di sa defenza
L’agenda Monti mette al palo i partiti servi (PD PdL UDC FLI) e li rende definitivamente telecomandati anche oltre le elezoni di febbraio 2013, una linea politica ed economica al servizio di banche ed elite mondiali, Bildeberg, Rothschild & company.
Non ci sono strade alternative che possano imboccare questi partiti, perchè sono servi del sistema e non hanno idee altre, che diano una prospettiva sovrana e libera dai dictat delle banche e dell’EU dei poteri forti e delle elite.
Necessita trovare aggregazione rivoluzionaria e dare una forte scossa a questo sistema putrido e fatiscente basato sul servilismo alle elite e dal nepotismo per le fasce plebee..
I politicanti son tutti a sbellicarsi per dire che sono loro servi fedeli di Monti… Casini siamo perchè Monti sia lui il premier, Bersani dice che sosterra la linea che Monti ha già tracciato, Fini l’agenda Monti va condivisa senza riserve mentali, Montezemolo condivide tutta l’agenda Monti e tre punti del loro programma sono già uguali, Grillo al governo attuerò il nostro programma e non quello di Monti…
gli indipendentisti sardi : BASTA CUN IS TZERACUS A FORAS DE S’ITAGLIA!
La libertà è figlia della volontà popolare di società per il bene comune.
Sa Defenza
ITALY: Salvati e dannati
Giulio Marcon
wwwilmanifesto.it
La legge di stabilità riassume bene un anno di politica economica del governo Monti all’insegna del rigore (a senso unico), dell’assenza di equità, di insignificanti misure per la crescita. Rigore, equità e crescita: erano le tre parole chiave con cui Monti si era presentato in parlamento nel novembre del 2011, all’atto del suo insediamento.
Il rigore è stato applicato ai lavoratori, ai pensionati e ai cittadini, ma non alla casta dei militari e al 10% privilegiato della società. Di equità sociale non c’è traccia tanto è vero che le diseguaglianze e le povertà nell’ultimo anno si sono accentuate: un quarto della popolazione non riesce a far fronte a spese impreviste di qualche centinaio di euro. La crescita è un miraggio: nel 2012 il Pil diminuisce del 2,4% e le prospettive per il 2013 non sono molto migliori.
La legge di stabilità per il 2013 taglia pesantemente i fondi alla sanità, agli enti locali, alla scuola e all’università (mentre si stanziano altri 223 milioni per le scuole private), fa calare i consumi e intacca redditi familiari con l’aumento dell’iva di un punto percentuale, colpisce i contratti dei dipendenti pubblici. Sul fronte della crescita butta 2miliardi e 700milioni per le grandi opere – inutili e dannose e che non faranno ripartire l’economia – e con la misura sulla detassazione del salario di produttività stanzia 1miliardo e 200 milioni per una iniziativa virtuale e anche questa inutile di fronte ad una crisi che non lascia grande spazio ad “aumenti di produttività”
Un paio di mesi fa Monti ha ammesso di essere consapevole che l’impatto delle sue manovre – secondo lui necessarie per far riguadagnare credibilità all’Italia ed evitare il baratro – è stato recessivo; e infatti l’economia è ulteriormente crollata nell’ultimo anno. Ha detto che per l’Italia non bastava l’aspirina, ma una medicina forte: una sorta di “cura da cavallo” che rischia però di far stramazzare anche il cavallo.
Nel frattempo non ha fatto niente per invertire le tendenze recessive alimentate dalle sue politiche: nessuna misura per il lavoro (bensì contro il lavoro) e nessun investimento pubblico vero per lo sviluppo Ha però salvato i più ricchi evitando di fare la patrimoniale, ha premiato la casta dei generali permettendogli di spendere nei prossimi anni 13 miliardi di euro per i cacciabombardieri F35, ha graziato le banche facendo marcia indietro sui provvedimenti a favore dei cittadini (portabilità dei mutui, tasso di usura, trasparenza per le commissioni bancarie) e destinando quasi 4miliardi e e mezzo per salvare il Monte dei Paschi di Siena .
Eppure altre politiche -alternative alle misure previste dalla legge di stabilità- sarebbero state possibili, come ha evidenziato Sbilanciamoci nella sua ultima “controfinanziaria” (www.sbilanciamoci.org), se invece della politica neoliberista e di austerity fosse prevalsa (in Italia, ma anche in Europa) un’idea diversa di politica economica: anticiclica, riformista, keynesiana
Una politica che avrebbe dovuto mettere al centro la redistribuzione della ricchezza, un piano del lavoro come quello proposto dalla Cgil e un programma di interventi pubblici per rilanciare l’economia. Si è perso un anno di tempo ed è finalmente ora che il governo passi in altre mani affinchè si riapra una prospettiva di cambiamento con la quale far ripartire il paese.
CHI PECORA SI FA, IL LUPO SE LO MANGIA |
Il Tesoro e la via anti-debito
@federico fubini
www.ilcorriere.it
Tra Pil e inflazione Venerdì scorso, a Washington, Vittorio Grilli ha parlato della strategia del governo in maniera diversa da come si fa di solito in Italia. Il ministro dell’Economia ha incontrato il suo pari grado Usa, Tim Geithner, quindi ha passato un’ora con un gruppo di investitori e osservatori della capitale.
È di fronte a loro che ha indicato l’obiettivo del 3% e, per una volta, non si trattava della soglia di Maastricht per il rapporto fra deficit e Pil. Il nuovo 3% vitale per l’Italia, ha spiegato il ministro, riguarda un dato curiosamente ignorato nelle discussioni fra politici, sindacalisti, imprenditori o banchieri.
Eppure ora è più importante di Maastricht.
Senza centrare quell’obiettivo, sarà difficile fermare la progressione del debito pubblico (e privato): è il 3% di crescita del Pil in termini nominali, la soglia che il ministro ha indicato a Washington per fermare e poi piegare la dinamica del debito. Se ne parla così di rado, che quasi solo gli addetti ai lavori sanno cos’è.
La crescita del Pil nominale è il risultato di quella reale ? di cui si parla di solito ? più l’inflazione Oggi questo dato è attorno allo zero, perché nel 2012 il Pil reale è caduto di più del 2% e l’inflazione è salita di circa altrettanto.
Questa è la ragione principale che attualmente spinge verso l’alto il rapporto numerico fra debito e Pil, perché il Pil resta appunto fermo a zero mentre il debito tende a salire in modo inerziale per il solo fatto che gli interessi da pagare sono attorno al 5%. A chi lo ha ascoltato l’altro giorno a Washington, il ministro dell’Economia ha detto che l’Italia ora punta a quel 3% al più presto. Per raggiungerlo non serve un boom dell’economia.
Basterebbe una crescita reale dell’1% più un’inflazione di circa il 2%, più o meno la velocità di crociera tenuta dall’Italia nel decennio scorso. A quel punto con un avanzo del bilancio del 4% o 5% prima di pagare gli interessi passivi ? un obiettivo realistico ? il Tesoro può bloccare il debito e metterlo su una traiettoria discendente.
A Washington, Grilli si è detto certo che sia fattibile ed alcuni dei presenti si sono congratulati per la credibilità della strategia. Resta solo un punto da chiarire: nei tredici anni dell’euro l’Italia ha perso circa il 30% di competitività sulla Germania e il 20% sulla media dell’area monetaria. Per crescere, il Paese ha bisogno di tornare competitivo.
Ma per riuscirci l’Italia ha solo due opzioni: la prima sarebbe aumentare molto gli investimenti per la produttività, ma in questa fase di credito difficile sembra una strada preclusa; la seconda invece è quella di ridurre i costi, a partire da quelli del lavoro, ed infatti è proprio ciò che sta succedendo.
Il continuo aumento della disoccupazione spinge chi cerca un posto ad accettare compensi sempre minori pur di lavorare, ridando così un po’ competitività di prezzo alle imprese.
Ma comprimere i compensi e i costi tramite disoccupazione e intanto centrare il 3% di crescita nominale non è facile: è come camminare con una gamba in un senso, e con l’altra in quello contrario.
Studenti a Cagliari piazza Repubblica manifestano contro i tagli alla scuola |
Il piano di Monti: tagliarci gli stipendi
Sepolta a pagina dodici del Corriere della Sera e seminascosta tra gli articoli affettuosamente preoccupati del futuro politico di Monti e meno affettuosamente del ritorno di Berlusconi, ieri si poteva leggere una corrispondenza di un certo interesse e di sicuro allarme. La cronaca, firmata da un bravo collega come Federico Fubini, riferiva della visita del ministro dell’Economia a Washington. Vittorio Grilli, nella Capitale a stelle e strisce, ha incontrato venerdì scorso il suo omologo americano, oltre a un gruppo di investitori e osservatori statunitensi. E nel colloquio avuto con signori che muovono centinaia di milioni in poche ore, spostandoli da un mercato all’altro a seconda delle convenienze, il numero uno di via XX Settembre si è lasciato andare a qualche confidenza, illustrando la strategia del governo Monti per uscire dalla crisi.
Riassumo qui, con parole mie, quello che Fubini ha riassunto con le sue. Punto primo: il debito. Se l’Italia non cresce, non c’è verso di ridurre il debito e la spesa per interessi sale. Ora che il Prodotto interno lordo diminuisce invece di aumentare e gli interessi da pagare sono intorno al 5 per cento, il debito pubblico sale quasi per forza d’inerzia. Per invertire la tendenza ci vorrebbe una crescita del Pil in termini nominali del 3 per cento. Non serve che sia reale: basterebbe anche l’uno per cento cui sommare un due per cento di inflazione. Ciò che conta è che la produzione non vada all’indietro come sta accadendo ora, perché il resto verrebbe da sé. Con una flebile ripresa, un po’ di rincaro dei prezzi e un avanzo primario che oscilla tra il 4-5 per cento al lordo della spesa per interessi, agli stregoni che guidano l’economia riuscirebbe il miracolo di cominciare a diminuire la montagna di debiti accumulati in sessant’anni e passa di Repubblica.
Punto secondo: se la strategia per rientrare dei 2 mila miliardi di titoli di Stato è piuttosto chiara, resta da capire come si può far muovere una locomotiva in panne, costringendola a viaggiare almeno ad una velocità di un punto percentuale di Pil all’anno. E qui viene il bello. Perché nonostante l’Italia negli ultimi tredici anni abbia perso competitività nei confronti della Germania e anche dei Paesi dell’eurozona, il ministro dell’Economia si è detto fiducioso di riuscire nell’impresa. Già, ma dove si trovano i soldi per rimettere in moto il convoglio che sta scivolando all’indietro? Il treno di certo non riparte da solo, ma ha bisogno di qualcuno che lo spinga. Dunque non restano che due strade: o si trovano risorse aggiuntive da impiegare per la crescita, mettendole a disposizione delle aziende, oppure le aziende devono fare da sé, devono cioè trovare il denaro che manca e destinarlo allo sviluppo.
La prima soluzione è da escludere, perché se finora con la spending review non si è riusciti a rintracciare uno straccio di euro è assai difficile che ci si riesca ora che la situazione si è fatta più critica. In tal caso non rimane che la seconda via, ovvero i risparmi aziendali. Riducendo i costi, in particolare quelli del lavoro, le imprese possono trovare il propellente per far ripartire la locomotiva.
Il discorso del ministro in pratica significa che la crisi bisogna saperla sfruttare e, se le aziende vogliono, possono trovare manodopera a basso costo. «Il continuo aumento della disoccupazione», scrive il Corriere, «spinge chi cerca un posto di lavoro ad accettare compensi sempre minori pur di lavorare, ridando un po’ di competitività di prezzo alle imprese».
Capita l’antifona? Per Grilli i tre milioni di lavoratori a spasso sono un’opportunità: basta saperli sfruttare, usandoli per far concorrenza a quelli che lo stipendio ce l’hanno e costringendoli ad accettare di lavorare per salari più bassi. Altro che riforma del lavoro e accordo sulla produttività per rilanciare le imprese: la vera riforma la farà la guerra tra poveri che si scatenerà il prossimo anno, quando chi è disoccupato e non ha alcun sussidio si offrirà a prezzi competitivi.
Se per caso qualcuno non avesse capito bene la strategia del governo, Fubini nel suo articolo offre un’ancor più chiara interpretazione del pensiero economico del ministro, spiegando che «far crescere il Paese del 3 per cento, comprimendo con la disoccupazione i compensi e i costi è un’operazione non facile, come camminare con una gamba in un senso e con l’altra in quello contrario».
Il che la dice lunga sui piani di un esecutivo che, essendo tecnico, non ha certo a cuore gli effetti delle sue misure sui soggetti a cui appartengono le gambe: la sola cosa che conta è mettere in pratica l’esperimento. Chi se ne importa se gli italiani a causa della strana manovra crepano di fame: l’importante è sapere se la teoria funziona.
Si sa mai che, nel caso riesca, ci scappi un premio Nobel per l’economia. E se non va, pazienza. Tanto Grilli può sempre tornare a fare il banchiere e Monti, male che vada, ha sempre a disposizione una cattedra da cui tenere la sua lezione.
Maurizio Belpietro
il memorandum MOnti in PDF tanks of Corriere della Sera for courtesyhttp://www.corriere.it/Primo_Piano/Politica/2012/1/23/pop_memorandum.shtml