Negli ultimi giorni lo scandalo Volkswagen ha avuto ampio risalto in tutte le principali testate mondiali, suscitando indignazione non solo tra i principali partner economici della casa tedesca, ma anche tra gli stessi governi europei.
Dopo aver scoperto che l’azienda automobilistica tedesca avrebbe taroccato i test sulle emissioni inquinanti, avvalendosi di un software che le abbassava fino a 40 volte ed entro i limiti normativi, l‘Environmental Protection Agency (EPA), l’Agenzia ambientale statunitense, sembra voler comminare alla Volkswagen una maxi-sanzione fino a 18 miliardi di dollari.
Lo scorso anno, l’EPA comminò a Hyundai e Kia una multa di 100 milioni di dollari. La General Motors invece pagò, per un difetto di fabbricazione, che sarebbe costato la vita a 174 persone, “solo” 900 milioni di dollari, mentre la Toyota per la presunta morte di cinque persone sborsò 1,2 miliardi.
Noterete da soli una certa sproporzione nelle sanzioni. Perchè tanto accanimento dunque nei confronti della Volkswagen? Perchè una sanzione di tale entità – che secondo molti potrebbe addirittura portare il colosso tedesco al fallimento, se sommata ai crolli in borsa – potrebbe non essere altro che un colpo basso, da parte americana, ai danni della Germania che è la più ferma oppositrice alla firma del TTIP (ndr: Cos’è il TTIP, voi di Byoblu lo sapete bene. Se non ve lo ricordate, leggete: “Il segreto più importante per l’Europa” e “Oltre al colpo di stato: come ci stiamo consegnando alle multinazionali“).
“La Transatlantic Trade and Investment Partnership non è altro che un accordo di libero scambio di beni e servizi tra Unione Europea e Stati Uniti. Esattamente come per la Partnership – che potremmo definire “gemella” – TransPacifica (TPP), che punta a sottrarre il sud-est asiatico all’influenza cinese, in base alla politica americana del “Pivot to Asia”, gli USA hanno deciso di negoziare con gli europei secondo il metodo della “fast truck provision”.
Secondo questa procedura il Congresso e il Presidente nominano un rappresentante per i negoziati, il quale poi presenterà al Congresso (cioè il Parlamento americano) un pacchetto che non può essere modificato: vale a dire che il Congresso può accettarlo o rifiutarlo in toto, ma non può presentare emendamenti. Ciò significa che, praticamente nessuno,parlamentari inclusi, fino al momento della presentazione del testo integrale dell’accordo ne conoscono il contenuto. Nessuno tranne alcuni soggetti particolarmente interessati: le lobby. Che possono rappresentare o società multinazionali o gruppi sindacali di una certa consistenza. Emblematica, a tal proposito, è stata una dichiarazione di Obama di qualche tempo fa, in cui affermava che il vero obiettivo dell’accordo non era il libero scambio bensì l’estensione oltre frontiera di alcune politiche americane, come quella ambientale, quella sanitaria, eccetera. Per l’Europa ,invece, a negoziare è la Commissione, su mandato del Consiglio europeo.
A entrambe le partnership (transatlantica e transpacifica) viene contestata la mancata trasparenza sul testo degli accordi, ma poi puntualmente arrivano le soffiate. Per la TPP fu Wikileaks, ma nel caso che ci tocca da vicino, i “dissidenti” che hanno scoperto le carte sono stati tre membri del Parlamento europeo, tutti tedeschi.
I tre parlamentari hanno successivamente divulgato un documento contenente la posizione che l’Europa avrebbe preso al tavolo negoziale, e ciò ha innescato un meccanismo che ha portato a far sì che sul sito dell’Unione europea si aprisse una pagina dedicata all’accordo, in cui si illustrava la posizione UE.
Insomma, chi di accordi commerciali ferisce, di commercio perisce.
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