Tanto tuonò che piovve (forse). Per ora sono solo emendamenti quelli che piovono sul ddl lobby da due anni in discussione in Commissione Affari Costituzionali al Senato, che sembra – ripetiamo, sembra – avviarsi verso un confront serio e forse anche ad un’approvazione, dopo la fuga in avanti della Camera col suo (limitato) Registro dei portatori di interessi.

Traffico d’influenza: non è illecito ciò che è lecito

Il più interessante, e probabilmente fondamentale, è l’emendamento presentato dal senatore Pd Gianluca Susta, che va a specificare nel reato di traffico di influenze illecite che “non è illecita l’attività di rappresentanza degli interessi svolta in forma professionale, nei limiti e con le modalità previste dalla normativa vigente in materia, presso le istituzioni e le amministrazioni pubbliche e finalizzata alla partecipazione democratica ai processi decisionali ovvero all’elaborazione ed attuazione delle politiche pubbliche, nel perseguimento di obiettivi leciti, anche di natura non economica“.

Un Registro per tutte le istituzioni

Regolare anche l’attività di lobbying svolta nei confronti dei decisori politici degli enti locali, come i presidenti, gli assessori e i consiglieri regionali; i presidenti e i consiglieri delle Province e delle Città metropolitane; i sindaci, gli assessori e i consiglieri comunali. E’ quello che chiede un emendamento presentato dal senatore Pd Francesco Verducci, cui si aggiunge quello dalla senatrice Pd Laura Puppato  che vorrebbe estendere la valenza nei confronti di “collaboratori parlamentari” e “consiglieri parlamentari, componenti e vertici degli enti pubblici economici e non economici, consiglieri regionali e delle Provincie autonome di Trento e Bolzano“.

Ma l’emendamento Verducci va a sostituire l’intero articolo 2 sulle definizioni, aggiungendo ex novo la definizione di “portatori di interessi particolari”: “i datori di lavoro che intrattengono un rapporto di lavoro dipendente con i rappresentanti di interessi particolari avente ad oggetto lo svolgimento dell’attività di relazioni  istituzionali per la rappresentanza di interessi, nonché i committenti che conferiscono ai rappresentanti di interessi particolari uno o più incarichi professionali aventi ad oggetto” lo svolgimento dell’attività di relazioni istituzionali per la rappresentanza di interessi. A differenza della definizione attuale di “attività di relazioni istituzionali per la rappresentanza di interessi“, definita solo come “ogni attività diretta a orientare la formazione della decisione pubblica, svolta anche attraverso la presentazione di proposte, documenti, osservazioni, suggerimenti, richieste di incontri“, la proposta Verducci è molto più articolata e si rivolge a chi svolge l’attività “professionalmente (come già accaduto per il provvedimento della Camera e come richiesto in altro emendamento dalla senatrice Pd Laura Fasiolo). La propostaesclude dalla definizione “le semplici richieste di informazioni sull’iter di un provvedimento legislativo o amministrativo, la partecipazione ad audizioni o a riunioni convocate o sollecitate” dai decisori pubblici.

Articolata e più inclusiva anche la definizione di “rappresentanti di interessi“. Oggi il ddl li definisce come i soggetti che svolgono attività di rappresentanza di interessi, rimandando a quella definizione. Dunque per Verducci i lobbisti sono “i soggetti che rappresentano presso i decisori pubblici, direttamente o indirettamente, su incarico dei portatori di interessi particolari, come definiti alla lettera, interessi leciti di rilevanza non generale, anche di natura non economica, al fine di incidere su processi decisionali pubblici in atto, ovvero di avviare nuovi processi decisionali pubblici, nonché i soggetti che svolgono, anche nell’ambito o per conto di organizzazioni senza scopo di lucro, ovvero di organizzazioni il cui scopo sociale prevalente non è l’attività di rappresentanza di interessi, per conto dell’organizzazione di appartenenza, l’attività di relazioni istituzionali per la rappresentanza di interessi“.

Diversa invece la proposta dei senatori Giuseppe Marinello (AP), presidente della commissione Ambiente, e   Antonio Milo (Conservatori e riformisti), che specifica come la rappresentanza di interessi sia la “attività, non sollecitata da decisori pubblici”.

Palla all’ANAC?

Sempre la senatrice Puppato  vorrebbe affidare all’Anac l’attività di controllo sulla trasparenza e la partecipazione dei rappresentanti di interesse ai processi decisionali pubblici. Attualmente il ddl affida questo compito ad un Comitato per il monitoraggio della rappresentanza di interessi, da istituire ad hoc, che un emendamento del senatore di Forza Italia, Lucio Malan, vorrebbe eliminare, senza però specificare a chi andrebbe il controllo!

Codice di condotta per lobbisti

La senatrice Puppato vorrebbe inserire tra i dati che i lobbisti dovranno riportare nella relazione annuale da consegnare al Comitato di vigilanza anche “le somme o altre utilità eventualmente elargite a titolo di erogazione liberale in favore di partiti, movimenti o gruppi politici organizzati, nei limiti della normativa vigente, nonché una dichiarazione che dette elargizioni non sono legate al conseguimento dell’interesse rappresentato“. Ma il senatore PdFrancesco Russo chiede l’istituzione nel codice di condotta dei lobbisti del “divieto di offrire al decisore pubblico qualsiasi tipo di compenso o altra utilità, ovvero regali, anche d’uso, di valore superiore a 150 euro l’anno“; e il “divieto di elargire a partiti, movimenti o gruppi politici organizzati somme o altre utilità a titolo di erogazione liberale“, in pratica vietando quindi il finanziamento diretto della politica da parte dei lobbisti registrati. Ossimori.

L’emendamento Russo sostituirebbe per intero l’articolo 5 del ddl che attualmente lascia ai lobbisti il compiti di definire un codice di condotta e di depositarlo insieme all’iscrizione al registro, precisando cosa deve prevedere il codice di condotta che nell’emendamento viene definito come un vero e proprio “codice deontologico. Il codice dovrà essere adottato dall’Anac e, oltre ai due divieti già menzionati, dovrà prevedere tra le alter cose: ildivieto di rivendicare relazioni ufficiali con l’amministrazione nei loro rapporti con terzi; l’obbligo di identificarsi preventivamente sempre con il proprio nominativo ovvero con il nominativo che risulta nel Registro, dichiarando gli interessi che si rappresentano e gli obiettivi promossi;  l’obbligo di indicare i propri riferimenti e quelli dell’eventuale committente in tutti i documenti comunque consegnati o trasmessi al decisore pubblico; l’obbligo di rispettare i doveri di riservatezza nell’esercizio dell’attività; l’obbligo di fornire ai decisori pubblici informazioni corrette e non fuorvianti; il divieto di esercitare pressioni indebite (non è chiaro cosa voglia dire) nei confronti dei decisori pubblici. Il codice deontologico dovrà indicare infine “le sanzioni in caso di inosservanza dei doveri dei rappresentanti di interessi” e “le modalità di applicazione“.

O studi o fai il praticantato

Alessandro Maran e Francesco Verducci hanno presentato due emendamenti simili che mirano a inserire tra i requisiti per l’iscrizione al registro dei lobbisti il “possesso di una laurea specialistica o di un titolo specialistico equipollente ovvero dimostrare di aver maturato almeno due anni di esperienza continuativa presso un soggetto iscritto al Registro“. La proposta emendativa Maran, tra i requisiti, prevede anche la possibilità di aver acquisito esperienza “alle dipendenze di un gruppo parlamentare”.

Commissioni trasparenti

Tra le novità in ottica “positive”, e cioè dei vantaggi che i soggetti trarrebbero dall’iscrizione ci sarebbe – secondo alcuni emendamenti presentati da Pd, Cor e Ala – la possibilita per i lobbisti di assistere alle procedure informative e istruttorie del procedimento decisorio nelle forme stabilite dalla disciplina dell’organo competente. Inoltre, secondo quanto richiesto da due emendamenti dei senatori Pd Francesco Verduccie Francesco Russo, “Il decisore pubblico non può rifiutare di conoscere le proposte, le richieste, i suggerimenti e ogni altro genere di informazione, purché pertinenti all’oggetto dei processi decisionali, presentati dal rappresentante di interessi iscritto nel Registro“. Gli stessi emendamenti prevedono anche che “il decisore pubblico non può altresì rifiutare le richieste di incontro inoltrate da rappresentanti di interessi iscritti al Registro, se non attraverso risposta motivata, anche telematica“.

Diritti e divieti per i collaboratori parlamentari

Un emendamento del Pd – a prima firma Annamaria Parente ma sottoscritto da altri 28 senatori tra cui qualche M5s – vuole inserire  la disciplina del rapporto di lavoro tra i membri del parlamento e i loro collaboratori. A prevederlo è , presentato al ddl lobby in commissione Affari costituzionali Senato. L’emendamento inserisce l’incarico di collaboratore parlamentare tra quelli che fanno scattare l’incompatibilità con l’attività di lobbying (e qualche collaboratore  non sarà affatto contento…) e, contestualmente, aggiunge un capo II-bis per disciplinare il mestiere. Nello specifico l’emendamento regola anche il rapporto di lavoro tra i membri del Parlamento e i loro collaboratori e rinvia agli uffici di presidenza delle Camere il compito di disciplinare le modalità retributive dei collaboratori La retribuzione – secondo quanto si legge nell’emendamento – “non può essere inferiore ai minimi contrattuali o definiti dalla legge ovvero ad un equo compenso commisurato alla natura e all’orario della prestazione concordata tra le parti“.

Ancora audizioni

Secondo quanto riporta Public Policy, la settimana prossima inizierà, in commissione Affari costituzionali al Senato, un breve ciclo di audizioni sul ddl Lobby. Al termine delle audizioni, qualora emergessero esigenze particolari, potrebbe essere riaperta una breve finestra – al massimo 48 ore – per la presentazione di ulteriori emendamenti.

Fonte: lobbyingitalia.com

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