Il 20 ottobre del 2011 veniva giustiziato Muhammar Gheddafi e con lui se ne andava definitivamente un pezzo recente della storia libica. Ma soprattutto se ne andava uno dei regimi più longevi, e stabili, del continente africano. Stabilità che oggi è diventata un miraggio. Poco meno di nove mesi prima per le strade di Bengasi era arrivato il vento delle cosiddette “Primavere arabe”. La gente era scesa in piazza, com’era successo nella vicina Tunisia e in Egitto, e qualcuno dell’esercito aveva sparato.

Ma la Libia non ha seguito né il destino democratico dei vicini della Tunisia, né quello autoritario dell’Egitto, passato dall’elezioni di Mohamed Morsi alla nomina del generale al-Sisi. La Libia ha percorso la tragica via del caos.

Dopo le prime manifestazioni, la comunità internazionale si era mossa per cavalcare le proteste, in particolare Parigi e Londra, che hanno fiutato la possibilità di scalzare dal potere Gheddafi. Già nel marzo del 2011 gli aerei della coalizione a guida Nato iniziavano dei raid contro l’esercito bloccando di fatto ogni tentativo di sedare le rivolte da parte del Raìs. In poco meno di un anno il regime crollò. Da allora il Paese è sprofondato lentamente in una sorta di guerra civile perenne. Per due volte il popolo libico è andato alle urne ma questo non ha comportato una svolta democratica. Alla fine la Libia si è spaccata, con due governi e milizie in guerra per contendersi il territorio. In mezzo ha trovato posto anche l’Isis, capace di piantare il suo seme e di germogliare. Ora la situazione rimane quanto mai complessa. Il governo di Serraj, riconosciuto dalla comunità internazionale si trova a fare i conti sia con la guerra contro gli islamisti che contro l’esecutivo di Tobruk che non vuole lasciare la parte ovest del Paese. In questo scenario, deve manca un’autorità forte e centrale, hanno trovato terreno fertile le milizie e i trafficanti d’armi.

La Libia di Gheddafi aveva un vastissimo arsenale di armi costruito soprattutto a partire dagli anni ’80. Dopo il crollo del regime questo arsenale è finito nelle mani delle milizie e dei trafficanti. Il centro di ricerca CAR (Conflict armamenti research) ha cercato di analizzare i flussi di armi che dalla Libia si sono diffusi negli Stati vicini scoprendo che molte armi, soprattutto armi leggere, sono finite a migliaia di km dai depositi libici.

In particolare la ricerca ha rilevato che:

  • Parecchie armi sono arrivate in Mali soprattutto tramite milizie islamiste e tuareg che hanno partecipato alla guerra civile nel Paese tra il 2012 e 2015
  • Portato armi in tutta la regione del Sahel comprese zone del Ciad, Niger, Repubblica Centrafricana e Costa d’Avorio
  • Sono stati anche registrati due tipi di armamenti diretti in Medio Oriente, in particolare in Siria.

Uno dei casi emblematici di questo travaso di armi è quello dei Manpads SA-7b, dei lanciarazzi di fabbricazione sovietica fabbricati tra gli anni ’70 e ’80. In particolare sono stati sequestrati tre lotti di armi che tradivano la stessa origine. Il primo lotto è stato fermato nel 2012 a largo del Libano sul mercantile Letfallah II, una nave battente bandiera della Sierra Leone che era partita da Tripoli diretta in Siria con a bordo un arsenale probabilmente destinato all’Fsa, l’Esercito Siriano Libero che combatte contro l’esercito regolare siriano nel nord-est del Paese. Il secondo lotto è stato sequestrato a nord est di Gao, in Mali nel 2015. L’ultimo gruppo di lanciarazzi è stato invece bloccato da delle milizie di Misurata, in Libia, nei pressi si Sebha.

Le rilevazioni del CAR hanno individuato che negli armamenti diretti in Siria erano presenti armi dello stesso lotto di quelle ancora in Libia, ma soprattutto di quelle sequestrate a Gao.?Pare che tutte le armi arrivassero dal deposito di Barak Shati a 55km da Sebha.

I ricercatori del CAR hanno esaminato stock di armi rinvenute a Gao, Kidal, Mopti e Sikasso. Una storia particolare riguarda le munizioni di fabbricazione belga PRB NR160 106 mm. Secondo fonti di Bruxelles quel lotto era stato venduto esclusivamente alla Libia e mai al Mali. Stesso discorso anche per le mine anti-carro M3. Mai vendute al Mali. Nel primo caso si tratterebbe di armi ottenute dai tuareg del movimento per la liberazione dell’Alzawad (regione nord del Mali) ottenute commerciando con le tribu Tebou lungo la frontiera fra Libia, Niger e Mali.

Discorso un po’ diverso per la Repubblica Centrafricana. Rispetto al Mali le quantità di armi che probabilmente arrivano dalla Libia sono molto più basse, anche se ci sono due casi emblematici. Il primo riguarda i fucili d’assalto di fabbricazione polacca Kbk-AKMS trovati sia in Libia, tra le fila dell’Isis a Sirte che tra le milizie della guerra civili centrafricana. Il secondo riguarda dei lancia granate di fabbricazione nordcoreana, degli RPG da 44mm. Due pezzi appartenenti allo stesso lotto sono stati trovati a migliaia di chilometri di distanza, uno a Bangui, in Centrafrica e uno a Louaize? in Libano.

Il sequestro della Letfallah II che abbiamo citato in precedenza è emblematico di come la Libia sia diventato un gigantesco outlet a cielo aperto per le armi. Già nel 2013 il New York Times ipotizzava dei flussi di armamenti leggeri provenienti dai porti della Tripolitania diretti in Siria grazie a voli e navi gestiti dalle petro-monarchie del Golfo, in particolare in Qatar. Il gigantesco sequestro avvenuto a bordo della nave battente bandiera sierraleonése ammontava a 150 tonnellate di equipaggiamenti destinati con ogni probabilità ai combattenti siriani.

Un altro punto di contatto fra la guerra in Siria e il caos siriano è dato dai missili anticarro M79 90mm di fabbricazione yugoslava. Quest’artiglieria leggera è stata trovata in mano sia alle forze dell’Fsa che ad altri gruppi ribelli e persino in mano all’Isis. Diverse fonti della stampa internazionale hanno provato che queste armi erano arrivate nella regione attraverso una rotta balcanica che partiva dalla Croazia. Ma in realtà uno stock di M79 è stato trovato anche in Libia. Si tratterebbe di armamenti del lotto TB8606, in dotazione all’esercito sloveno e che erano state destinate alla distruzione nel 2005. In dieci anni però le armi sono tutt’altro che scomparse. Dello stesso lotto farebbe parte un lanciarazzi ritrovato a Rmeilan in Siria che differirebbe solo per l’ultima cifra: TX 60 8604 per quello trovato in Siria e TX 60 8606 per quello in Libia. Rimane però difficile capire se queste armi siano arrivate in Siria via Libia o via Balcani, certo l’estrema vicinanza fa sorgere diversi dubbi.

C’è infine un ultimo strano legame fra alcune armi leggere. In particolare tra alcuni fucili d’assalto trovati in Siria e alcuni usati dai terroristi per colpire i resort turistici in Africa. In particolare per quanto riguarda gli attacchi di al-Qaeda nel Magreb e al-Mourabitoune compiuti in Mali, Burkina Faso e Costa d’Avorio a partire dal 2015. Quasi tutti gli attacchi sono stati condotti con fucili d’assalto che solitamente possono essere acquistati nei comuni mercati neri delle città africane. Ma in questo caso pare si sia trattato di fonti transnazionali.

In particolare il movimento guidato dall’algerino Mokhtar Belmokhtar avrebbe usato dei fucili semi automatici di fabbricazione cinese per gli attacchi in Mali a Bamako e Savaré. Le autorità locali hanno trovato che i numeri di matricola dei fucili erano stati parzialmente rimossi lasciando però intravvedere il numero di fabbricazione “560xxxxx”.
Gli stessi fucili “560xxxxx” sono stati usati da al-Qaeda per attaccare i resort di Ougadougou in Burkina Faso e Grand Bassam in Costa d’Avorio. Da una delle armi dell’assalto a Savaré è stato però possibile risalire alla fabbricazione: si tratterebbe infatti di fucili cinesi costruiti nel 2011. La serie “560xxxxx” corrisponderebbe quindi ad armi relativamente. Le autorità cinesi non hanno confermato la scoperta ma si sono limitate a dire che non le hanno mai fornite alla Libia. C’è però un ultimo giallo intorno a queste nuove armi fornite agli jihadisti: lotto “560xxxxx” è stato trovato anche in Siria. Due fucili della stessa serie sono stati recuperati dall’Ypg, le forze curde che combattono nel nord-est del Paese, a Kobane dopo la cacciata dell’Isis.

È difficile dire con precisione quale sia l’origine finale dei flussi e le supposizioni si sprecano. Ma le teorie principali sono due. Da un lato si potrebbe ipotizzare una regia tenuta da un paese con interesse in entrambe le aree, come ad esempio il Qatar. Dall’altro quella di un’unica grande cellula terroristica responsabile di tutti gli attacchi nell’area, dal Grand Bassam a Bamako che abbia legami, se non stretta parentela con lo Stato Islamico.

FONTE: Gli Occhi della Guerra

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