356,6 miliardi di euro, circa il 20% del Pil. È questo il conto che potrebbe essere presentato all’Italia il giorno in cui decidessimo di uscire dal sistema della moneta unica. È quanto si ricava dalla lettera con cui Mario Draghi ha risposto all’interrogazione presentata da due deputati italiani: Marco Valli (M5S) e Marco Zanni, ex grillino passato altrove. I due parlamentari si erano limitati a chiedere una valutazione della banca centrale sull’incremento del debito italiano secondo il Target 2, che registra il passivo della bilancia dei pagamenti di un Paese verso i partner della moneta unica. Nelle ultime righe c’è il veleno: «Se un Paese» ha scritto Draghi «lasciasse l’Eurosistema, i crediti e le passività della sua banca centrale nei confronti della Bce dovranno essere regolati integralmente». Ovvero i 358,6 miliardi di passivo dell’Italia verso i soci dell’Euroclub andrebbero rimborsati subito, pena l’esclusione della nuova moneta dal sistema dei pagamenti internazionali. Non è una grande novità. Ma non è certo per caso che Draghi, ha voluto fare, per la prima volta, le cifre di un possibile divorzio. Perché? Mister euro ha probabilmente voluto svegliare l’attenzione della politica italiana convinta, a torto, che il sistema possa andare avanti all’infinito. Facendo le cifre, ha segnalato per la prima volta che l’adesione dell’Italia all’Eurozona (così come della Spagna o della stessa Francia) non è necessariamente per sempre. Certo, la cifra, pari più o meno ad un sesto del prodotto interno lordo italiano. Ma proprio la natura del Target 2, che registra il deflusso dei capitali, dimostra che il problema è più politico che tecnico. Il passivo è legato all’uscita degli investitori esteri dall’Italia, considerata sempre meno affidabile. E non solo dagli stranieri. Attraverso gli acquisti di fondi di investimento o di altri prodotti finanziari investiti in beni oltre confine,anche le famiglie italiane cercano uno sbocco alternativo al canale bancario. È un problema di mancanza di fiducia cui contribuiscono in egual misura i limiti della politica di casa nostra e la miopia della Commissione Europea concentrata nel rispetto delle regole «zero virgola» invece di imprimere una svolta. Tra meno di due anni Draghi lascerà l’incarico a Francoforte. E per l’Italia il costo del divorzio potrebbe essere più alto.