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Questo è Cefis 9
Le piste a ostacoli
di Giorgio Steimetz

Le biografie brillanti che Eugenio Cefis generalmente descrivono economista insigne, prudente operatore, dirigente nato, con ricco medagliere e intelligenti manie culturali, peccano per banalità quando non traspirano fantasia, adulazione, conformismo.
Sembrano tracciate con l’inchiostro simpatico o per entrare nelle grazie di qualcuno (magari lui stesso) o per guadagnarsi il titolo nella corsa ai premi Cortemaggiore (pubblicità Agip), oggi forse sostituiti con il Moplen e la supercandeggina Montedison.
Nel corso della nostra inchiesta dal vero, abbiamo trascurato i ritocchi artistici al ritratto, le mende di circostanza, le foglie di acanto da ornare il piedestallo.
Secondo alcuni tra i maggiori rotocalchi (di élite) che fanno testo nella penisola, Eugenio Cefis è l’uomo chiave dell’economia (l’Espresso), il Presidente che viene dall’ombra (Panorama); secondo Preti, uomo di grandi capacità imprenditoriali. Altri trascendono (nell’empireo del magniloquio): il salvatore dell’ENI (siccome, prima, Mattei non commisurava i costi ai ricavi); indugiando a tratteggiare le vite parallele, l’amore e l’accordo fra i due; poi si afferma, concludendo il fervorino, che il nostro è stato scelto alla Montedison con una nomina che risponde all’impostazione di fondo quale dovrebbe aversi in tutti i casi.
Delle due, l’una: o il Ministro delle Finanze ha avuto un colpo di sole sul finire del mese d’aprile, o l’enigmatico ma eccellente personaggio abbisogna di una cura Voronoff di ringiovanimento, di un rilancio pubblicitario (o di una giustificazione?).
Contro il Cefis, personalmente, non abbiamo nulla: lo diciamo, indirettamente, a qualche suo amico (o compagno d’avventura) che vorrebbe aver scoperto il nostro dente avvelenato. Ce l’abbiamo con la barocca struttura dell’ENI, con l’irresponsabile sistema soggettivo di gestione, con le troppo facili deviazioni di indirizzo, con i metodi pacchiani e padronali di protezionismo, di ricerca nei mercati, di eclettismo strumentale, di lavaggi del cervello con l’avena pubblicitaria e così via.
Non ci ripetiamo all’infinito: i motivi della nostra campagna erano e rimangono chiari, illustrati e definiti nell’esauriente ma incompleto servizio in più puntate (e appendici, anche a venire) apparso su “Milano Informazioni”. Che poi come Gulliver nel Paese dei Giganti le nostre frecce abbiano provocato il solletico a più d’uno e in particolare (almeno lo supponiamo, sinora) al capotribù, era scontato. Se lui ha cambiato naviglio, resta l’equipaggio, restano le nostalgie (concrete), restano le teorie e la pratica che a lui van fatti risalire.
Può darsi che risponda al vero l’asserzione accolta con riserva secondo cui l’ENI ha avuto in Eugenio Cefis un salvatore dopo la scomparsa (sempre più inquietante, specie riferendoci al caso Di Mauro) dell’uomo di Matelica. Come può essere verosimile l’ipotesi contraria: che cioè l’ENI sia rimasta in piedi esattamente come prima (cioè benissimo) nonostante il Cefis.
Plausibile quindi un attacco, come il nostro, diretto non al soggetto anagrafico “Eugenio Cefis”, ma al Presidente di un Ente di Stato che ci appartiene (a noi e a cinquantacinque milioni di Italiani). In fondo sia le bordate (inoffensive?) di “Milano Informazioni”, sia le volute d’incenso (in funzione di tattica dispersiva) dei Piccoli-Preti, nascono o coincidono da uno stesso punto. Le une per illuminare, le altre per confondere e mimetizzare.
Rimaniamo di stucco, conoscendo così bene il personaggio, anche da presso, di fronte ai panegirici di circostanza: il tecnico formidabile, la pila che dava luce a Mattei, il rigorista della cosa pubblica, l’individuo introverso ai clamori e alla rinomanza, tutto lavoro e famiglia; discreto e riservato anche maritando i figli (con un prete celebrante, commilitone degli anni del CLN, più dieci invitati), mentre poteva pretendere la presenza di Saragat, Fanfani, La Malfa, De Martino, oltre ai servizi aggiunti delle masse di Bernabei.
Certo che è edificante leggere di lui l’auto lo aiuta a riflettere, lo riposa, che la sua vettura è un luogo sicuro per i suoi conversari, è la sua prediletta: nobili espressioni, rubate alla prosa per fanciulle di Enrica Handel-Mazzetti o alle maschie biografie condensate dei rotocalchi femminili. Il pensatoio, il salotto prediletto su quattro ruote di Eugenio Cefis risulta intestato alla sua segretaria: l’eroe a fumetti non possiede, di suo, neppure un’utilitaria ufficiale.
Ed eccoci ai detti memorabili usuali e celebrati nelle sue concioni interne, all’ENI o in Largo Donegani: «Guardiamoci negli occhi, diciamo le cose come stanno, mettiamo le carte in tavola», semplici eufemismi allegorici in un uomo che non ama scrutarti, sfugge in calcio d’angolo e le carte, sulla tavola, non le mette mai.
Uno sguardo (la funzione sviluppa l’organo) fatto per trivellare l’avversario, per sgominare l’interlocutore, per fulminare l’obiezione, per accompagnare il sarcasmo. Le cose le dice come stanno bene a lui, pro domo sua, con sottintesi, larvate minacce, raggiri lessicali e di contenuto; agisse davvero come predica, rasenterebbe l’autolesionismo (accennando, magari, alle cose che tratta per ingraziarsi, attraverso le opere Pie, il quarto potere in Italia); spiegasse come stanno le cose quando lo zampino (superstite e solido) all’ENI lavora la MCCC (Metano Carburanti Combustibili Compressi, di sua spettanza), allora sì che direbbe sul serio.
Le Carte, poi riposano ben custodite in capaci e segreti armadi a serratura combinata, al riparo da indiscrezioni, indagini, indebite ingerenze, specialmente del fisco. Ma quale industriale mai giocherebbe a carte scoperte? Meglio intestarle, se occorre, a nomi di paglia, ad innocue persone del seguito, con dipendenza a Vaduz, l’eden degli storni e delle franchigie tributarie.
Stratega dal guanto di velluto, usa il silenziatore ma procede spedito, si disincaglia nelle acque più infide, si apparenta quasi per spasso con speculazioni commerciali al di sopra d’ogni sospetto in apparenza, trascinando—servus servorum—la pesante carretta, ieri dell’ENI, oggi della Montedison, parafrasando la medaglietta dell’amore, oggi più di ieri, domani più di oggi, quanto ad incassi, morali e finanziari.
In fondo ad una lunga fila di operazioni, quel che vale è la somma, il risultato. Noi abbiamo delineato abbastanza diffusamente le voci, ma non saremmo affatto in condizioni di trarne il totale, sia perché altre distrazioni stiamo curando e rivedendo (per inserirle poi nella colonna delle attività secondarie del nostro), sia perché sarebbe impossibile fargli i conti in tasca.
Questo panorama finanziario (e fiscale), Eugenio Cefis l’ha letto certamente, con il sussiego e il compatimento dell’uomo saccente e assicurato; forse in una delle sue residenze. Tutt’al più sguinzaglia qualche mastino per sapere cosa c’è dietro: come se tutti, alle spalle, avessero degli oscuri interessi; per accertarsi se altre rivelazioni (così ridicole…) hanno in serbo gli sprovveduti ma noiosi sanculotti; per sorvegliare o documentarsi (nel caso d’una replica); per spegnere il focherello con i soliti interventi da adottarsi per i guastafeste.
Il nostro (modestissimo) silenzio non vale, diciamolo pure, nemmeno una messa; quindi non è il caso che ci montiamo la testa. Continueremo a dire quel che sappiamo, a dispetto di qualsiasi omelia ufficiale, tenuta da grandi mediocrità del mondo politico oggi sulla cresta dell’onda; a dispetto di intimidazioni inespresse o sottoscritte; a dispetto del vuoto pneumatico che gli organi d’informazione (indipendenti di nome, ma dipendenti in affari) reputano preferibile attorno a questa faccenda così poco interessante e attuale.
Nella cortina fumogena stesa ad arte, s’incunea il nostro imperdonabile squittio; nel coro uniforme del gradimento s’innesta la nostra eccezione, che tale rimane anche se conferma la regola.
«Il manager sono io», di fatto e d’elezione; con ogni implicazione di rischio, di autosufficienza, di evasione da quelli che rimangono, per comuni mortali, leggi e tabù. La fumettistica non pone in rilievo questo lato significante della personalità di Eugenio Cefis; preferisce indugiare sul bunker del Capo, l’auto (della segretaria) ch’egli, come Mattei nel suo ridotto alpino, amerebbe per difendersi da occhi indiscreti, rifugio e alternativa.
Pittoresche immagini, ingenue e malevole come le insidie del demonio sugli ex-voto che allietano le stanche giornate di Cefis, rientrano nel quadro: il camaleonte rosso, il tribuno silenzioso, il barone delle immobiliari, il ribaltatore delle alleanze, il trasformista dialettico. Certo, l’Herrera delle crisi industriali non ha dischiuso la via del risorgimento alla Montedison chiudendosi alle spalle il portone di bronzo dell’impero petrolifero. L’elefante di Stato, l’oro nero d’Italia rimangono saldi nelle sue mani, grazie agli uomini che vi ha distaccato, con il Girotti sostituto.
L’ordigno, innocuo, è scoppiato tra le dita di Piccoli, facendo una nuvoletta di fumo. L’uomo-ombra è anche il Presidente-ombra: non abbandona di sicuro l’ENI senza rimpianti, anzi divorziando. Vorremmo che gli eventi ci smentissero: che all’ENI cambiassero alcuni indirizzi politici paternalistici, riducessero sensibilmente gli investimenti pubblicitari, facessero un po’ di pulizia. Invece sinora tutto continua come quando c’era lui all’inacessibile palazzone di vetro di Metanopoli. Perché cambiare se tutto andava bene, madama la marchesa?
Cefis rimane un volpone che sa farsi gli affari suoi e quando gli capita anche quelli dello Stato. Definizione tutto sommato (e involontariamente) positiva. Abbiamo citato i diversi canali, gli appoggi, gli apporti, gli avalli, di cui si serve. Dopo aver fornito in un recente servizio ulteriori dettagli circa la disponibilità della segretaria Franca (Ambrogia) Micheli quale prestanome, possiamo stavolta inserire altri piccanti (se si vuole) particolari circa la collaborazione di quel Sergio De Angelis, conterraneo (perché friulano, di Sacìle) di Eugenio Cefis (la—is e tipica del ladino anche oggi parlato in quella civilissima zona, e dei patronimici). L’ex-Presidente dell’ENI, come sappiamo, è procuratore della “Metano Compressi” ecc., da noi abbreviata in MCCC; di essa è amministratore appunto il dott. De Angelis. Ora possiamo aggiungere che questi risulta pure amministratore della S.p.A. “USI META”, società costituita nel 1967 per l’utilizzazione di gas naturale a Scopo industriale e civili.
Resterebbe da accertare se di questa società Eugenio Cefis ha assunto la carica di procuratore o se si è limitato, come prudenza suggerisce, a porvi delle ipoteche, a controllarne l’attività e i bilanci, ad assicurare alla “USI META” commesse, protezione, buoni affari.
E’ un quesito che giriamo al Ministro Preti, estimatore del nuovo Presidente della Montedison ma anche Ministro delle Finanze e quindi marginalmente almeno interessato alla serietà fiscale di tutte le società, nessuna esclusa, prosperanti nel nostro Paese. Per inciso chiediamo anche al Ministro Piccoli se ritenga edificante un rapporto così trasparente tra un metano e l’altro…
Più misteriose ancora le società del Principato: la “General Rock Investment Trust”, di Vaduz, consociata della Micheli nella “NV.IM” s.a.s.; la “Trevalor Trust Reg.” di Eschen, associata con la “Arborea” s.a.s. di Adolfo Cefis; la “Gula Etablissement” di Vaduz, che figura nella “Immobiliare San Sebastiano” della gentile signora Micheli, segretaria del Barone rampante.
L’esotismo è casuale. L’abbiamo già sottolineato. Si vede che il Liechtenstein si confà alle attese finanziarie del capitale anche italiano; aria buona, discrezione, silenzio, confidenza.
Chiariamo ora che la “Trevalor Trust Reg.” è socio accomandante della “Grober” s.a.s. di Eugenia Airoldi, per acquisto ed esercizio di proprietà e gestione di beni immobili e partecipazioni, con atto del solito notaio Neri. Inoltre la “Trevalor Trust” è accomandante della “Immobiliare Luca”, di cui è accomandatario un certo geometra Lampugnani. Una nuova traccia, anzi due, sulla quale sguinzagliare qualche abilissimo segugio che abbia più fiuto di noi (quanto a fiuto è un’altra cosa). Se c’è puzza di bruciato, c’è dell’arrosto in pentola, ma non tocca a noi accertarlo. Le coincidenze sono inoppugnabili, anche se non è detto che debbano essere, al limite, conclusive. C’è sempre un notaio e sempre lo stesso; hanno sede, tutte queste società, in corso Venezia, 24, dove appunto Cefis ha fissato alcune sue tende; la ragione sociale si ripete stranamente, come la predilezione per il minuscolo recapito tra l’Austria e la Svizzera.
E’ il caso, se vogliamo, della “PAR. IN.”, di Airoldi Giuseppe, una società in accomandita semplice per l’assunzione di partecipazioni sia in proprio che per terzi, e nella quale si nota la presenza della “Interoil Investment Trust”, di Vaduz; il caso della “Warn” di Attilio Neri, una s.a.s. per operazioni immobiliari e mobiliari, in cui appare la “SADAF Finance Etablissement”; della “Costanza”, una immobiliare di Grosselli Attilio, con la “Olka Finanziaria Etablissement” di Triesen; della “Editorial” dell’Eugenia Airoldi prima, poi di Franco Caprotti, in cui entra la “Trevalor Trust”. Particolare notevole: quest’ultima Cessa a Milano nel 1970 con un capitale di mezzo milione, riaprendo subito dopo a Varese, portando il capitale a cinquanta milioni.
Il giro di queste s.a.s. è probabilmente complesso. Intendiamoci: potremmo aver preso un granchio. Ma finché mancano smentite, è En troppo evidente pensare a collusioni fra il clan dei Cefis e le società del principato del Liechtenstein: per le compartecipazioni, gli investimenti, le fideiussioni, le obbligazioni, l’acquisto, la gestione, la vendita, le proprietà. Se il giro esiste, come lascerebbero intendere troppi elementi, si evidenzierebbe una volta di più la doppia personalità di Eugenio Cefis, uomo pubblico, tenuto per molti versi ad un distacco da interessi particolari, privatistici. Se il ministro Preti esalta il Presidente della Montedison proprio per le tipiche virtù dell’uomo di Stato, vorremmo potergli credere senza riserve. I ministri dovrebbero parlar chiaro, pur con il tatto e la misura politica suggeriti dalla posizione delicata di certi personaggi di primo piano nella vita del Paese.
Non è l’autorità dei signori Ministri che rende invulnerabile dalla severità della legge un uomo, anche se notabile, anche se collocato molto in alto. La fatica oratoria dei nostri governanti dovrebbe spiegarci invece perché alla gente qualsiasi non sia consentito alcun estro inventivo nella dichiarazione dei redditi, mentre alle divinità dell’Olimpo democratico sembra siano aperte tutte le strade per sfuggire all’odioso controllo.
Quando qualcuno segnala pubblicamente, indicando una pista, sarebbe giocoforza seguire questo allarme, suffragato da molteplici elementi di veridicità per considerarlo a priori falso e tendenzioso. Noi abbiamo indicato alcune probanti risultanze. Non abbiamo naturalmente scoperto tutte le carte che il gioco, imprevedibile, ci va fornendo di giorno in giorno. Con tante tessere, abbiamo corretto il mosaico encomiastico che gli artisti (di Stato) della politica vanno regolarmente collezionando intorno al venerabile.
Esiste un rovescio della medaglia al merito civile. L’eroe dell’economia italiana ha i piedi d’argilla, almeno sullo zoccolo che hanno voluto erigergli. La Triplice Intesa governo, partiti, sindacati gli rilascia credenziali o si trincera in un silenzio che acconsente. Il quarto potere apprezza le benemerenze concrete che gliene derivano, e tace.
Un po’ alla volta, con la nostra fatica di Sisifo, scarteremo tutti i veli che custodiscono il santone, collezionista di ex voto, di immobiliari e di pubblici encomi.

Questo è Cefis 9 (pp. 105-112)

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