di: Andrea Perrone
a.perrone@rinascita.eu
Ancora una vittoria del “no” al referendum sul risarcimento Icesave.
Gli islandesi, per la seconda volta, infatti, hanno espresso la loro più assoluta opposizione all’accordo sul rimborso di 3,9 miliardi di euro chiesto dalla Gran Bretagna e dall’Olanda in seguito al fallimento della Icesave, società controllata dalla Landsbanki. Secondo i dati diffusi dalla radio pubblica Ruv il “no” è in testa con circa il 60%. È la seconda volta che gli islandesi esprimono la loro contrarietà con un referendum sul rimborso. L’esito referendario non è stato particolarmente gradito dal governo britannico e da quello olandese che hanno immediatamente annunciato un ricorso in tribunale.
Nel 2008, il default delle tre principali banche islandesi (Glitnir, Kaupþing, e Landsbanki) lasciò sul lastrico, oltre agli islandesi, anche parecchi investitori stranieri. In particolare, il fallimento di Icesave comportò una perdita complessiva da 5,6 miliardi di dollari per circa 340.000 correntisti inglesi e olandesi. Un danno di cui Regno Unito e Olanda si fecero carico, in attesa che l’Islanda fosse in grado di rifondere i capitali elargiti. Per rimborsare i governi di Londra e dell’Aja, alla fine di dicembre 2009 il parlamento islandese ha approvato – con una risicata maggioranza – una legge che prevedeva il pagamento di 3,5 miliardi di dollari alla Gran Bretagna e 1,8 miliardi di dollari ai Paesi Bassi. Dopo la prima sconfitta referendaria si è preferito, nel dicembre 2010, pianificare un nuovo accordo, per mettere fine alla disputa con Londra e l’Aja che potrebbe ostacolare anche l’ingresso dell’Islanda nell’Ue. E così il parlamento ha rigettato quanto deciso dal referendum popolare che nel marzo scorso aveva detto “no” a qualsiasi rimborso. Il via libera è stato concesso con 44 voti a favore e 16 contrari, mentre il presidente della Repubblica, Olafur Ragnar Grímsson, pressato dai comitati popolari si è fatto latore di una petizione contro il rimborso. Più di 30mila cittadini – quasi un decimo della popolazione islandese – si sono sdegnosamente opposti con una raccolta di firma. Una petizione analoga aveva ottenuto, agli inizi dello scorso anno, ben 56.000 firme e portato il capo dello Stato a indire un referendum con oltre il 90 per cento degli elettori contrari all’accordo (200mila islandesi).
Si era cercato in qualche modo di indorare la pillola concedendo all’Islanda un tasso di interesse più basso, pari al 3,3 per cento sul debito del Regno Unito e del 3 per cento sul debito olandese, contro il 5,55 per cento richiesto nel precedente accordo. Erano previste anche misure di salvaguardia per garantire che i rimborsi non superino mai il 5 per cento delle entrate del governo islandese.
Ma la proposta ha suscitato il risentimento della popolazione islandese, già duramente colpita dalla recessione: il rimborso – da effettuare nell’arco di 14 anni – “pesa” infatti all’incirca la metà del Pil di una nazione che conta poche migliaia di abitanti. Senza contare che i contribuenti islandesi non vedono la ragione di indebitarsi per un fallimento la cui responsabilità non è loro, bensì di una manciata di spregiudicati banchieri. E così gli islandesi hanno votato per l’ennesima volta “no” senza remore.

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