Il Partito Democratico del premier Renzi straccia tutti contendenti e con un netto 40% traccia una vittoria epocale dalla crisi della Prima Repubblica ad oggi. Tutto merito di una politica della comunicazione e dell’immagine molto accurata: un gruppo dirigente giovane, che rovescia il tradizionale rapporto tra le generazioni nel nostro paese; un pragmatismo decisionista che ricorda da vicino il piglio di Craxi, epoca benedetta nei ricordi degli italiani perché “se magnava”; una politica della riforme che deve essere apparsa alla maggioranza del paese come un castello incantato e gravido di grandi regali, specie pecuniari; un gioco comunicativo che ha avvicinato il partito di Renzi al linguaggio del popolo e di quelli che pagano davvero la crisi, ossia le nuove generazioni. Certo Renzi è stato bravo davvero: ha preso molti più consensi di Belusconi che prometteva un milione d posti di lavoro mentre lui se l’è cavata con 80 euro mensili. Ma in tempi di magra i più devono aver pensato che fosse meglio dei “vaffa” di Grillo. Le strade di Roma stamane erano calme e silenziose come quelle della famosa maggioranza che votava Dc. Ed infatti con il renzismo non solo rinasce una forma di populismo che ricorda quello delle fasi totalitarie della storia europea, ma quel magma di interessi che si coagulava nell’interclassismo democristiano. Gli italiani sono un popolo cinico e conservatore, abituato ad una mentalità pauperista: dalla politica accettano l’elemosina di buon cuore. E Renzi con gli 80 euro li deve avere proprio commossi per il grande regalo in un paese fallito dove tutti gli indici economici danno per morto il già morto. Quei soldi cadono a pioggia su una serie di fasce intermedie della società che compongono la spina dorsale del governo. Un blocco sociale di piccoli imprenditori distrutti dalle banche, piccoli impiegati, commercianti, insomma il paese piccolo borghese dei nonni e dei nipoti ha visto nel fiorentino un nuovo Vate al quale delegare volentieri la soluzione di tutti i problemi lesinando ogni impegno e passione civica. E pur di battere il grillismo, il Presidente del Consiglio ha costruito un castello di promesse di cui non si è ancora visto nulla, tranne il nauseante ritorno di Primo Greganti e Frigerio all’Expò di Milano nella solita veste di tangentari. Ora toccherà vedere se Renzi riuscirà a fare tutto ciò che ha detto. E all’opposizione grillina, che con la furbata della questione morale non è riuscita a spillare un voto al PD, toccherà un compito molto importante: incalzare l’operato del governo e smascherare le tante rampanti promesse del Presidente del Consiglio. Certo il risultato del Movimento 5 Stelle è stato deludente. Ma bisognava aspettarselo. Grillo dice verità aspre con toni funabolici e la pancia assonnata a reazionaria del paese non se le vuole sentir dire. Il Vaffa a tutto vuol dire perdere anche la possibilità della piccola truffa o della spintarella all’amico su cui gira l’approssimazione fanfarona e cinica del sistema Italia. Il tonfo di Grillo non è che la risposta di un paese alla voglia di Dc che non l’ha mai abbandonato dalla crisi della Prima Repubblica in poi. Però la sfida tra Grillo e Renzi dunque non finisce qui ma è appena iniziata. La purezza contro la mediazione sporca; la ghigliottina contro l’impunità; la tranquillità sorniona contro il furore giacobino: sono i temi su cui si articolerà la dialettica politica nazionale. E Berlusconi? Tra la Pascale che balla il Calippo, la passeggiata con Dudù e l’impegno nei servizi sociali comunque tiene una buona quota di affezionati. Grande sconfitta esce l’Europa. Solo la lista per Tsipras, oscurata dai grandi media aveva sollecitato una riflessione su temi del debito, dell’alta disoccupazione, provando a fornire idee. Il successo del socialista greco in terra patria è il piccolo nucleo cui potrà riaggregare la sinistra europea, dopo la debacle dei socialisti in Francia e Inghilterra. Da noi conta quel che conta: a tutto ci penserà Renzi.

Stefania Pavone, giornalista free-lance e collaboratrice di Cogito Ergo Sum

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