Cappa e spada nella valigia di Kerry
Phil Butler NEO 03/04/2016
Il 24 marzo il segretario di Stato degli USA John Kerry scese dall’aereo all’aeroporto di Mosca portandosi una valigia. Arrivando ai negoziati con il Presidente russo Vladimir Putin, il noto alto statista sembrava fuori ruolo portandosi una grande borsa del genere, ma pochi lo notarono. Seduti su un tavolo col presidente russo, però, divenne presto chiaro che almeno un russo vi aveva prestato attenzione. La scena, con Putin che apparentemente prendeva in giro il dignitario statunitense, fece i titoli della giornata. La speculazione riguardava però ciò che c’era in quella valigetta, ma i veri segnali indicavano una grande vittoria di Putin e l’ultima battaglia sull’Europa degli statunitensi. “Oggi, quando l’ho vista scendere dall’aereo portandosi gli effetti, mi sono un po’ agitato. Da un lato è molto democratico; dall’altro penso: le cose vanno davvero male negli Stati Uniti se non c’è nessuno ad aiutare il segretario di Stato a portare una borsa“, Presidente Vladimir Putin. Pensando da vero russo, faccio del mio meglio per decifrare ciò che Vladimir Putin disse in quei pochi secondi visti da tutti su RT. Prima di tutto, era felice. Raramente il presidente russo è apparso così gioviale ultimamente, così tutto ciò su cui lui e Kerry s’incontravano era un argomento molto positivo, e l’incontro era su un’altra vittoria di Putin, senza ombra di dubbio. Il compromesso con gli Stati Uniti d’America scintillava negli occhi di Vladimir e nel sorriso ampio di Sergej Lavrov, seduto accanto al capo. Anche Kerry sembrava essersi sgravato le spalle quadrate, e tutto questo era abbastanza evidente. Quindi, qual era il grande segreto, che tipo di tesoro di Stato avrebbe portato in quella borsa? Fu vista giacere aperta e vuota dopo, in una foto della stampa… “Penso che ne sarete sorpresi, piacevolmente“, aveva detto Kerry. Ecco cosa credo ci fosse nella valigetta. Un dossier grosso grosso e troppo sensibile da inviare in digitale, troppo importante per chiunque, tranne per Kerry, troppo prezioso per chiunque per portarla a mano dagli USA alla Russia.
Saltando avanti di 5 giorni, al 29 marzo 2016, il dipartimento di Stato degli Stati Uniti e il Pentagono annunciavano il ritiro di quasi tutti i famigliari di truppe e diplomatici statunitensi dalle basi in Turchia, una nazione della NATO va ricordato. Lo stesso giorno lo FSB (Servizio Federale di Sicurezza) della Russia annunciava via RIA Novosti, l’arresto di 18 cittadini uzbeki sospetti terroristi con falsi passaporti turchi. Il 29 marzo, con una mossa propagandistica, il New York Times titolava: “La Turchia è spietata, repressiva ed inaffidabile”. Il giornale più antirusso degli oligarchi russi estromessi, si domandava se la Turchia appartenesse alla NATO o meno. Il presidente turco Recep Erdogan era a Washington e non fu nemmeno accolto in pubblico da Obama. Invece, il vicepresidente Joe Biden dava ad Erdogan gli ordini (credo). Il notiziario dei venduti inglese, BBC, rispecchiava la nuova divisione lo stesso giorno.
Il 30 marzo, una delegazione militare russa incontrava gli omologhi turchi al Comando della Brigata dei Marine di Foca, Izmir.
Il 31 marzo, l’ultranazionalista turco Alparslan Celik, che si vantava di aver ucciso il pilota del bombardiere russo Su-24 abbattuto dall’Aeronautica turca, veniva arrestato dalle autorità turche. Lo stesso giorno, il premier della Turchia dichiarava che l’accordo sui rifugiati UE-Turchia entrava in vigore.
Il 1° aprile, Fox News tentava di riprendere la voce imparziale del popolo, ancora una volta, denunciando il potente religioso in esilio negli USA Fethullah Gülen. Nello stesso momento la Turchia friggeva, con Fox che accusava Recep Erdogan della crisi e prestando altra attenzione su Gulen nei mesi futuri.
Oggi il voto in Olanda e le notizie su altri carri armati della NATO in Europa ci dicono che Putin e la Russia hanno vinto in Siria sconfiggendo il caos in Medio Oriente, e che l’egemonia di Obama si regge sull’ultima roccaforte, nel campo di battaglia dell’Europa orientale. Non vi può essere dubbio che Kerry abbia discusso con Putin e Lavrov della situazione in Ucraina, e il voto olandese al referendum per la ratifica sull’accordo di associazione Ucraina-UE è previsto per il 6 aprile. Segnali contrastanti, cambi di opinione, rumor di sciabole dai capi della NATO sull’incremento degli schieramenti per “contrastare” un’invisibile minaccia russa, indicano che la leadership occidentale è allo sbando, a quanto pare. Mark Rutte, il Primo ministro olandese ora dice che l’Ucraina non dovrebbe mai far parte della UE. Nel frattempo l’esito del voto sarebbe o “troppo vicino all’appello” (se si vive a Kiev) o un deciso “NO” se si vive in Olanda. Quasi tutti gli altri si chiedono come la Turchia, con un regime che sostiene il terrorismo, possa aderire all’UE ora, e un altro Stato, in guerra per procura degli Stati Uniti e noto per ospitare fascisti e nazisti, sia ancora considerato? Una spiegazione plausibile del chiaro crollo dell’intesa è la forzata ritirata nel forte degli ex-alleati europei di Obama. Mentre le forze del Presidente siriano Assad sconfiggono lo SIIL con il notevole aiuto militare della Russia, il presidente statunitense Barack Obama sembra nascondersi fino alla fine del mandato. La palude politica che risucchia i governanti europei s’intorbidisce col passare del tempo. La situazione in Europa è quella di un carro che corre senza conducente. Il Pentagono stende piani per aumentare notevolmente la presenza in Europa orientale, e i russi sono costretti a contrastarli, e la diplomazia mondiale è nella massima confusione degli ultimi decenni. Il rappresentante permanente della Russia presso la NATO, Aleksandr Grushko, ha detto alla TV Rossija 24: “Non siamo osservatori passivi, prendiamo costantemente tutte le misure militari che riteniamo necessarie per controbilanciare tale presenza rafforzata in modo ingiustificato. Certo, vi risponderemo totalmente in modo asimmetrico“. Il Wall Street Journal di Rupert Murdoch sul nuovo concentramento di armi con una “robusta” presenza militare statunitense, cita notizie dal Pentagono secondo cui i falchi attuano i piani per posizionare in modo permanente truppe, carri armati e blindati statunitensi ai confini orientali della NATO, apparentemente per scoraggiare l’aggressione russa. Nel frattempo, The New Yorker Magazine cerca disperatamente di dipingere Obama come una sorta di El Libertador per gli stessi cubani, considerato uno scherzo diabolico a L’Avana. Mentre il più fallimentare leader statunitense della storia va in vacanza, l’Europa è lacerata dalle conseguenze delle guerre per procura e delle insurrezioni della CIA. E in Argentina, il prossimo privato cittadino fa un tango con l’ex-coniglietta di Playboy Mora Godoy. Tra questi bocconcini a cementare la situazione, ovviamente, c’è il prossimo paranoico. Gli USA sono in procinto di eleggere una psicopatica o l’altro, a sostituire l’attuale follia; la Merkel è presa di mira dallo SIIL e il presidente francese Francois Hollande può solo pensare come affrontare terroristi che non sono altro che francesi. L’Europa è a brandelli, oggi.
Nella misteriosa borsa che John Kerry ha consegnato direttamente a Putin vi erano i dossier su operativi e leadership turca coinvolti nel terrorismo regionale. Più in particolare, la borsa probabilmente conteneva nomi, missioni e posizioni dei terroristi a Mosca, e di chi in ultima analisi sta dietro lo SIIL. Anche se nessuno, se non Putin, Kerry e pochi stretti collaboratori, conosce veramente il contenuto della valigetta marrone, è sicuro immaginare che includa la possibile liquidazione di Recep Erdogan. La Turchia è bloccata completamente da una svolta. Erdogan non deve muoversi, se vuole sopravvivere. Quindi, se Erdogan è l’agnello sacrificale della NATO, è solo per causa sua. La “vittoria” di Putin non significa che la nuova guerra fredda è finita, non totalmente. TIME Magazine e altri media aziendali sono ancora in modalità anti-Putin. La valigetta conteneva semplicemente il trofeo del vincitore nel fallimento statunitense in Siria e Medio Oriente. L’Europa, dopo tutto, non è più al centro della seconda Guerra fredda. E per chi non ci crede, si legga la notizia che l’imperativo da Vladivostok a Lisbona è vivo e vegeto. La guerra oramai è quasi solo in Europa, l’alleata che Washington e Londra non possono permettersi di perdere. La domanda è c’è qualcuno che può davvero salvare l’UE dalla disintegrazione? Non certo Petro Poroshenko e la junta di Kiev. L’Ucraina in realtà dovrebbe prestare maggiore attenzione, per timore che John Kerry passi un’altra valigetta con i dossier su Poroshenko e oligarchi.Phil Butler, è ricercatore e analista politico, politologo ed esperto di Europa orientale, in esclusiva per la rivista online “New Eastern Outlook” .
Traduzione di Alessandro Lattanzio – SitoAurora