Pubblichiamo qui l’articolo in cui Tony Barber, la più importante firma del Financial Times sulle questioni europee, prende decisamente le distanze dal governo Renzi, criticando in maniera esplicita sia la riforma costituzionale che la riforma elettorale, oltre alla scelta tattica di riproporre il ponte sullo stretto di berlusconiana memoria. Un vero dietro-front da parte del più importante giornale economico e finanziario inglese, dovuto forse al tentativo di minimizzare il paventato effetto destabilizzante di una sconfitta referendaria, che si preannuncia sempre più probabile.
di Tony Barber, 4 Ottobre 2016
Ciò di cui l’Italia ha bisogno non sono più leggi approvate più rapidamente, ma piuttosto meno leggi e migliori
Matteo Renzi, il primo ministro italiano, ha generato un certo scetticismo la settimana scorsa quando ha suggerito di rilanciare un progetto per collegare la terraferma con la Sicilia con la costruzione del ponte più lungo del mondo attraverso lo Stretto di Messina. Questo progetto multimiliardario è legato a Silvio Berlusconi, che lo promosse in una delle sue tante malie da primo ministro tra il 1994 e il 2011. Il piano è stato abbandonato nel 2013 a causa degli alti costi, della vulnerabilità dello stretto ai terremoti e per il rischio che i clan mafiosi si arricchissero speculando sui contratti di costruzione.
Ma perché Renzi, che nel 2012 criticava il ponte come uno spreco di denaro, ora ne rivendica i vantaggi? Una risposta sta nel rischio per la sua premiership rappresentato dal referendum sulle riforme costituzionali che si terrà il 4 dicembre. Alludendo al rilancio di un progetto caro al cuore di Berlusconi, il centro-sinistra di Renzi mira a ridurre l’incentivo dei fedelissimi di Berlusconi e delle altre forze di centro-destra a farlo cadere nel caso in cui dovesse perdere il referendum.
Se abbia senso costruire un ponte sulle onde dove 3000 anni fa Omero immaginava i mostri Scilla e Cariddi attaccare Ulisse, può essere oggetto di discussione. L’argomento più importante è che, contrariamente alle affermazioni di Renzi, le riforme costituzionali proposte farebbero ben poco per migliorare la qualità del governo, della legislazione e della politica. I poteri del Senato, la camera alta del Parlamento, verrebbero drasticamente ridotti in favore della camera bassa. Il Senato non sarebbe più eletto con il voto popolare diretto, ma sarebbe composto principalmente da consiglieri e sindaci regionali. I suoi membri sarebbero ridotti da 315 a 100.
Renzi sostiene che il sistema di governo stabilito dalla Costituzione italiana del 1948 è un disastro che genera continua instabilità. Allo stato attuale, le due camere del Parlamento hanno poteri identici. Nessun disegno di legge diventa legge fino a quando le due camere non sono d’accordo su un testo comune. Secondo il premier, questo si traduce in ritardi inutili che mettono i bastoni tra le ruote a governi ben intenzionati, come il suo, che vogliono far passare riforme di modernizzazione. Eppure, il record dei governi del dopoguerra, tra cui quello stesso di Renzi, confuta la sua argomentazione. Il Parlamento italiano ogni anno approva più leggi del governo di Francia, Germania, Regno Unito e Stati Uniti. Nonostante la mancanza di una maggioranza al Senato, il partito democratico di Renzi ha fatto passare tagli fiscali e una riforma del mercato del lavoro che sono i pilastri del suo programma.
Né i poteri del Senato sono la ragione per cui ci sono stati più di 60 governi negli ultimi 70 anni. La spiegazione principale è la frammentazione dei partiti politici italiani. Che riflette la frammentazione della società italiana. Ogni partito, e ogni fazione di ogni partito, si distingue per una serie prticolare di interessi economici, geografici, ideologici, religiosi o sociali – o anche per l’interesse personale del suo leader, come quando Berlusconi di Forza Italia era al governo.
Con buona pace di Renzi, ciò di cui l’Italia ha bisogno non sono leggi approvate più rapidamente, ma meno leggi e migliori. Devono essere scritte con cura, e applicate, piuttosto che bloccate o aggirate dalla pubblica amministrazione italiana, da interessi particolari e dal settore pubblico. Le riforme sono collegate a una legge elettorale che assegna un premio in seggi al partito vincente alla Camera dei deputati, assicurando la maggioranza per un periodo di cinque anni. Preparata nel 2014 da Renzi e Berlusconi, anche qui si tratta di una cattiva riforma.
Nelle capitali europee, si ha la sensazione che Renzi merita di essere sostenuto. Un’Italia senza timone, vulnerabile ad una crisi bancaria e al Movimento Cinque stelle anti-establishment, significherebbe guai. Tuttavia, una sconfitta di Renzi al referendum non deve necessariamente destabilizzare l’Italia. Una vittoria, d’altra parte, potrebbe rappresentare la follia di anteporre l’obiettivo tattico della sopravvivenza di Renzi alla necessità strategica di una sana democrazia in Italia.