Evasione fiscale: la legge addossa sul contribuente un obbligo di collaborazione nell’indicare il beneficiario dei prelevamenti.

Chi preleva grosse somme di denaro dal proprio conto corrente e non riesce, in caso di controllo fiscale, a dimostrare a cosa sono servite o a quale soggetto sono dirette rischia un accertamento per evasione fiscale. Secondo infatti una recentissima sentenza della Commissione Tributaria di Catanzaro [1], il contribuente, anche nell’ambito della dichiarazione dei redditi ai fini Irpef, deve essere sempre pronto a dimostrare all’Agenzia delle Entrate il beneficiario dei prelievi dal conto.

Quanto denaro si può prelevare o versare sul conto corrente?

La sentenza tocca uno dei temi più “caldi” del momento: l’utilizzo di denaro contante. A riguardo, però, è bene fare alcuni chiarimenti.

Come noto, la legge di Stabilità 2016 [2] ha portato da 1.000 a 3.000 euro il tetto massimo di utilizzo di contanti negli scambi di denaro tra soggetti diversi. In pratica, gli scambi di moneta (vendite, donazioni, ecc.) possono avvenire in cash fino a 2.999,99 euro. Oltre tale soglia bisogna utilizzare strumenti tracciabili come il bonifico bancario o la carta di credito.

Come però abbiamo chiarito in diverse occasioni su queste pagine (leggi “Pagamento in contati: quando si rischia”), questa regola non riguarda i prelievi e versamenti sul conto corrente. Infatti, non ci sono limiti di importo per chi vuol depositare o ritirare, dal proprio conto, importi di denaro contante. Così, non costituisce illecito il comportamento del correntista che preleva 5.000 euro in contanti o ne deposita 6.000.

Ma attenzione: queste regole valgono solo ai fini del rispetto della normativa sulla tracciabilità dei pagamenti. Diverso è, invece, il discorso per quanto riguarda il fisco e, quindi, la giustificazione di quale fine abbiano fatto tali soldi o da quale fonte provengano. A tali domande, eventualmente fatte dall’Agenzia delle Entrate, il contribuente deve essere sempre pronto a rispondere.

La presunzione di evasione fiscale

Una norma, inizialmente nata solo per le società, ma estesa anche ai contribuenti persone fisiche e ai professionisti, stabilisce che tutti i versamenti non giustificati si considerano guadagni (incassi) non dichiarati al fisco, mentre i prelievi di cui non viene indicato il beneficiario si considerano investimenti, e quindi, anche per questi ultimi, scatta una presunzione di evasione fiscale.

L’estensione di tale norma ai professionisti è stata dichiarata illegittima, nel 2014, dalla Corte Costituzionale (ciò sulla scorta del fatto che essi non sarebbero tenuti, nel tenere la propria contabilità, alla registrazione delle singole operazioni, sicché facile è il rischio di confusione tra spese personali e quelle professionali).

Tuttavia, qualche giudice continua ad applicare tale presunzione ai normali contribuenti. E prova ne è la sentenza in oggetto. Secondo infatti i giudici calabresi di secondo grado, la legge ha imposto al contribuente un comportamento: l’indicazione del beneficiario dei prelevamenti, che se non rispettato è configurato come evasione fiscale.

Certo, perché scatti la presunzione di “nero” deve trattarsi di somme rilevanti e non certo delle poche centinaia di euro utilizzate per fare la spesa settimanale. Il rischio poi è ancora più elevato per chi possiede quote in società o altre partecipazioni. Questo perché – almeno secondo il ragionamento indagatore dell’Agenzia delle Entrate – non vi sarebbe ragione di prelevare diverse migliaia di euro dal conto in un’epoca in cui tutto avviene telematicamente o, comunque, tramite bonifici o assegni.

[1] Ctr Catanzaro sent. n. 475/2016.

[2] L. 208/2015.

Autore immagine: pixabay. com

Fonte: www.laleggepertutti.it

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