Questo è Cefis 12
Un taumaturgo chiamato Eugenio Cefis. Il re del trapezio
di Giorgio Steimetz

Lo stratega silenzioso, lo schivo manager, l’eccelso risanatore dell’italica finanza, il mago dell’etilene – Eugenio Cefis – avrebbe, da qualche tempo, cambiato tattica e costumi. Lo si evince dal fatto che mai come in questi ultimi mesi il buonuomo ha scodellato interviste, s’è lasciato cogliere dai lumi dei flash, è passato al colloquio.
Un metodo sinora sconosciuto alle sue abitudini. Uno sport al quale non s’era mai dedicato, con un tantino di narcisismo e di psicologia del ruolo. Non che tacere per umiltà: l’amor proprio lo conforta. Non che fosse riluttante alla notorietà consueta per temperamento introverso: meno si parlava di lui e più (lui) era contento. I1 silenzio è d’oro (nero), come sempre! Nemmeno per discrezione, impetuoso e sbruffone com’è nelle sue azioni industriali. Cosa può averlo indotto al dialogo, tanto improvviso quanto abbondante, sì da far concorrenza all’on. Moro e ad Ugo La Malfa?
Abbiamo due precise sensazioni. La prima: anche il Cefis s’è convinto che è d’uopo marcare il suo passaggio del Mar Rosso con una concessione alla stampa, trasferendo ai giornali quello stile asciutto e spregiudicato sinora riservato ai suoi Consigli di Amministrazione, nei rapporti con i collaboratori fidatissimi sicari della sua politica, nei conciliaboli da retrobottega per le sue oscure ma fruttuose manovre d’arrembaggio. Gli ha fatto scuola, considerazione sintomatica, quel Giulio Andreotti caustico e imprevedibile, polemico al massimo, parco di scrupoli (ne sa qualcosa il Sen. Fanfani) e senza riguardi.
L’altra opinione è che i ritrovati della “System-Italia” società da 900 milioni versati, amministrata dal fratello Adolfo Cefis ed attualmente in pratica d’affari con la Montedison nel ramo della promozionalità li vada proprio collaudando lui, con ovvie spinte di presa psicologica, di levigatura dei rivali, di conquista spavalda dei mercati (politici, soprattutto), di ascendente sugli economisti e l’opinione pubblica.
Due ragioni per rompere un leggendario riserbo: la stagione matura – adeguarsi ai tempi e (forse) la metodologia applicata della “System-Italia”, concorrente alla Montedison.

Un uomo venuto di moda

L’attacco per interviste è dunque la vocazione più recente del baldo Anselmo alle crociate (petrolchimiche).
La stampa italiana, come accade all’estero, è di fazione alla ricerca di thrilling nuovi e di sensazione, da ammannire agli impazienti lettori. Il sesso va rompendo le scatole anche ai vecchioni libidinosi. Ce n’è troppo e i mezzi sono carenti. Il boom sexy va trasferendosi alla biancheria da camera, alla pubblicità per cosmetici, al simbolismo fallico di prodotti come la benzina e le banane assolutamente unisessuati…
Per evitare una crisi che riporterebbe l’uomo (il lettore) a discorsi metafisici e alla disperazione trascendentale, la stampa corregge la mira e va a caccia di buone firme.
Cefis, come Andreotti, fa cassetta. Sanno prendere di punta anche le spade al piatto; contengono a Sor di pelle, translucido, il più scostante livore; dicono in quattro parole (cattive) quello che la media dei parolai nazionali deve ampliare in venticinque sconnesse espressioni; rovesciano da cavallo gli avversari con la villania dialettica; fan terra bruciata con i propri indiscutibili e inobliabili teoremi economici, sociali, politici, aziendali. La tecnica per interviste – di Hiroscima.
Cefis è sempre stato così. L’opinione pubblica l’apprezza soltanto ora per i graziosi servigi che la stampa – allineata sulle posizioni pubblicitarie Agip e Montedison che ne foraggiano la magra esistenza – gli rende.
Noi lo conosciamo da (appena) vent’anni. Non sa dialogare, ama il monologo stretto ed egocentrico. In cuor suo (e non solo lì) passano per emeriti testoni i Boldrini, i Roasio, lo stesso Girotti, di ieri, e i Campilli, i Merzagora, i Valerio, i Faina, i Cicogna di oggi o stamattina . Ivi compresi quei politici che ne tessono premuroso elogio, che l’hanno trasferito con fasto spagnolesco al grande complesso industriale, già a capitale e conduzione privata, ora semi-pubblico e in avvenire di proprietà forse, se le cose andranno come vuole lui cooperativa o Kolkloziana.
Un uomo solo sapeva tenere a freno l’indomito e raggelante boss dell’economia (statale) italiana, ma si chiamava Enrico Mattei, commilitone nelle bande della Resistenza come sulle barricate dell’Agip (in liquidazione), e poi in cresta all’onda sinché nel 1960 volle licenziarlo per i meriti (d’arroganza) acquisiti all’ombra sua nell’Ente Idrocarburi.
È proprio sconsolante che sia venuto di moda insieme alla contestazione, alla conflittualità permanente, alle manifestazioni in piazza San Pietro, ai disordini sindacali, alla crisi dello Stato certo linguaggio, conseguente, da caserma, da irsuto ma analfabeta mandriano (un clichè nel quale, abbiamo già scritto, lui somaticamente ci spazia e ne avanza), sin qui appena tollerato dentro quattro mura, sia pure di prestigio e di vetro come all’ENI-EUR o al grattacielo di Metanopoli.

Ipertrofia agiografica

Facciamo una fatica maledetta a seguire tutti gli echi di stampa che istoriano con arabeschi e dorature le eccellenti interviste del fresco e prolisso neo Presidente della Montedison. Li vedremo appena scorrendoli alla buona.
Trascuriamo il più diffuso rotocalco d’Italia, quella “Famiglia Cristiana” nota per la disinvoltura aperturistica e il livello abissale della sua informazione culturale a fumetti e dispense. Cestiniamo egualmente “Il Milanese”, l’ultima impresa editoriale periodica di Mondadori (quando metterà le mani su “L’Osservatore Romano”?) sdolcinata e retorica, frettolosa e polivalente, che a ognuno vuol piacer, spiacendo a tutti.
Sia il settimanale delle Paoline, sia il giornale ambrosiano di Mondadori hanno dedicato colonne (di piombo, ma fuso) al barone del metancompresso, per l’esattezza procuratore della MCCC che non è in numeri romani la sigla del Trecento, ma della “Metano Compressi Carburanti Combustibili”, appunto, piccolo e non isolato hobby del magnate.
Quanto all’ “Avvenire”, diamo per scontata la premura, l’assiduità, la deferenza (filiale, et pour cause) al patron e alle sue creature; con la pubblicità di cui beneficia, con il Giuseppe Restelli prestato dall’Eni alla Presidenza del consiglio di amministrazione del quotidiano cattolico di punta; con l’identità di vedute politiche, è naturale che il Cefis viva di rendita in casa dell’ex “Italia” in divenire.
Il peso massimo di via Solferino, di tempra spadoliniana con armature di cartapesta, disponibile sempre a qualsiasi ripensamento purché dettato da Mammona, s’è attestato con Cesare Zappulli su un piano di gelosa e totale adesione. I tempi della polemica Montanelli-Mattei sembrano remotissimi, ma allora guidava la barca certo Missiroli…
Anche qui, la ragion di stato, l’auri sacra fames, i centimetricolonna di pubblicità in giallo (sporco) Agip. Le idee al servizio della causa (o del bisogno, o dell’utile), mentre la verità appetibile da tanti fedeli lettori d’un giornale francamente svettante per serietà, firme e tradizione – rimane accidentale eufemismo.

Per non morderci la coda

Ma politicamente (e con qualificazione etica) su che ripiano vanno collocati altri fogli di rilevante tiratura: “Successo”, “Epoca”, “l’Espresso” e così via? Non si abbeverano ad una stessa fonte, né risulta che abbiano sposato determinate cause, coincidenti con approssimazione sulla linea Cefis.
Basta spiegare l’arcano ricorrendo al monopolio pubblicitario dell’augusto mecenate che, distaccando spazi per la réclame all’oro nero e derivati (anche lontani), si assicura altrettanti microfoni ad alta fedeltà. Non risolveremo noi la sciarada: abbiamo appena scovato uno dei suoi termini.
Nell’insieme la claque funziona e con discreta osservanza di tempi, tonalità e rumori. Deprimente constatarlo (ma lo sono meno le battute e gli assiomi di economia politica dell’oratoria di Cefis?), ma quando il Presidente della Montedison pontifica, se ne raccolgono in cronaca e commentari persino i frammenti Tanto dimostra efficace l’iperclorato di sodio dei Big Bon, con le cosce di pollo di Raffaella Carrà ad esaltarne meriti e bontà.
Ci consoliamo aprendo “Il Giorno”, relativamente discreto, avaro di incensi almeno in confronto all’“Avvenire” , smaccatamente riservato noblesse oblige nei riguardi dell’esimio datore di lavoro. Falsa parsimonia, per non dar nell’occhio, in un giornale lo abbiamo ripetuto più volte al Ministro Preti assolutamente inutile ma essenziale ai fini fiscali per giustificare i miliardi (di pubblico denaro) sperperati, come per l’agenzia “Italia”, dall’Eni nel realizzare (male) il sogno da nababbo: dotare il gruppo di un proprio portavoce, anzi due, (“Il Giorno” e l’agenzia, appunto, “Italia”) nel coro dodecafonico della stampa nazionale.
II contribuente, in sostanza, paga di tasca propria la sopravvivenza di queste due testate che servono una causa anche contabilmente sballata, del tutto estranea se non contraria all’interesse deI contribuente stesso e della comunità. Accanto agli enti inutili, ai binari morti, si dovrebbe recidere alla radice questi due parassiti. O almeno pubblicarne gli spaventosi deficit di gestione. Cefis vuol tagliare le aziende improduttive alla Montedison, ma allEni non ha voluto asportare le adenoidi né i denti cariati! Certo il quarto potere si mostra sensibile (e realista) assai più davanti ai consistenti vantaggi offerti da una politica pro-Cefis che nei confronti di quella (modesta) verità da noi pubblicata L’Agenzia “Milano Informazioni” diciamolo sottovoce e oggi l’unica fonte che dissente, che anzi accusa e attacca: ma essa non adopera il metro degli spazi pubblicitari…

I detti memorabili

Per tornare alla nostra stampa allineata, è tonificante coglierne i pezzi e le briciole più preziosi, sparsi naturalmente da Eugenio Cefis nelle sue interviste.
Brillante l’affermazione, ad esempio, che la Montedison «ha bisogno di stare in pace e di leccarsi le ferite». Lasciamola dunque tranquilla, povera cocca. E con lei il responsabile, a meditare i prezzi scontati che la “System-Italia” può praticargli o a strofinarsi le punture di zanzara che una certa, oscura agenzia di stampa gli va, da qualche tempo, allungando…
Ancora: della Montedison, il barone rampante ha una visione panoramica di «tutti i 360 gradi dell’orizzonte», privilegio consentito da madre natura solo a certi insetti, come le mosche (se non andiamo errati), che hanno gli occhi compositi, in grado di vederci sopra e sotto, e avanti e dietro. Ad ogni modo non sbaglieremo granché accettando per buona la risibile trovata di Eugenio, l’uomo dall’orizzonte talmente vasto che ci stanno i precompressi, le immobiliari (della segretaria) ed i recapiti nel Principato…
Cambiando disco: dalle perle di “Successo” alla sontuosa cornice di un organo austero ma bisognoso anch’esso di comprensione per quadrarne i bilanci, come sa il cav. Cefis: ecco “ L’Espresso”. «L’operazione di pulizia del bilancio Montedison è sempre stata rinviata» (per colpa dei precedenti speziali, Merzagora, Campilli, Faina, Valerio, n.d.r.); «le perdite che oggi registriamo non sono altro che il frutto del passato», rilancio quindi per un uomo che non lascerà cosi pesanti eredità ai (lontani) successori; «ci vorranno almeno tre anni prima che si cominci ad avvertire l’effetto della nuova strategia», data ovviamente per miracolosa e sicura, nelle mani del grande condottiero al quale la Provvidenza, attraverso Piccoli e Carli, ha consegnato mani e piedi la traballante e gigantesca struttura industriale d’Italia.
La musica come si nota è sempre la stessa. Il credito di cui gode Cefis, è pari, diremmo, alla sua incompetenza; quando egli, intervistato, disquisisce di rapporti tra investimenti e fatturato, su immobilizzo di impianti e omeri di lavoro, sul piano chimico nazionale, il salvatore non fa che usare la terminologia e le conclusioni dei suoi negri, della staff che l’attornia, tecnici di valore, dei quali, con sufficienza e distacco, egli traduce le veline e s’illumina di luce riflessa.
Del resto la carica che egli ricopre non prevede particolari competenze specifiche: se fosse un vero economista, se conoscesse a fondo la materia, se brillasse di luce propria, non avrebbe fatto la carriera che ha fatto. Vorremmo vedere dove finirebbe la sua folgorante saggezza, scodellata in interviste e tavole rotonde, senza i lanci e i razzi vettori della “System-Italia”, senza le cure e il maquillage dei suoi tecnici.

In Giudea e Samaria, sempre profeta

Nessuno pretende che un capitano d’industria figuri tra i retori da antologia. Anzi il clichè letterario (e cinematografico) ama presentare codesti personaggi in un velo di sciatteria adulatoria, buoni borghesi di modesta cultura, sforniti di armi dialettiche, ma in compenso titolati di magia produttiva, di fiuto, di genialità autentica negli affari.
Cefis, che si mette a proclamare le sue dottrine, non s’accontenta più di agire, vuol anche apparire: con effetti alquanto discutibili, rivelandosi in pubblico quello che è in privato, cioè aggressivo, scostante, precompresso come un bulldozer che frantuma tutto sulla sua strada.
Ci chiediamo, dopo le volute d’incenso di severe testate, dopo il rilievo tipografico di certi spazi sulla stampa: ha usato, il nostro cavaliere d’industria, il grandangolare (a 360 gradi) per inquadrare – un tempo la situazione dell’Eni, e vi ha condotto con altrettanta energia quella operazione-pulizia che si accinge – in tre anni a realizzare nella Montedison?
Diremmo che in precedenza, in sella al destriero del petrolmetano nazionale, ha usato sistemi di nettezza interiore abbastanza singolari. Come l’impiego di società pubblicitarie in forza all’Eni per azioni assolutamente estranee ai Eni e ai compiti dell’ente come la distrazione di fondi per ingraziarsi i politici; come l’assegnazione di equipe di personale Eni negli ingranaggi di determinati organi di informazione; come l’acquisto, a milioni e milioni di lire in sovvenzioni pubblicitarie, del silenzio e del consenso di mezza stampa italiana; come l’incremento dei defìcit del giornale sociale (“Il Giorno”); come la regia di consulenti, prebendati quanto inutili, a propria disposizione; come lo sdoppiamento della sua personalità in attività d’istituto e in hobby opulenti e impegnativi quali le immobiliari e affini.
Con queste premesse, desunte dalla politica più documentabile di Eugenio Cefis, già Presidente dell’Eni, riteniamo di essere i soli struzzi in Italia a dichiarare inesistenti le qualità manageriali del Patron, ed assolutamente dannose le esperienze in corpore vili sinora attuate dal medesimo nel tessuto dell’economia del nostro Paese. Esperienze che gli sono servite, per paradosso, alla promozione di ieri, al credito di oggi.
Un avallo sconcertante ma scontato, gli viene dall’ultimo aumento del fondo dotazione Eni, votato con 319 si e appena 19 no dal Parlamento, per un totale di 290 miliardi in cinque anni. La votazione, avvenuta a scrutinio segreto, quindi con piena libertà di eventuale dissenso, certifica appieno l’unanimità o quasi dei consensi all’operato di Eugenio Cefis, appena defluito dalla dirigenza dell’Ente Idrocarburi. La prova del nove delle sue virtù è venuta quindi dal potere politico senza distinzioni apprezzabili di parte e di origine!
L’aumento di un fondo che a ragione si dovrebbe chiamare di pubblico sperpero, trattandosi di soldi del contribuente, è leggermente scandaloso, ma nella fucina di Vulcano si parla di mille miliardi, non di poche migliaia di lire confluiscono i favori dei più severi censori dell’economia politica italiana, gente come il La Malfa e il Malagodi, come il Mancini e l’Andreotti. Tutti insieme a decretare utile e proficuo un gesto di fiducia nei confronti di una azienda nella quale Cefis ha manovrato con disinvoltura pericolosa, impiegando capitali (pubblici) in iniziative da noi dimostrate illecite e sbagliate.
Il Mezzogiorno può ben attendere i miliardi che gli vengono così sottratti per avallare la mitomania di Eugenio Cefis, ancora ombra di Banco nei meandri di Metanopoli. Ognuno di codesti galantuomini Pertini, Piccoli, Restivo, Servello, Massari, Bucalossi e tanti altri ha potuto informarsi in base ai nostri lanci, ma e ovvio che la verità vale molto meno del fumo e degli interessi.
Tutti insieme a confermare la fiducia del Parlamento ad un figlio ribelle, ma pur sempre di famiglia. Sconcertante questa massiccia presenza a favore di un Ente sino a pochi mesi fa esclusivo feudo ad personam di Eugenio Cefis. Vorremmo pensare che il nostro è dovunque profeta: in patria, finché dirigeva l’Ente Nazionale Idrocarburi; all’estero, si fa per dire, nelle vesti di tutore della Montedison.
L’accreditamento di certe somme, votate dagli onorevoli di ogni corrente, avalla l’iniziativa voluta e condotta dal Cefis: questo e fuori dubbio.
Venezia è importante, d’accordo. Agiscono rettamente i deputati che presentano interrogazioni sull’argomento dopo le (quasi) esplosive rivelazioni di Indro Montanelli. Ma quando una chiara denuncia viene offerta ai governanti e al Paese sulle soperchierie, il malcostume, l’irrazionale gestione dell’Eni come è stato fatto da noi neppure un gallo canta, nella notte. Evidentemente il buio li trasforma tutti in gatti bigi.

Una pietruzza in più

Torniamo alla dimestichezza inopinata che oggi adopera l’Eugenio della Montedison nel tener rubrica fissa sui giornali, a dispetto delle dichiarazioni astruse e contorte, delle pietanze discorsive prefabbricate, dei surgelati banali che va dilapidando nelle sue interviste.
Non gli è mancata la cornice mondana. Biografie in rotocalco che decantano la sua laurea in legge, forse per indicare le ragioni profonde della sua eccelsa competenza in materia economica; che lo dipingono appassionato skinauta sui laghi lombardi, indefesso lavoratore persino a bordo dell’auto (intestata alla segretaria), esemplare capitano d’industria perfettamente nazionalizzata. Pallide acqueforti dedicate alla leggenda di un colosso degli Idrocarburi e dell’industria chimica, offerte alle affezionate lettrici del genere rosa. Uscendo così dall’anonimato, Eugenio Cefis deve per forza sottostare alla curiosità, non sempre reverente, del pubblico.
Come cittadini abbiamo anche noi diritto di sottoporgli una domanda ben articolata, ma non essendo certo accreditati presso di lui, giriamo l’occasione a qualche collega, più addentro nel misterioso mondo metalmeccanico, di riuscire originale, un po’ di più del solito.
Ecco il quesito accademico (perché nessuno ardirà farne oggetto di interrogazione) che vorremmo rateizzare per comodità discorsiva e che ci piacerebbe veder ripreso da qualche organo di Successo e simili: primo: se la “Milanpetrol” (s.r.l.), costituita il 1° ottobre 1968 col trascurabile capitale di 950 mila lire dal notaio Bellotti, con sede in Milano, via Tiziano, 19, avente per ragione sociale la gestione di conCefisioni, soprattutto per quanto si riferisce ai derivati del petrolio, appartiene o no al Gruppo Eni; secondo: se effettivamente rientra nel giro Eni, perché sia stata usata la formula della responsabilità limitata, nominando un amministratore unico con pieni poteri, nella persona di Squeri Carlo, nato il 20 giugno 1923 a Bedonia (Parma), ex dirigente dell’Eni ed attualmente Sindaco di San Donato Milanese; terzo: se invece non appartiene all’Eni, come mai si è deciso di privatizzare questo importante settore (appalto di stazioni di servizio, giro di centinaia di milioni con altrettanti dipendenti, automezzi, raggio d’affari), dato che in passato tale attività rientrava logicamente negli interessi e nella gestione diretta dell’Eni; quarto: in un caso o nell’altro, si chiede di accertare il volume, il quadro di affari, i criteri di concessione delle stazioni di servizio a terzi (privati), il loro numero e nome. In entrambi i casi si vorrebbe sapere chi sta dietro allo Squeri, come vengono divisi gli utili, come risponde fiscalmente la Società.
Domande pertinenti, scelte a caso fra alcune che la configurazione composita dell’Ente Nazionale Idrocarburi e i suoi cento couloirs di potere suggeriscono. L’inventario di queste sottospecie, floride nel seno del Gruppo, non possiamo davvero tentarlo, ma gente come l’on. Piccoli e il Ministro Preti per quanto ingenuo sia il rimando ha tutte le carte in regola per scoprire il marcio. Avere gli atout e non giocarli è abbastanza stolto, ma consueto in Italia.
Della segretaria di Cefis, Franca Ambrogia Micheli, abbiamo individuato parecchie intestazioni sociali, immobiliari e non, tutte palesemente legate alla persona del Capo, ivi compresa la Citroen di rappresentanza, appartenente alla F.M.I. (una sigla inventata dal barone, ma con pochissimo spreco di fantasia, per l’egregia signora di cui sopra).
Del fratello Adolfo senza menzionare l’altro, Alberto, che provvede alle piantagioni in Canada per conto del Capo tribù— abbiamo evidenziato con la “System-Italia”, varie composizioni industriali, formalmente irrilevanti ma sempre abbastanza sintomatiche per capire il giro Cefis.
Dello stesso patriarca il quale mostra di non aver nulla da temere, scoprendosi così abilmente la “MCCC” di Modena, di cui è appena procuratore, mentre la testa di turco Sergio De Angelis funge da amministratore.

Sul lastrico dell’indifferenza

Che cosa si può pretendere di più da noi poveracci, limitati nel tempo e nei mezzi (finanziari) per approfondire un discorso già così interessante e proficuo?
A gran fatica andiamo cercando, come detectives dilettanti, le ragioni sociali nelle quali fa capolino la sigla da sesamo, apriti di Eugenio Cefis, le società ad intrallazzo misto (s.a.i.m.) per coniare qualcosa di aderente al tema nelle adiacenze del clan.
Se lo muovesse altrettanta cariosità, lo Stato, ben più provvisto di noi quanto a doveri, ispezioni e sistemi di difesa, a quest’ora avrebbe tolto ogni patina di sospetto alle nostre insinuazioni appalesandone la mistificazione o il contenuto veridico.
E’ ben vero che non si può muovere la Magistratura ad ogni anonima denuncia, ad un colpo di telefono, alla prima alzata d’ingegno di un organo di stampa qualsiasi; ma è altrettanto pacifico che le prove da noi allegate e l’esauriente documentazione stilata nei nostri servizi non vanno confuse con lo scandalismo a basso prezzo o la vendetta meschina di piccole frazioni mafiose. Ognuno deve fare il proprio mestiere. Noi abbiamo individuato dei reperti, analizzandoli per quanto è concesso alla modestia del nostro strumentario, rimettendone i risultati a chi di competenza e più volte, inutilmente, sollecitando una risposta.
Lo Stato sembra aver altre gatte da pelare. Gli organi preposti alla tutela dell’interesse (non solo economico) del cittadino, regolarmente insabbiano, perché fa caldo (d’inverno), o si gela (d’estate). Ogni richiamo cade nel vuoto.
Si afferma: non è il caso, come non è il momento, come non è l’uomo. Ne soffrirebbe, altrimenti, la politica sull’asse di equilibrio, la dosatura di favori e ricatti, di concessioni e immunità di pretesti ed espedienti per tirare avanti una barca in precarie condizioni di rotta.
Per conto nostro ci serviamo del ciclostile come rotativa, del buonsenso alleato al coraggio come guida; del Magistrato, eventualmente, quale riferimento d’obbligo.
Certo le dissertazioni di Cefis sul risanamento della Montedison, offerte con tanta larghezza agli spazi giornalistici, lasciano interdetti: se è tanto abile nel risanare le proprie iniziative private che godono già d’ottima salute, potrebbe riuscire taumaturgo anche per il grosso ente del quale oggi regge il timone.
Il ragionamento fila: ma non c’è forse l’esempio Eni a togliere il credito fiduciario a questa seconda impresa terapeutica del Signore delle società a intrallazzo misto?
Bastasse succhiare il latte delle vacche magre, come ha fatto Cefis, per assicurarsi una carriera, un nome, un’aureola, saremmo tutti giganti dell’economia italiana. E’ tempo di levare la maschera a queste operazioni di alta finanza e di rivelare al Paese l’autentica fisionomia piratesca di certe segretissime manovre.
La stampa in Italia deve liberarsi da certe forme di umiliante servaggio finanziario come lo documentano ampiamente i paginoni di pubblicità alla benzina di stato e le colonne offerte ai ritratti agiografici di un uomo che maneggia miliardi ma non possiede neppure l’automobile.
Tutti sanno che un labirinto esiste, ma nessuno ha il coraggio di seguire il filo d’Arianna che noi abbiamo graziosamente offerto per individuarne la topografia. Per quanto avvertiti dall’indifferenza ufficiale, continueremo ad offrire altri appigli, altre segnalazioni, altre utili tracce, perché qualcuno, finalmente, apra gli occhi.

Questo è Cefis 12 (pp. 137-150) – continua

Qui il primo capitolo, secondo capitolo, terzo capitolo, quarto capitolo, quinto capitolo, sesto capitolo, settimo capitolo, ottavo capitolo, nono capitolo, undicesimo capitolo

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