70 anni fa nella città americana di Bretton Woods, nello stato di New Hampshire, finiva la conferenza internazionale che gettò le basi del nuovo sistema finanziario mondiale. La Seconda guerra mondiale era ancora in corso, ma i leader dei maggiori Stati del mondo già pensavano al sistema finanziario del mondo postbellico.
Alla conferenza di Bretton Woods, che durò dal 1 al 22 luglio 1944, parteciparono 730 delegati in rappresentanza di 44 Paesi della coalizione antinazista. La conferenza si svolse sotto la presidenza del ministro delle Finanze degli Stati Uniti, Henry Morgenthau. La delegazione dell’URSS era guidata dal vice ministro del Commercio estero Mikhail Stepanov, mentre la Cina mandò in America Chiang Kai-shek che in seguito dovette fuggire a Taiwan sotto i colpi dell’esercito comunista.
Nessuno dei delegati dubitava che il mondo avesse bisogno di precise regole valutarie. Alla fine fu creato un sistema che doveva garantire la ricostruzione e lo sviluppo dell’economia internazionale dopo la guerra. Questo sistema agganciava il dollaro all’oro (35 dollari per un’oncia troy), stabiliva il cambio fisso delle valute nazionali dei partecipanti contro il dollaro USA, e ammetteva la revisione dei cambi valutari soltanto attraverso svaluzione o rivalutazione. Per garantire il funzionamento ininterrotto del sistema le funzioni chiave venivano delegate al Fondo monetario internazionale (FMI) e alla Banca internazionale per la ricostruzione e lo sviluppo (BIRS).
Gli accordi di Bretton Woods aprirono il capitolo del cosiddetto “gold standard” (sistema aureo) e dell’onnipotenza del dollaro americano agganciato all’oro. Oggettivamente ciò era dovuto al fatto che l’economia americana era la meno colpita dalle conseguenze della Seconda guerra mondiale. Tuttavia l’aggancio al dollaro del sistema finanziario internazionale, e del dollaro all’oro, creò le condizioni per trasformare gli USA nel più grande centro finanziario del mondo. FMI e BIRS diventarono, in sostanza, un’arma geopolitica di Washington.
Una delle conseguenze dell’introduzione di questo sistema fu l’aumento dell’influenza delle multinazionali, dove le società americane avevano il peso determinante. Nel mondo d’oggi il conflitto tra i governi nazionali e le multinazionali ha raggiunto livelli altissimi e questa contrapposizione costituisce una minaccia per il sistema economico internazionale, ha rilevato il Direttore dell’Istituto di studi sui problemi della globalizzazione e dei movimenti sociali, Boris Kagarlitskij.
Questa situazione di “caos incontrollato” conduce ad una guerra di tutti contro tutti. In questo senso l’unica via d’uscita è il protezionisimo. È una cosa oggettiva e non c’è nulla da fare. È una normale prassi per ripristinare il controllo del sistema economico mondiale.
Non a caso l’URSS, sebbene avesse firmato gli accordi di Bretton Woods, non li ha mai ratificati. L’Unione Sovietica si è rifiutata anche di partecipare al FMI e alla Banca mondiale, in quanto credeva che queste strutture fossero uno strumento dell’imperialismo mondiale creato per soggiogare i Paesi e i popoli.
Negli anni ’70 il “gold standard” fu abolito. Lo vollero gli USA stessi. La fine formale del sistema creato a Bretton Woods risale al 1971, quando l’allora Presidente americano Richard Nixon disse no alla Francia che gli chiedeva di scambiare dei dollari con oro, sebbene gli accordi di Bretton Woods obbligassero gli USA a questo tipo di operazioni.
Dal 1978 il mondo vive con i cosiddetti Accordi della Giamaica che prevedono il libero cambio delle valute e la libera fluttuazione dei cambi. Eppure il dollaro americano rimane la principale valuta delle transazioni internazionali, mentre la Fed (Federal Reserve System) si è trasformata in una conia mondiale. La rinuncia al sistema aureo (gold standard) ha portato alla comparizione di uno “standard cartaceo”, quando il valore del dollaro dipende dall’attività di emissione della Fed e dai prezzi petrolferi.
Non a caso sempre più politici e uomini d’affari si pronunciano contro l’onnipotenza della banconota americana. Alla vigilia della ricorrenza della conferenza di Bretton Woods, l’Amministratore delegato della Total francese, Christophe de Margerie, ha dichiarato che non vede un motivo “perché si debba pagare proprio in dollari”. Margerie crede che non si possa rinunciare completamente al dollaro americano, ma “sarebbe ottimo usare l’euro più spesso”. Analoga è anche l’opinione del Presidente del Cda della società energetica GDF Suez, Gérard Mestrallet.
Un metodo ancora più efficiente per lottare contro il dollaro possono essere le associazioni regionali, in primo luogo sulla base del gruppo BRICS. Gli accordi dei BRICS si basano su intese politiche reciprocamente vantaggiose e hanno una solida base economica. Ciò li rende diversi dagli accordi che vengono raggiunti nell’ambito dell’Unione Europea. La Cina, per esempio, ha firmato in primavera 2013 un accordo commerciale col Brasile che prevede pagamenti bilaterali in valute nazionali e l’apertura di una linea swap per transazioni in base al cambio fisso per un totale di circa 200 miliardi di yuan (30 miliardi di dollari). Si tratta di un meccanismo analogo a quello creato a Bretton Woods, ma senza la parentesi del dollaro.
Tratto da:http://italian.ruvr.ru