Da Voci dalla Strada
Pecorelli cercherà di approfondire i retroscena dello scandalo Italcasse e dei beneficiari di fondi pubblici che hanno messo in ginocchio l’istituto con l’intento, soprattutto, di inchiodare l’onorevole Giulio Andreotti, a quei tempi Presidente del Consiglio. Gli tapperanno la bocca il 20 marzo del 1979 con un’esecuzione in stile mafioso affidata sicuramente a elementi della malavita romana.
A differenza dei suoi antichi amici, Abbruciati, invece, lascerà la ghirba sul campo. Senza avvertire gli altri componenti della banda della Magliana, il 27 aprile 1982 si recò a Milano per compiere un attentato ai danni di Roberto Rosone, vicepresidente del Banco Ambrosiano e braccio destro di Roberto Calvi. Probabilmente il boss della Magliana doveva fare un favore a Pippo Calò poiché il Banco Ambrosiano, oltre ad costituire uno “sportello” a disposizione della loggia P2 e della finanza vaticana, era utilizzato per riciclare i proventi delle illecite attività della mafia. Abbruciati ferisce alle gambe Rosone, ma nel tentativo di fuggire con la moto viene colpito mortalmente da una guardia giurata.
Perisce così l’ex rapinatore assurto al rango di malavitoso di rango inserito prima nella banda dei Marsigliesi e, poi, con un ruolo di primo piano nella banda della Magliana alla quale trasmette tutto il bagaglio di esperienze e contatti. Il sodalizio apparentemente di ferro fra i malavitosi delle batterie romane che, per un certo periodo, avevano spadroneggiato nella capitale arrivando quasi a conquistare il monopolio dello spaccio di droga, dell’usura e del giro delle scommesse, si scioglie come neve al sole divorato dalle rivalità e dalle tensioni fra le varie anime della banda. Fra feroci esecuzioni, tradimenti e pentitismo i vari Giuseppucci, Abbatino, De Pedis, Selis, ecc… andranno incontro al loro ineluttabile destino. La sorte non è stata magnanima neanche con il socio di Bergamelli: arrestato per spaccio di stupefacenti a New York nel 1980 verrà estradato in Italia e, anni dopo, verrà ucciso in Francia, nel carcere di Nizza.
Aldo Semerari, criminologo e la sua assistente dottoressa Maria Fiorella Carraro.
A posteriori, e valutando anche gli altri elementi del caso, appare chiaro che fosse in atto un tentativo di organizzare intorno a Pelosi un cordone sanitario per impedire l’emersione della verità sulla notte all’Idroscalo. Basta scorrere i nomi degli esperti per rendersene conto… Il professor Ferracuti, oltre a essere considerato un luminare nel suo campo di ricerca e di attività, è iscritto alla loggia P2 e collabora con gli americani della CIA e dell’FBI. Qualche anno più tardi verrà chiamato dal Ministro degli Interni Cossiga per far parte del Comitato degli Esperti che avrebbe dovuto occuparsi del caso Moro con l’apporto dell’esperto del Dipartimento di Stato americano Steve Pieczenick al quale Ferracuti offrirà la sua competente collaborazione.
Il contributo fondamentale dello psichiatra consiste nello sminuire la portata delle lettere scritte da Aldo Moro mettendo in dubbio la capacità di intendere e di volere dell’ostaggio delle BR. Su questa “diagnosi” funzionale a isolare definitivamente lo statista democristiano Ferracuti si ritrova in sintonia con l’esperto americano. Inoltre pare che sua fu l’idea di far rapire brigatisti nelle carceri per condizionare l’esito del sequestro e mettere sul piatto della trattativa altra merce di scambio. Un’operazione rischiosissima dagli sviluppi impossibili da prevedere… Un noto esponente romano dell’MSI Edoardo Formisano portò a Turatello l’ordine di reclutare elementi della malavita per attuare il progetto. Il gangster milanese rifiutò recisamente l’offerta…
Pur non essendo riuscito nell’intento di reclutare la malavita più tracotante e feroce e convertirla alla causa stragista, Semerari non fece mai mancare il suo aiuto a Cutolo, ai boss della Magliana e ai Marsigliesi. Nei suoi propositi deliranti Semerari alza il tiro e, nel luglio del 1980, periodo compreso fra la tragedia del DC9 di Ustica e la strage alla stazione di Bologna, compie due viaggi; prima nella Libia del colonnello Muhammar Gheddafi e poi negli USA per incontrare l’amico e collega Ferracuti. Cosa accade in quell’arco di tempo ? Gli inquirenti si convincono quasi subito che i responsabili della strage alla stazione di Bologna sono da ricercarsi nel frastagliato mondo della destra eversiva, fra Terza Posizione e i NAR. Quasi dal momento in cui Semerari viene incarcerato scattano i tentativi di depistaggio del SuperSISMI, di Gelli e di Pazienza. Il professore potrebbe cedere e fare rivelazioni imbarazzanti e pericolose per tutti…
Nel gennaio del 1981 alla stazione di Bologna viene ritrovato un borsone con giornali tedeschi e francesi, barattoli con esplosivo simile a quello utilizzato per la strage e un mitra Mab modificato. Quest’ultimo proviene dal deposito di armi collocato nel Ministero della Sanità e nella disponibilità della banda della Magliana e delle bande della destra neofascista. Qualche giorno prima i Centri di Controspionaggio avevano allertato sul pericolo di una “Operazione Terrore di Treni” da parte di organizzazioni terroristiche straniere. E’un altro depistaggio ideato e organizzato dal duo piduista Sansovito – Musumeci del SuperSISMI per alleggerire anche la posizione del professore. Al di là dell’effettiva responsabilità della strage italiana più sanguinosa dal immediato Dopoguerra ad oggi, la vicenda che investe anche il professor Semerari illumina una rete di rapporti fra P2, servizi segreti militari, banda della Magliana e destra eversiva.
Non essendo emerse prove a suo carico, il professore viene scarcerato e il suo nome riappare in un’altra brutta storia che coinvolge anche il solito SuperSISMI, Qualche giorno precedente alla sua morte rivendicherà la paternità di un documento falso che accusava alcuni esponenti democristiani di essere coinvolti nelle trattative per la liberazione dell’assessore campano Ciro Cirillo. Il documento era stato pubblicato dall’”Unità”. Costui era stato sequestrato nell’aprile del 1981 da un commando delle Brigate Rosse – . Partito Guerriglia fondate da un ambiguo collega di Semerari, Giovanni Senzani, anche lui in odore di servizi segreti. Per la liberazione si attivano i compagni democristiani napoletani e vari settori dei servizi segreti militari. Viene chiesta la mediazione del boss in carcere della Nuova Camorra Organizzata Raffaele Cutolo.
Si arriverà alla liberazione dopo una trattativa dai contorni oscuri ma inquietanti e non solo per il pagamento di un riscatto. Sul piatto gli appalti della ricostruzione del dopo terremoto. Il 1 aprile 1982 il corpo decapitato del professore verrà ritrovato ad Ottaviano, davanti all’abitazione di Cutolo. Sullo sfondo la sanguinosissima guerra di camorra che oppone la Nuova Camorra Organizzata di Cutolo alla Nuova Famiglia di Ammaturo che rappresenta quelle fazioni della camorra ancora legate a Cosa Nostra siciliana. Ma veramente il professor Semerari è caduto come vittima dell’ennesima guerra di mafia, oppure si è voluto eliminare per l’ennesima volta un testimone scomodo di quegli anni di atrocità e di connubi criminali ?
Quel macabro ritrovamento fa pensare anche ad un messaggio lanciato proprio a Cutolo, invischiato nelle trattative per la liberazione dell’assessore Cirillo. Lo stesso giorno viene rinvenuto il corpo della collaboratrice e compagna Maria Fiorella Carraro presumibilmente “suicida”.
Si aggiunga che, al contempo, pur essendo estraneo al Palazzo, si stava impegnando a individuare i reali mandanti della “strategia della tensione”, al di là delle coperture offerte dai democristiani. Sappiamo, inoltre, che si era gettato alacremente nell’impresa di congegnare ed ultimare il “romanzo delle stragi”, intitolato “Petrolio”, nella certezza che il vero potere fosse gestito nella penisola da chi in quel tempo aveva in mano la gestione della politica energetica. Sembra che il giorno stesso della morte di Pasolini la cugina Graziella Chiarcossi avesse denunciato un furto nella casa del poeta. Oltre a valori e gioielli sarebbero state rubate delle carte, a cui, evidentemente, i mandanti dei ladri erano interessati. Semplice coincidenza ?
“Petrolio” è rimasto incompiuto ed è rimasta una miriade di schemi ed appunti per il romanzo che, sorprendentemente, la casa editrice Einaudi deciderà di pubblicare solo nel 1992 dopo quasi vent’anni dalla scomparsa dell’autore, al termine dell’era della Guerra Fredda e dell’”equilibrio nucleare del terrore” e in piena Tangentopoli quando alcuni altarini – ma solo alcuni – verranno alla luce. Che cosa poteva dare tanto fastidio ? Dal “romanzo” pasoliniano, in particolare, era stato asportato l’appunto 21 “Lampi sull’ENI” dedicato alla figura di Eugenio Cefis, un potente manager del settore petrolifero, chimico ed energetico che era stato braccio destro del Presidente dell’ENI, Enrico Mattei e, dopo la morte di quest’ultimo, era succeduto nella carica qualche anno dopo e, successivamente, aveva ottenuto il controllo della Montedison nel 1971.
Spregiudicato e senza molti scrupoli, Cefis tentava di costituire in Italia un monopolio energetico e di creare un sistema di potere finanziario – industriale – politico – ma, evidentemente anche con qualche risvolto criminale non di poco conto – in competizione con quello delle storiche famiglie del capitalismo industriale italiano (Agnelli, Pirelli, Falck, ecc…). In effetti “Petrolio” sarebbe stato incentrato sul rapporto dialettico e sulla tensione fra i due personaggi che avevano retto l’ENI portandola nel firmamento delle potenze economiche internazionali che contano veramente.
Se Mattei/Bonocore, pur nella sua condotta spregiudicata, cercava di mettere la sua enorme influenza e il suo potere al servizio della collettività attraverso una visione del capitalismo che, comunque, soggiacesse agli interessi generali, Cefis/Troya mirava ad estendere il proprio potere personale attraverso quella commistione fra speculazione finanziaria ed economia e quella confusione fra pubblico e privato che sono forse i veri tratti distintivi del neocapitalismo postmoderno. Comunque i due erano antichi amici e avevano militato nella brigata partigiana “bianca” della Val d’Ossola di Alfredo di Dio, che collaborava intensamente con gli Alleati angloamericani e con il SIM, il servizio segreto militare della monarchia. Militare di carriera, Cefis aveva familiarizzato con Enrico Mattei che si era dimostrato un organizzatore efficiente ed infaticabile.
E’ assodato che, attraverso le formazioni “bianche” della Resistenza come quella di Alfredo di Dio, ebbero origine i primi nuclei di quella che diventerà la GLADIO, la sezione italiana della STAY BEHIND allestita da americani ed inglesi. Lo stesso Mattei è stato spesso indicato come uno dei fondatori della struttura paramilitare atlantica.
Tuttavia, in qualità di Presidente dell’ENI, il potente manager voleva porre le condizioni per l’indipendenza energetica ed economica dell’Italia, condizione imprescindibile per proiettare il paese nel firmamento delle grandi potenze. Il suo attivismo e la sua autonomia lo misero in contrasto con il cartello petrolifero americano, inglese, olandese e francese delle Sette Sorelle. Per contro, la figura di Cefis è avvolta da ombre che non si sono mai diradate a partire dal sospetto di un coinvolgimento nella morte del capo partigiano Alfredo di Dio e di doppiogiochismo. Sarà forse il dubbio sull’affidabilità dell’amico che convinse Mattei a chiederne le dimissioni qualche mese prima della propria morte. Sembra che Cefis avesse cercato di trafugare dei documenti riservati dell’ENI.
La fine di Mattei è nota: il 27 ottobre 1962 il suo aereo privato che, partito da Catania stava ritornando a Milano, si schiantò sul suolo di Bescapè in provincia di Pavia. Secondo una delle più eminenti personalità politiche della Prima Repubblica, il più volte Presidente del Consiglio democristiano Amintore Fanfani Bescapè è stato il primo autentico atto di terrorismo compiuto nel nostro paese e ha segnato l’inizio di un periodo fosco di attentati, stragi e altri lutti. Per anni, nonostante tutto, ha resistito la versione ufficiale dell’”incidente” e solo recentemente, grazie all’inchiesta del giudice di Pavia Calia, è stata approfondita l’ipotesi del sabotaggio affidato probabilmente o a sicari della mafia italoamericana o siciliana o a uomini dell’organizzazione terroristica OAS che, compare ancora una volta nella nostra narrazione.
Infatti Mattei sosteneva l’indipendenza algerina da Parigi e appoggiava l’FLN algerino suscitando le ire dei colonialisti dell’OAS. Ad ogni modo, come in tutti i gradi delitti, devono avere agito delle cointeressenze, e l’eliminazione fisica di Mattei era certo cosa gradita al cartello delle Sette Sorelle. Pare che, quantomeno, Cefis fosse a conoscenza del tentativo poi riuscito di eliminare Mattei… Qualche anno dopo, nel 1967, assumerà la carica di Presidente dell’ENI secondo anche gli auspici di potenti ambienti e circoli della finanza e dell’economia americana ed inglese. Con l’aiuto del Presidente di Mediobanca Enrico Cuccia, riuscirà a scalare la Montedison. Al contempo, per rinsaldare il proprio potere e la propria influenza, darà l’assalto ai mass media e alla carta stampata. Contribuisce alla fondazione del “Giornale Nuovo” da parte del più importante ed autorevole giornalista italiano, Indro Montanelli che si era allontanato dal “Corriere della Sera” diretto da Piero Ottone perché troppo spostato a “sinistra”.
L’interesse di Pasolini per Cefis e il suo sistema di potere era nato dalla lettura del pamphlet “Questo è Cefis. L’altra faccia dell’onorato Presidente” da cui gran parte delle notizie riportate in “Petrolio” sono tratte. L’autore del pamphlet era un tal Giorgio Steimetz, pseudonimo del giornalista Corrado Ragozzino, direttore dell’AMI (Agenzia Milano Informazioni). Quest’ultima era finanziata da Graziano Verzotto, un altro discusso personaggio, già collaboratore di Mattei e Presidente dell’EMS (Ente Minerario Siciliano). Quel libro finisce nelle mani di Pasolini grazie allo psicanalista Elvio Facchinelli. Grazie a “Questo è Cefis”, il poeta friulano riesce a ricostruire il complesso network finanziario allestito da Cefis e i suoi alleati.
Non solo… Individua un sistema complesso e trasversale di Potere che riesce a manovrare a strumentalizzare tanto l’estrema destra quanto l’estrema sinistra e a utilizzare elementi della criminalità organizzata e comune. E’ chiaro che, per Pasolini, l’origine di tale network risale alla Guerra e a quel gruppo di resistenti anticomunisti e antifascisti che hanno collaborato con gli angloamericani. In questo modo suddivide il periodo della “strategia della tensione” in due fasi ben distinte: la prima – che culmina con la strage di piazza Fontana – aveva una finalità anticomunista, poiché doveva promuovere la repressione delle sinistre italiane a partire dagli anarchici – l’anello più debole della catena; la seconda, risalente al 1973 – 1974, si prefigge, al contrario, di scaricare i fascisti per “rifarsi una verginità antifascista” dopo il fallimento della crociata anticomunista.
Un’analisi lucida, condita da gravi accuse mosse a personalità come Cefis, che, forse, era pure supportata da indizi di una certa consistenza. La tesi pasoliniana pare essere stata apparentemente avvalorata da un misterioso testimone di destra in un’intervista del giornalista Paolo Cucchiarelli riportata nella monumentale “Il segreto di Piazza Fontana” (Ponte alle Grazie 2009). L’ex sedicente militante neofascista che afferma di essere a conoscenza di molti segreti sulla madre di tutte le stragi, asserì che i capitali del petrolio di Cefis – assieme a quelli americani – servivano a finanziare la “strategia della tensione” attraverso i traffici di armi.
La direzione verrà affidata al “fratello” Di Bella e verranno assunti altri “fratelli” come Costanzo, Gervaso e Mosca. Ma veramente si può inferire che il “sistema Cefis” e la loggia P2 di Gelli e Ortolani – più volte incontrata nel corso della narrazione – erano una cosa sola. Molti fatti ci inducono a sostenerlo… Nel 1973, nel corso del processo di unificazione massonica fra la comunione del Grande Oriente e quella di Piazza Gesù, i “fratelli” della loggia coperta di Piazza del Gesù “Giustizia e Libertà” confluirono direttamente nella loggia Propaganda 2 del Grande Oriente. Fra le personalità più eminenti ed influenti della “Giustizia e Libertà” era presente proprio Eugenio Cefis. L’intero processo rientrava nel tentativo di dare alla massoneria italiana un indirizzo saldamente conservatore e creare una sorta di “partito occulto” capace di incidere profondamente nella società e nelle istituzioni.
Nella sua scalata ai massimi vertici del potere finanziario, industriale ed economico Cefis contò fra i suoi alleati proprio il finanziere piduista Ortolani – che, a quanto pare, avrebbe “simulato” il rapimento del figlio Amedeo con la complicità dei Marsigliesi – oltre che il petroliere Attilio Monti proprietario di quotidiani come “La Nazione” e “Il Resto del Carlino” e Carlo Pesenti. La continuità si evince anche da altri interessanti riscontri. Innanzitutto negli anni Settanta la BNL, la Banca Nazionale del Lavoro di cui è Presidente il “fratello” piduista Alberto Ferrari, si presentava come una generosa cassaforte a disposizione sia di Cefis, che della loggia P2 e del PSI.
Fra gli altri facoltosi “clienti” dell’istituto spiccavano anche il finanziere piduista e mafioso Michele Sindona, un personaggio che fino agli inizi degli anni Settanta era tenuto in gran conto da più potenti ambienti e circoli finanziari e politici americani ed italiani e un certo Silvio Berlusconi, anche lui piduista e costruttore edile. Le transazioni venivano effettuate grazie alla holding della BNL Servizio Italia diretta dal piduista Graziano Graziadei. Come sappiamo, fra gli obiettivi più impellenti perseguiti dalla P2 c’era l’istituzione di una sorta di monopolio mediatico tramite il controllo della stampa e dell’editoria e la dissoluzione della televisione pubblica da rimpiazzare con un network privato.
Non è difficile rintracciare nell’impero mediatico berlusconiano la concretizzazione dei propositi piduisti. Durante la sua inchiesta, il PM Calia acquisisce un rapporto della Guardia di Finanza secondo cui una delle società accomandanti della Edilnord Centri residenziali dell’avvocato Umberto Previti, padre del noto Cesare e riconducibile a Berlusconi, già Edilnord SAS di Silvio Berlusconi & C., con sede a Lugano, ha preso il nome di Cefinvest, che, ovviamente richiama il solito Eugenio Cefis.