Nafeez Ahmed Middle East Eye 10 febbraio 2016
Un cablo segreto e una funzionaria del governo olanese confermano che la guerra dell’Arabia Saudita allo Yemen è anche motivata da un ambizioso fantastico gasdotto sostenuto dagli Stati Uniti
Quasi 3000 civili sono stati uccisi e un milione sono sfollati sotto il bombardamento dell’Aeronautica reale saudita dello Yemen, sostenuto da Stati Uniti e Gran Bretagna. Oltre 14 milioni di yemeniti affrontano l’insicurezza alimentare, un balzo del 12 per cento dal giugno 2015. Di questi, tre milioni sono bambini malnutriti. E in tutto il Paese, si stima che 20 milioni di persone non possano accedere ad acqua potabile sicura. La forza aerea saudita ha sistematicamente bombardato infrastrutture civili dello Yemen in flagrante violazione del diritto internazionale umanitario. Un rapporto ufficiale delle Nazioni Unite al Consiglio di sicurezza, trapelato a gennaio, rileva che i sauditi “effettuano attacchi aerei contro civili ed obiettivi civili… compresi campi per sfollati e rifugiati; raduni civili, compresi matrimoni; veicoli civili, anche autobus; aree residenziali; strutture mediche; scuole; moschee; mercati, fabbriche e depositi alimentari ed altre infrastrutture civili essenziali, come ad esempio l’aeroporto di Sana, il porto di Hudayda e strade nazionali“. Le bombe a grappolo di fabbricazione statunitense vengono sganciate nelle zone residenziali, un atto che perfino il segretario generale dell’ONU Ban Ki-Moon tiepidamente ammette “rappresenta un crimine di guerra”. In altre parole, l’Arabia Saudita è uno Stato canaglia. Ma non ci s’inganni. Questo regno è il nostro Stato canaglia. I governi di Stati Uniti e Gran Bretagna che forniscono all’Arabia Saudita le armi che scatena sui civili yemeniti, fanno finta di non essere coinvolti nella guerra, di non essere responsabili dei crimini di guerra del nostro alleato Stato canaglia. Un portavoce del Ministero della Difesa inglese ha insistito che militari inglesi semplicemente consigliano “migliori tecniche di puntamento… il personale militare del Regno Unito non è direttamente coinvolto nelle operazioni della coalizione saudita“. Ma sono parole ambigue, data la recente rivelazione del ministro degli Esteri saudita Adil al-Jubayr secondo cui ufficiali inglesi e statunitensi lavorano “nel centro di comando e controllo per attacchi aerei sauditi sullo Yemen“. Presumibilmente i contribuenti non li pagano per starsene in giro a bere il tè tutto il giorno. No, li paghiamo per supervisionare la guerra aerea. Secondo il ministro degli Esteri saudita: “Abbiamo ufficiali inglesi, statunitensi e di altri Paesi nel nostro centro di comando e controllo. Conoscono l’elenco dei bersagli e sanno cosa facciamo e ciò che non facciamo”. Gli ufficiali di Stati Uniti e Regno Unito “sanno interpretare la campagna aerea, e siamo soddisfatti dalle loro garanzie“. Nell’aprile 2015, gli ufficiali statunitensi erano molto più sinceri su questo accordo. Il vicesegretario di Stato degli USA Anthony J. Blinken aveva detto in conferenza stampa a Riyadh che gli Stati Uniti avevano aumentato la condivisione delle informazioni con i sauditi tramite una “cellula di pianificazione e coordinamento congiunta” sulla selezione dei bersagli. In ogni caso, i capi civili del mondo libero hanno dato un’occhiata ai crimini di guerra sistematici dei militari sauditi nello Yemen, e pare che approvino.
Guerra settaria?
Gli obiettivi della coalizione saudita sono oscuri. E’ ampiamente noto che la guerra abbia ampie dinamiche geopolitiche e settarie. I sauditi temono che l’avanzata degli huthi indichi la crescente influenza dell’Iran nello Yemen. Con l’Iran attivo in Siria, Iraq e Libano, l’Arabia Saudita vede la rivolta degli huthi come altra componente dell’accerchiamento strategico da parte delle forze filo-iraniane. Ciò è aggravato dall’accordo nucleare dell’Iran sostenuto dagli USA, aprendo la via all’integrazione dell’Iran nei mercati globali, l’apertura della sua industria del petrolio e del gas e al consolidamento a potenza regionale. Ma questa narrazione non è tutto. Mentre i contatti dell’Iran con gli huthi sono fuori discussione, prima della campagna aerea saudita gli huthi acquisirono la maggior parte delle armi da due fonti: il mercato nero e l’ex-presidente Ali Abdullah Salah. I funzionari dei servizi segreti degli Stati Uniti confermano che l’Iran aveva avvertito esplicitamente gli huthi di non attaccare la capitale dello Yemen lo scorso anno. “Resta la nostra valutazione che l’Iran non eserciti il controllo sugli huthi nello Yemen“, aveva detto Bernadette Meehan, portavoce del Consiglio di Sicurezza Nazionale della Casa Bianca. Secondo l’ex-inviato speciale delle Nazioni Unite per lo Yemen, Jamal Benomar, gli attacchi aerei sauditi fecero fallire un accordo di pace imminente che avrebbe portato alla condivisione del potere tra 12 gruppi politici e tribali rivali. “Quando tale campagna iniziò, una cosa significativa passò inosservata, gli yemeniti erano vicini a un accordo che avrebbe istituito la condivisione del potere tra tutte le parti, compresi gli huthi“, aveva detto Benomar al Wall Street Journal. Non era dovuto all’Iran. I sauditi, e a quanto pare Stati Uniti e Regno Unito, non volevano una transizione a una parvenza di Yemen democratico. In effetti, gli Stati Uniti erano esplicitamente contrari alla democratizzazione della regione del Golfo, decisi a ‘stabilizzare’ il flusso di petrolio dal Golfo ai mercati globali. Nel marzo 2015, il militare degli Stati Uniti e consulente della NATO Anthony Cordesman, del Centro per gli studi strategici e internazionali di Washington, spiegò che: “Lo Yemen è di grande importanza strategica per gli Stati Uniti, così come la stabilità dell’Arabia Saudita e degli Stati arabi del Golfo. Con tutto il parlare dell”indipendenza’ energetica degli Stati Uniti, la realtà rimane molto diversa. L’aumento di petrolio e combustibili alternativi al di fuori del Golfo non ne ha cambiato la vitale importanza strategica per l’economia globale e degli Stati Uniti… lo Yemen non corrisponde all’importanza strategica del Golfo, ma è ancora di grande importanza strategica per la stabilità di Arabia Saudita e penisola arabica“. In altre parole, la guerra nello Yemen è volta a proteggere il principale Stato canaglia del Golfo filo-occidente, per far fluire il petrolio. Cordesman continua osservando: “Il territorio e le isole dello Yemen giocano un ruolo cruciale nella sicurezza di un altro collo di bottiglia globale, nell’estremo sud-est del Mar Rosso chiamato Bab al-Mandab o ‘porta delle lacrime’“. Bab al-Mandab è “lo stretto tra il Corno d’Africa e il Medio Oriente, ed è un collegamento strategico tra Mar Mediterraneo e Oceano Indiano, da cui passa la maggior parte delle esportazioni dal Golfo Persico che transitano dal Canale di Suez e dall’oleodotto Suez-Mediterraneo (SUMED). L’eventuale presenza ostile aeronavale nello Yemen potrebbe minacciare l’intero traffico attraverso il Canale di Suez“, aggiunge Cordesman, “così come il flusso quotidiano di petrolio e prodotti petroliferi che l’USEIA (US Energy Information Administration) stima aumentato da 2,9 MMB/d (milioni di barili al giorno) nel 2009 a 3,8 MMB/d nel 2013“.
Il sogno del gasdotto nello Yemen
Ma c’è un parallelo obiettivo qui, riconosciuto in privato dai funzionari occidentali ma non discusso in pubblico: lo Yemen ha un potenziale ancora non sfruttato quale via alternativa per il transito di petrolio e gas per l’esportazione saudita, bypassando Iran e Stretto di Hormuz. La realtà delle ambizioni del regno in questo senso sono messe a nudo in un cablo segreto del 2008 del dipartimento di Stato, ottenuto da Wikileaks, dall’ambasciata degli Stati Uniti nello Yemen al segretario di Stato: “Un diplomatico inglese nello Yemen ha detto all’addetto politico (funzionario politico dell’ambasciata degli Stati Uniti) che l’Arabia Saudita aveva interesse a costruire un oleodotto, interamente di proprietà, gestito e protetto da essa, attraverso l’Hadramaut per il porto di Aden, bypassando così il Golfo Arabo/Golfo Persico e lo Stretto di Hormuz. Salah s’è sempre opposto a tale piano. Il diplomatico ha sostenuto che l’Arabia Saudita, attraverso il sostegno alla leadership militare yemenita, si compra la fedeltà di sceicchi e altro supporto. Posizionandosi per garantirsi che, col giusto prezzo, abbia i diritti su questo gasdotto dal successore di Salah“. Infatti, il governatorato orientale dello Yemen dell’Hadramaut curiosamente non viene bombardato dai sauditi. La provincia dello Yemen, la più grande, possiede la maggior parte delle risorse di petrolio e gas dello Yemen. “L’interesse primario del regno nel governatorato è l’eventuale costruzione di un oleodotto. Tale conduttura era da tempo un sogno del governo dell’Arabia Saudita“, osserva Michael Horton, analista dello Yemen presso la Fondazione Jamestown. “Una pipeline attraverso l’Hadramaut darebbe ad Arabia Saudita ed alleati del Golfo accesso diretto al Golfo di Aden e all’Oceano Indiano; permettendogli di bypassare lo stretto di Hormuz, un collo di bottiglia strategico che potrebbe essere, almeno temporaneamente, bloccato dall’Iran in un conflitto futuro. La prospettiva di assicurarsi una rotta per un futuro gasdotto attraverso l’Hadramaut probabilmente traccia l’ampia strategia a lungo termine dell’Arabia Saudita nello Yemen”.
Nascondere la questione del gasdotto
I funzionari occidentali sono desiderosi di evitare di far conoscere la geopolitica energetica dietro l’escalation del conflitto. L’anno scorso, l’analisi di tali problemi fu pubblicata su un blog personale, il 2 giugno 2015, da Joke Buringa, alto consigliere per la sicurezza e lo stato di diritto nello Yemen del Ministero degli Esteri dei Paesi Bassi. “La paura di un blocco iraniano dello Stretto Hormuz, e i risultati possibilmente disastrosi per l’economia globale, esiste da anni“, aveva scritto nell’articolo dal titolo “Divide et impera: Arabia Saudita, petrolio e Yemen“. “Gli Stati Uniti fanno pressioni sul Golfo per sviluppare alternative. Nel 2007 Arabia Saudita, Bahrayn, Emirati Arabi Uniti, Oman e Yemen lanciarono congiuntamente il progetto Trans-Arabia Oil Pipeline. Nuovi gasdotti dovevano essere costruiti dai sauditi da Ras Tanurah sul Golfo Persico e dagli Emirati Arabi Uniti, al Golfo di Oman (uno nell’emirato di Fujairah e due ad Oman) e il Golfo di Aden (due linee nello Yemen)“. Nel 2012, il collegamento tra Abu Dhabi e Fujairah, negli Emirati Arabi Uniti, divenne operativo. Nel frattempo, Iran e Oman firmavano il proprio accordo su una pipeline. “La sfiducia sulle intenzioni dell’Oman aumentò l’attrattiva dell’opzione dell’Hadramaut nello Yemen, un vecchio desiderio dell’Arabia Saudita“, scriveva Buringa. Il presidente Salah, tuttavia, era un grosso ostacolo alle ambizioni saudite. Secondo Buringa, “si oppose alla costruzione di un gasdotto sotto controllo saudita sul territorio yemenita. Per molti anni i sauditi investirono nei capi tribali nella speranza di attuare questo progetto col successore di Salah. Le rivolte popolari dei 2011 che chiedevano la democrazia sconvolsero questi piani“. Buringa è l’unico alto funzionario occidentale ad aver riconosciuto la questione pubblicamente. Ma quando l’ho contattata per chiedere un colloquio il 1 febbraio, quattro giorni dopo ricevetti una risposta da Roel van der Meij, portavoce per gli affari aziendali del ministero degli Esteri del governo olandese: “la signora Joke Buringa mi ha chiesto di informarLa che non è disponibile per l’intervista“. Il blog di Buringa, disponibile su http://www.jokeburinga.com, nel frattempo veniva completamente rimosso. Una versione archiviata del suo articolo sulla geopolitica energetica della guerra saudita nello Yemen è disponibile presso Wayback Machine. Chiesi a Buringa e van der Meij perché il blog era stato completamente cancellato e così in fretta, dopo aver inviato la mia richiesta per un’intervista, e se era stata costretta a farlo su pressione del governo per proteggere i rapporti olandesi con l’Arabia Saudita. In una email, Buringa negò che fosse stata costretta dal ministero degli Esteri olandese ad eliminare il blog: “Mi dispiace deluderla, ma non ero sotto pressione del ministero. Il layout del blog mi preoccupava fin dall’inizio e avevo intenzione di cambiarlo da mesi… La sua domanda mi ha ricordato che volevo cambiarlo e ripensavo a ciò che volevo farne. Non si leggerà più“. Tuttavia, il portavoce per gli affari societari del governo olandese, van der Meij, non rispose alle molte richieste via e-mail e telefoniche di commentare la rimozione del blog. Molte aziende olandesi sono attive nel regno con investimenti congiunti, tra cui il gigante petrolifero anglo-olandese Shell. Grazie alla posizione dei Paesi Bassi quale ingresso per l’Europa, due multinazionali saudite, l’impresa petrolifera nazionale Aramco e il gigante petrolchimico SABIC, hanno il loro quartier generale europeo a L’Aia e a Sittard, nei Paesi Bassi. Le esportazioni olandesi verso l’Arabia Saudita sono aumentate notevolmente negli ultimi anni, del 25 per cento tra il 2006 e il 2010. Nel 2013, l’Arabia Saudita esportò quasi 34 miliardi di euro di combustibili minerali nei Paesi Bassi, ed importò poco più di 8 miliardi di euro di macchine e mezzi di trasporto, 4,8 miliardi di euro di prodotti chimici e 3,7 miliardi di euro di prodotti alimentari e animali.
L’alleanza saudita con al-Qaida
Tra i primi beneficiari della strategia saudita nello Yemen è al-Qaida nella Penisola Arabica (AQAP), lo stesso gruppo responsabile del massacro del Charlie Hebdo a Parigi. “Il governatorato dell’Hadramaut è una delle poche aree in cui la coalizione saudita non ha effettuato alcun attacco aereo“, osservava Buringa. “Porto e aeroporto internazionale di al-Muqala sono in condizioni ottime e sotto il controllo di al-Qaida. Inoltre, l’Arabia Saudita fornisce armi ad al-Qaida, (che) amplia la sfera d’influenza“. L’alleanza saudita con i terroristi di al-Qaida nello Yemen emerse lo scorso giugno, quando il governo filo-saudita di “transizione” di Abdrabu Manour Hadi inviò un rappresentante a Ginevra quale delegato ufficiale per i colloqui delle Nazioni Unite. Si scoprì che il rappresentante era nientemeno che Abdulwahab Humayqani, identificato come “terrorista specificatamente definito globale” nel 2013 dal Tesoro degli Stati Uniti, per reclutamento e finanziamento dell’AQAP. Humayqani era anche presumibilmente dietro l’attentato di al-Qaida che uccise sette persone in una base della Guardia Repubblicana yemenita nel 2012. Altri analisti concordano. Come Michael Horton commenta sul Terrorism Monitor della Jamestown Foundation: “AQAP può anche beneficiare del fatto che potrebbe essere considerato un agente utile dall’Arabia Saudita nella guerra contro gli huthi. Arabia Saudita ed alleati armano varie milizie nel sud dello Yemen. E’ quasi certo che parte, se non molto, dei finanziamenti e materiali finiranno nell’AQAP e molto probabilmente allo Stato islamico“. Mentre strombazza la guerra allo SIIL in Iraq e Siria, l’occidente spiana la strada alla rinascita di al-Qaida e SIIL nello Yemen. “L’Arabia Saudita non vuole un forte Paese democratico oltre il confine di 1500 km che separa i due Paesi (Arabia Saudita e Yemen)“, aveva osservato la funzionaria del ministero degli Esteri Joke Buringa nell’articolo ormai censurato. Né, a quanto pare, Stati Uniti e Regno Unito, aggiungendo: “Quelle condutture a Muqala probabilmente arriveranno, infine“. Probabilmente non sarà così, ma ci saranno ancora conseguenze.
Nafeez Ahmed dottorato e giornalista investigativo, studioso di sicurezza internazionale e autore di successo che segue ciò che chiama ‘crisi di civiltà’. Vincitore del Project Censored Award per il miglior giornalismo investigativo per il suo articolo sul Guardian sull’intersezione globale tra ecologia, energia e crisi economiche con la geopolitica e i conflitti regionali. Ha anche scritto per The Independent, Sydney Morning Herald, The Age, The Scotsman, Foreign Policy, The Atlantic, Quarzo, Prospect, New Statesman, Le Monde diplomatique, New Internationalist. Il suo lavoro su cause e operazioni segrete legate al terrorismo internazionale ufficialmente contribuiscono alla Commissione 9/11 e le indagini del 7/7 Coroner’s Inquest.
Traduzione di Alessandro Lattanzio – SitoAurora