
Si torna a parlare, proprio in questi giorni, dell’eventualità di costruire un unico deposito nazionale per le scorie nucleari, e ancora una volta in Sardegna; l’ipotesi era già stata affacciata nel 2003, all’epoca della giunta di Mauro Pili, prevalendo sull’ipotesi alternativa della Calabria, ma era stata poi accantonata per le veementi proteste dei sardi. Due ragioni vengono addotte, principalmente, a sostegno di questa scelta: la bassa densità della popolazione sarda, ed il bassissimo grado di sismicità del suo territorio, che costituirebbe una garanzia per l’integrità del deposito.
Stiamo parlando delle scorie prodotte dalle poche centrali in funzione nel nostro paese (quelle di Trino Vercellese, Caorso, Sessa Aurunca, Latina e Montalto di Castro, mai più di quattro in funzione contemporaneamente) fino al 1987, quando- per chi non lo ricordasse- un referendum popolare, indetto a poca distanza dal disastro di Chernobyl, ne sancì la chiusura in misura quasi plebiscitaria. Quelle centrali, pur dismesse, continuavano a lasciarci in eredità le scorie della passata produzione; e le scorie, che sono state finora smaltite mandandole all’estero, soprattutto nei grandi impianti della Francia e dell’Inghilterra.
Fintantoché la Comunità Europea non ci ha imposto di prenderle in carico noi. Nel 2003 si era pensato di ottemperare a questa richiesta localizzando un deposito in Sardegna; ma, come detto, l’opposizione della popolazione locale ha fatto accantonare il progetto; tale progetto, tuttavia, sembrerebbe essere stato ripreso in questi ultimi mesi con alcune rimodulazioni e adattamenti.
A lanciare l’allarme è stato l’ex Presidente della Regione Sardegna ed ora consigliere regionale Ugo Cappellacci, in un’intervista a “Panorama” dell’inizio di aprile: “Il processo per l’individuazione è ormai concluso- dice- e sono due le regioni individuate, il Lazio e la Sardegna”. Aggiungendo poi che, secondo fonti informate, “ al 90% la scelta dovrebbe ricadere sulla regione Sardegna….e, più precisamente nella parte centrale della nostra regione: la provincia di Nuoro”.
Questo ad onta dell’ultimo referendum nazionale sulla materia ( quello del 2011), che ha visto i sardi schierarsi in maniera nettissima contro il ripristino del nucleare come fonte di approvvigionamento energetico.
Il ministro dell’ambiente Galletti assicura che nessuna decisione è stata presa, che la Sardegna è soltanto uno dei siti inseriti nella lista e, comunque, si procederà con il consenso delle popolazioni locali. Non si parla molto dell’argomento, ma, per gli ambientalisti, questo silenzio è ancora più preoccupante: potrebbe nascondere la volontà di ripresentare l’antico progetto, magari barattandolo con qualche incentivo economico che potrebbe facilmente fare gola ad un’economia asfitica ed in gravi difficoltà come quella isolana.
A dire il vero, quando si adombra la possibilità di costruire il deposito di scorie nucleari in Sardegna non si tiene conto di due fattori molto importanti: la vocazione turistica e alla qualità ambientale della nostra regione, che renderebbe quanto mai inopportuno il progetto di questa pattumiera radioattiva; e la considerazione equitativa che l’isola deve già sobbarcarsi quasi i due terzi delle servitù militari, e non sarebbe giusto che debba vedersi appioppato questo ulteriore onere.
Comunque la minaccia del deposito delle scorie nucleari ha già suscitato una ferma opposizione nella popolazione, come già nel 2003; opposizione che è sfociata la scorsa domenica 7 giugno in una manifestazione in contemporanea nelle piazze delle cinque più importanti città sarde: Cagliari, Sassari, Olbia, Nuoro e Oristano. La manifestazione era organizzata dal Coordinamento Comitati Nonucle Noscorie, a cui aderiscono varie associazioni ambientaliste e associazioni di cittadini e di categoria, ed ha visto una partecipazione di popolo abbastanza numerosa e colorata.
Il suo momento culminante si è avuto alle ore 11 di domenica, quando i partecipanti si sono distesi per terra, simulando la morte e la catastrofe di un attacco nucleare.
Ci si è lasciati, alla fine della mattinata, con la promessa che, nel caso la sciagurata ipotesi del deposito in Sardegna dovesse passare, si organizzerà una lotta senza quartiere per impedirne la realizzazione, con un piano coordinato che prevede anche l’occupazione (se non delle prefetture, come prospettato in altra sede), quanto meno dei siti di interesse per la costruzione materiale del deposito, e di quelli eventualmente destinati al transito delle scorie.
Nelle prossime settimane vedremo quali saranno gli sviluppi futuri…
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