Erwin Grandinger Un articolo apparso sul quotidiano tedesco conservatore  Die Welt  guarda con occhio disincantato al regno dell’euro-sogno che si sta frantumando e denuncia come l’economia italiana ancorata al marco si trovi in una unione distruttiva e insostenibile da cui alla fine saremo costretti a uscire.  Dal Blog La Grotta di Matteo Thomann   di Erwin Grandinger
Per l’Italia non ci sono validi motivi per restare nell’unione monetaria. Non ci sono mai stati. Il Sacro Romano Impero di Carlo Magno era controllato e decentralizzato. Invece oggi stiamo usando la forza bruta della politica per cercare di creare gli “Stati Uniti d’Europa”, nella confusione economica della moneta unica. Quest’ultima è l’unica logica di fondo di un’unione monetaria, del cui mostruoso radicalismo nessun politico ha mai voglia di parlare.

 
L’economia italiana si trova da sei anni in una depressione permanente. Dal suo picco nel 2007, il PIL è crollato drammaticamente al livello di 14 anni fa. La produzione industriale è in una situazione paragonabile a quella degli anni ’80. I settori competitivi e le attività produttive stanno scomparendo: la disoccupazione giovanile è intorno al 42 per cento. Prima che la Lira si legasse al D-Mark nel 1996, il produttivo nord Italia fece registrare per l’ultima volta un sano surplus commerciale con la Germania, con un Marco tedesco che si rivalutava regolarmente.
Il mercato immobiliare è attualmente in caduta libera in molte regioni. Circa il 90 per cento degli italiani sono insoddisfatti del proprio Paese, una percentuale di insoddisfazione che posiziona l’Italia al quart’ultimo posto al mondo, peggio che nei territori palestinesi o in Ucraina. Il livello di indebitamento in rapporto al PIL è ora al 135 per cento. Alla fine di quest’anno salirà probabilmente al 140 per cento. L’anno scorso era ancora al 130 per cento. Nel 1996-1999, l’obiettivo dei negoziati per l’adesione di tutti i paesi all’unione monetaria era (ed è) il 60 per cento del PIL. Un obiettivo cui nessuno Stato si attiene, nemmeno il nuovo commissario all’economia, il francese Pierre Moscovici,praticamente una volpe messa a guardia di un pollaio.
Con un’inflazione pari a zero, per essere in regola l’Italia dovrebbe avere un avanzo primario, esclusi gli interessi, del 7,8 per cento, in modo da poter coprire gli interessi, gli ammortamenti e i servizi pubblici necessari. Questa è pura fantasia. La situazione italiana è uno dei motivi per cui la Banca centrale europea (BCE) ha già perso la partita ed è nel panico, come mostrano chiaramente le misure dell’ultima riunione del Consiglio direttivo della BCE.
Così l’Italia uscirà dall’unione monetaria – dovrà farlo per forza. La democrazia e la politica in Italia si trovano di fronte ad una dura prova, paragonabile alla situazione creatasi con l’inizio (1861) e la fine (1946) della monarchia italiana, compreso l’intermezzo fascista.
Ciò che tiene (ancora) assieme l’Italia, sono alcuni fattori: tassi di interesse storicamente bassi, l’irrazionale assegno in bianco di Berlino per salvare e garantire fiscalmente l’Italia e tutti gli altri paesi dell’Euro (Trattato ESM), e l’audace tentativo della BCEdi acquistare obbligazioni ad alto rischio dalle banche italiane (ABS, RMBS) attraverso un sistema di dubbia regolarità per comprare (direttamente o indirettamente) titoli tramite terzi beneficiari privati (Blackrock), ridistribuendo i rischi verso i contribuenti europei e tedeschi. Secondo i calcoli della banca d’affari italiana Mediobanca, la crescita economica in Italia dipende circa per il 67 per cento dal valore esterno dell’euro (Germania: 40 per cento). Non c’è da stupirsi, se ora la BCE e Wall Street stanno cercando di deprezzare l’euro rispetto al dollaro, spingendolo verso la parità, per stabilizzare l’Italia. Il sistema barcolla e la politica non sa che pesci pigliare.
Tutto questo non salverà l’Italia. Si stanno già preparando nuovi shock esogeni. Al momento, Madame Le Pen, presidente del Front National, potrebbe facilmente vincere le prossime elezioni presidenziali francesi ed annunciare l’uscita dall’unione monetaria dell’euro come primo atto ufficiale.
La voce del popolo potrebbe staccare la Scozia dall’impopolare Inghilterra. Ciò corrisponderebbe alla logica di fondo della politica di ri-regionalizzazione dall’emergente iper-Stato di Bruxelles, il contraltare del modello di Carlo Magno. I catalani vorrebbero immediatamente riprodurre questo trucco allaHoudini senza spargimenti di sangue, e spingere verso l’alto il rischio politico in Europa, fino a quando anche l’ultimo degli operatori di mercato capirà che il regno dell’euro-sogno si sta frantumando, senza che Berlino possa né garantire né pagare alcuno. L’Italia, con le sue risorse naturali, le sue 2.451 tonnellate d’oro (pari a circa il 67 per cento delle riserve di valuta estera di Roma oggi) e altri beni geo-strategici, può creare le basi per la sua nuova moneta. E per tutti i nostalgici: no, la nuova moneta non si chiamerà certamente Lira.
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