Nel viaggio per Ventiane (Laos) – dove si è tenuto ieri il vertice Asia-Europa (Asem) – il capo dell’Eliseo François Hollande si è fermato prima a Beirut e poi a Jeddah, in Arabia Saudita per incontrare i suoi omologhi. Nel colloquio con Michel Sleiman, il presidente francese ha voluto manifestare il suo sostegno nei confronti del Libano che in queste ultime settimane ha dovuto affrontare i tentativi di destabilizzazione venuti dall’interno (l’attentato che ha causato la morte del capo dell’intelligence libanese) come dall’esterno (la guerra civile siriana e la questione dei rifugiati). “La Francia non risparmierà alcuno sforzo per garantire l’indipendenza, l’unità e la sicurezza del Paese”, ha detto in conferenza stampa, sottolineando la volontà di evitare un vuoto istituzionale, proprio in un contesto politico nel quale l’opposizione sunnita diretta da Saad Hariri (figlio di Rafiq Hariri) reclama le dimissioni del governo e le elezioni anticipate.
Anche se Michel Sleiman e l’attuale primo ministro Najib Mikati, godono entrambi del sostegno da parte della comunità internazionale, la posizione filo-governativa di Hollande, dimostra che il Libano rappresenta ancora oggi per la Francia una porta d’ingresso nel Vicino e nel Medio Oriente che deve rimanere stabile a tutti i costi. Ma l’incontro più importante per il presidente francese è stato quello avvenuto domenica sera con il re saudita Abdallah, il quale secondo l’agenzia Fars News, gli avrebbe addirittura assegnato per ragioni sconosciute il più alto riconoscimento della monarchia saudita: la medaglia “re AdulAziz”. “Non sono venuto a firmare nessun tipo di contratto, si tratta unicamente di un incontro persone e confidenziale”, ha affermato François Hollande che poi si è indirizzato su tematiche come il processo di pace nel Vicino Oriente, il nucleare iraniano, la crisi siriana e la cooperazione economico-commerciale tra i due Paesi. “Come noi, anche l’Arabia Saudita, è estremamente preoccupata dell’iniziativa iraniana di dotarsi dell’arma nucleare”, ha sottolineato l’Eliseo che questa settimana ha indetto a votare nuove sanzioni contro Teheran. Per quanto riguarda Damasco, Hollande ha dichiarato di avere “un’analisi molto simile a quella saudita”, sino ad esprimere chiaramente la posizione del Quay d’Orsay sul “dossier” siriano: “La Francia appoggia la formazione da parte dell’opposizione di un governo di transizione che darebbe piena legittimità a garantire la transizione democratica nel Paese”. Sui rapporti bilaterali invece, il capo dell’Eliseo ha affermato che “l’Arabia Saudita ha sempre dato prova di responsabilità sul prezzo del petrolio, interessandosi anche all’energia nucleare, di fatto auspichiamo che le nostre imprese si installino nel territorio”. E’ noto, infatti, come il re Abdullah abbia già disegnato un progetto nazionale d’industrializzazione del Paese, incentrandosi soprattutto sulle centrali nucleari.
È vero, François Hollande e il re Abdullah non hanno firmato accordi, tuttavia li hanno intavolati in vista del viaggio che il capo dell’Eliseo intraprenderà a gennaio del nuovo anno. Poco importa se in Arabia Saudita vengono violati quotidianamente i diritti fondamentali dell’uomo, se un proverbio saudita afferma che “una donna non possiede altro che il suo velo e la sua tomba”, e se esiste la più violenta oppressione delle minoranze religiose e politiche della regione. Poco importa infatti la presenza ancora oggi della tortura dei prigionieri politici e della pena di morte, se la dinastia Saudita regna per diritto divino e se la società civile è retta dalla dottrina wahabita (fondamentalismo coranico). E infine non sembra importare a nessuno se nella parte orientale della penisola, c’è stata una “primavera araba” contro la deriva autoritaria del re Abdullah, “meravigliosamente” taciuta dall’Occidente. Poco importa. A Riad si fanno ottimi affari, i diritti umani possono tranquillamente passare in secondo piano.

Sebastiano Caputo

Commenta su Facebook

Tags: