduta del Muro di Berlino nell’est Europa, un grande mercato dove fare largo alle imprese americane, finora osteggiate dal diffuso anti-americanismo islamico. «Le rivoluzioni democratiche in Tunisia, Egitto e Libia, e quelle ancora in corso in Siria e Yemen, sono imbevute di spirito imprenditoriale», ha detto il vicepresidente americano Joe Biden, parlando il 3 dicembre 2011 a Istanbul ad un convegno di imprenditori interessati a promuovere l’iniziativa privata nel mondo arabo. Sacrificare vecchi amici come Ben Alì, Mubarak, Saleh e tradizionali nemici, come Gheddafi e Assad, in nome del libero mercato, è una scelta obbligata per Washington”.