Liberismo non è liberalismo. La prima è una dottrina economica, la seconda una filosofia politica. Niente di sbagliato nella libertà, la storia è costellata di rivoluzioni al grido di questa parola. Ma ci sono delle eccezioni: che dire di un criminale a cui venisse data piena libertà?
Il liberismo, in particolare il revival tatcheriano e reganiano chiamato neoliberismo, perseguono un mercato più libero, con meno regole e frontiere. Che c’è di male? Non ci sarebbe niente di sbagliato nel privatizzare l’acqua, sinché le persone che la gestiscono sono oneste. Ma che dire quando i prezzi salgono alle stelle, le tubature vengono lasciate arruginire e i controlli sono fasulli? Niente di male nel commercio internazionale, ma che dire della delocalizzazione selvaggia che impoverisce fasce sempre più larghe della società occidentale?
Dovrebbe pensare a tutto la mano invisibile di Adam Smith e ogni cosa dovrebbe evolvere verso una struttura più efficiente. Ma non si sono fatti i conti con i capitalisti e i grandi monopoli mondiali. La delocalizzazione sta impoverendo sempre più la classe media occidentale e ha senz’altro contribuito all’attuale crisi; in Cina le persone vengono sfruttate come schiavi, lavorano 16 ore al giorno per meno di un dollaro. Ha senso chiamarlo liberismo? Senza dubbio il PIL della Cina non è mai cresciuto tanto, ma sono aumentate ovunque le disuguaglianze sociali. Le uniche a guadagnarci sono le multinazionali.
Come abbiamo visto in precedenza, i costi eccessivi richiedono misure drastiche e una delle principali è la delocalizzazione; la concorrenza, per tenere il passo, è costreatta a fare altrettanto o fallire.
Non nego che i paesi poveri stiano diventando consumatori di tecnologie e che allo stesso tempo questo crei posti di lavoro specializzato in occidente. Dopo l’istituzione del NAFTA (l’accordo nordamericano per il libero scambio), in effetti erano cresciuti sia gli Stati Uniti che il Messico. Non deve per forza essere un gioco a somma zero, in cui uno perde e l’altro guadagna. Ma ci sono troppi fattori in gioco per attribuire tutti i meriti al liberismo. Sul piano globale poi bisogna fare i conti con la disponibilità delle risorse. Su questo pianeta non potranno mai vivere tutti con il tenore di vita degli americani. Il petrolio si esaurirebbe nel giro di pochi anni. Il neoliberismo vuole farci credere che a trarne vantaggio siano sia i paesi ricchi che quelli poveri, ma in un mondo di risorse limitate, tutto questo è utopico.
Nel frattempo migliaia di posti di lavoro vengono trasferiti in Asia, dove c’è personale specializzato a basso costo. La concorrenza sana dei prodotti costringe le aziende ad essere più efficienti, al contrario la concorrenza malata del costo del lavoro, spinge fuori mercato le aziende locali e le piccole realtà che non delocalizzano. Diventa una forma di concorrenza sleale, dove lo sfruttamento è all’ordine del giorno e dove gli stipendi si riducono giorno dopo giorno. Ne risultano forti disuguaglianze sociali, la qualità del lavoro si abbassa a favore di una minore specializzazione e prodotti scadenti, a basso costo.
La concorrenza sleale è il male moderno di un sistema economico già di per sé perverso. A farla franca sono i disonesti, che aprono società fittizie in paradisi fiscali per evadere il fisco. L’evasione legallizzata, così come il lavoro nero, sono una forma di concorrenza sleale a danno degli onesti, in una sorta di selezione naturale a favore della distruzione perpetua dell’ambiente e della società, da parte delle multinazionali del petrolio, del farmaco e della chimica.
Possiamo certamente concludere che:
“Ogni forma di concorrenza sleale rallenta l’economia”.
La forte immigrazione, spesso con ingressi illegali, e la disponibilità di manodopera a basso costo è un secondo fattore, che assieme alla delocalizzazione, contribuisce ad abbassare gli stipendi e aumentare la disoccupazione. L’immigrazione legale e specializzata, invece, è una ricchezza per un paese, da cui ne deriva soltanto crescita.
Adesso che abbiamo compreso questo, vediamo di uscire veramente dalla Matrix Economica.