Con le valutazioni azionarie non più in levitazione, ma in una quarta dimensione del tutto diversa e gli spread di credito in compressione… quale gestore di portfolio può ancora permettersi una copertura? Qualsiasi prezzo per la copertura sembra costoso e privo di domanda, e soprattutto cala quasi ogni giorno. Il CDX NA IG20 index (cioè, l’investment grade credit default swap index series 20 che monitora il rischio di credito di 125 aziende nordamericane nel mercato dei credit default swap) ha chiuso la settimana a 70-71bps. L’indice era a questo livello nella primavera del 2005. Nell’estate del 2007 qualunque gestore di portfolio che avrebbe voluto coprirsi con cautela con questo indice avrebbe visto un’ulteriore compressione degli spread del 75%, spazzandolo/la via completamente.
E’ in situazioni come queste, quando arriva il crash, che la proverbiale corsa alla liquidità costringe le banche centrali a coordinare iniezioni di liquidità. Tuttavia, qualcosa mi dice che questa volta il trucco non funzionerà. In previsione del prossimo (e forse ultimo) tentativo, oggi vi voglio offrire una prospettiva storica sullo strumento di iniezione di liquidità preferito: gli swap di valute. Questi interventi coordinati non sono una soluzione ai crash, ma la loro causa. Ma vi ho appena fornito la conclusione. Torniamo indietro…
Come tutto ebbe inizio
Vorrei chiarire una cosa: con swap di valute faccio riferimento ad una transazione effettuata tra due banche centrali. Questo significa che gli swap di valute non possono essere più vecchi delle banche centrali che li utilizzano. D’altra parte, gli scambi esteri di valute tra le società possiamo datarli fino al tardo Medioevo, quando il commercio cominciò a riaffiorare nelle città italiane e nella Lega Anseatica. Detto questo, credo che gli swap di valute siano nati nel 1922, durante la Conferenza Monetaria Internazionale che ebbe luogo a Ginevra. Questa conferenza segnò l’inizio del Gold Exchange Standard, con l’obiettivo di stabilizzare i tassi di cambio (in termini di oro) a quelli pre-Prima Guerra Mondiale
Secondo il Prof. Giovanni B. Pittaluga (Univ. di Genova) emersero due risoluzioni chiave nella conferenza, le quali aprirono la porta agli swap di valute. La Delibera n° 9 propose che le banche centrali “[…] centralizzassero e coordinassero la domanda di oro, così da evitare quelle ampie fluttuazioni nel potere di acquisto dell’oro che altrimenti sarebbero derivate dagli sforzi simultanei e competitivi per garantire riserve metalliche di un certo numero di paesi […]”
La Delibera n° 9 precisava inoltre come avrebbe funzionato la cooperazione tra le banche centrali, la quale “[…] avrebbe dovuto incarnare alcuni mezzi per economizzare l’uso dell’oro mantenendo le riserve sotto forma di saldi esteri, quali, ad esempio, il gold exchange standard o il sistema di compensazione internazionale […]”
Nella Delibera n° 11 apprendiamo che: “[…] Il convegno sarà quindi basato su un gold exchange standard.” […] Un paese partecipante, in aggiunta a qualsiasi riserva di oro detenuto in patria, potrà mantenere in qualsiasi altro paese partecipante riserve nazionali di asset in forma di saldi bancari, cambiali, titoli a breve termine, o altri tipi di liquidità […] quando il progresso lo permetterà, alcuni dei paesi partecipanti stabiliranno un mercato libero dell’ oro e quindi diventeranno centri d’oro.”
Infine, l’oro o la valuta estera avrebbero coperto non meno del 40% della base monetaria delle banche centrali. Con questo accordo, la scena era pronta per manipolare la liquidità in modo coordinato ad un grado che il mondo non aveva mai visto prima. Il moltiplicatore della riserva, composto da oro e valuta estera, poteva essere “gestito” e, attraverso un sistema di compensazione internazionale, poteva esserlo a livello globale.
Come funzionavano gli aggiustamenti sotto il Gold Standard
Prima del 1922 gli aggiustamenti all’interno del Gold Standard coinvolgevano la libera circolazione dell’oro. Nella figura qui sotto vi mostro quello che sarebbe stato un aggiustamento se, per esempio, gli Stati Uniti avessero avuto un deficit della bilancia commerciale:
L’oro avrebbe lasciato gli Stati Uniti riducendo il lato degli attivi nel bilancio della Federal Reserve. In corrispondenza a questo movimento, anche la base monetaria (cioè i dollari) sarebbe scesa. L’oro sarebbe infine entrato nel bilancio della Banca di Francia, che avrebbe emesso una quantità corrispondente di franchi francesi.
Vale la pena notare che sarebbe aumentato il tasso di interesse, in oro, negli Stati Uniti, fornendo un meccanismo di stabilizzazione/bilanciamento per rimpatriare l’oro che aveva originariamente lasciato il paese (es. grazie alla possibilità di arbitraggio). Come Brendan Brown (Responsabile del Settore Ricerca Economica presso il Mitsubishi UFJ Securities International) ha spiegato (qui), con la libera determinazione dei tassi di interesse e le notevoli fluttuazioni nei prezzi, gli agenti in questo sistema avevano la legittima aspettativa che i prezzi chiave sarebbero ricomparsi ad un livello “perpetuo.” Questa aspettativa forniva “[…] il tasso di interesse reale negativo che Bernanke cerca disperatamente di creare oggi con le aspettative sull’inflazione.”
C’è un eccellente lavoro sui meccanismi di questo aggiustamento pubblicato da Mary Rodgers Tone e Berry K. Wilson per quanto riguarda il Panico del 1907 (vedi qui). Gli autori sostengono che i flussi di oro che dall’Europa finirono negli Stati Uniti, fornirono la liquidità necessaria per mitigare il panico senza la necessità di un qualsiasi intervento. Questo successo nel ridurre il rischio sistemico fu dovuto all’esistenza di obbligazioni societarie statunitensi (soprattutto di ferrovie) con cedole e capitale pagabili in oro (in nominativo o al portatore, insomma a scelta del titolare) che ne facilitarono la trasferibilità, negoziabili congiuntamente negli Stati Uniti e in Europa e all’interno di un sistema di pagamento che operava in gran parte fuori dalla portata dei bankster fuori dai sistemi di compensazione delle banche. La versione ufficiale vuole invece che il sistema sia stato salvato da $25 milioni iniettati dalla JPM nel mercato dei prestiti a vista.
Come funzionavano gli aggiustamenti sotto il Gold Exchange Standard
Nel corso degli anni ’20, e in particolare con gli squilibri nel mercato azionario derivanti dalla Prima Guerra Mondiale, iniziò la ricerca di un finanziamento sostenibile per il pagamento delle riparazioni belliche. A complicare le cose, l’inizio di questo decennio vide i processi iperinflazionistici in Germania e in Ungheria. Nel 1924 l’Inghilterra e gli Stati Uniti srotolarono il Piano Dawes e tra il 1926 e il 1928 il cosiddetto Piano di Stabilizzazione Poincaré in Francia. Il primo conferì a Charles G. Dawes il Premio Nobel per la Pace nel 1925.
Come mostra l’immagine qui sotto, rispetto ad uno stock stabile di oro, la moneta fiat verrebbe ceduta in prestito tra banche centrali. Nel caso di uno swap per la Banque de France, i dollari sarebbero disponibili/prestati (presumibilmente coperti da oro). Ovviamente si espanderebbe il moltiplicatore della riserva vs. oro:
Con queste operazioni le banche centrali sarebbero state in grado di influenzare i tassi di interesse monetari (es. carta). Andò perduto il meccanismo di bilanciamento fornito dai differenziali del tasso d’interesse dell’oro. Come abbiamo visto prima con il Gold Standard, un deflusso di dollari avrebbe fatto aumentare i tassi dei dollari (con un certo impatto sul potere d’acquisto degli americani). Ora il moltiplicatore della riserva vs. l’oro si sarebbe espanso e il potere d’acquisto della nazione finanziatrice rimaneva intatto. Il dollaro si sarebbe deprezzato (al margine e ceteris paribus) rispetto ai paesi che beneficiavano di questi swap. L’inflazione veniva quindi esportata dalla nazione emittente (USA) verso le nazioni riceventi (Europa). La festa durò fino al 1931, quando il crollo della Kreditanstalt scatenò un’ondata unanime di deflazione.
Come cambiò la prospettiva quando gli Stati Uniti divennero una nazione debitrice
Scorrendo le date fino al 1965, due decenni dopo la Seconda Guerra Mondiale, gli swap di valute non vengono più visti come uno strumento per “stabilizzare” temporaneamente il finanziamento dei flussi (come il deficit delle partite correnti o il pagamento delle riparazioni di guerra), ma per gli stock di debito. Nel 1965 i banchieri centrali si sarebbero già iniziati a preoccupare per la creazione di asset di riserva, proprio come lo sono oggi; con la creazione di garanzie (si veda questo grande post su Zerohedge).
Infatti, 48 anni fa il Gruppo dei Dieci presentò quello che fu chiamato il Rapporto Ossola, dal nome di Rinaldo Ossola, presidente del gruppo di studio coinvolto nella sua preparazione e anche vice-presidente della Banca d’Italia. Questa relazione riguardava nello specifico la creazione di asset di riserva. Almeno allora, l’oro era ancora considerato come tale. In una confessione sorprendente (anche se il documento inizialmente era riservato), il Gruppo Ossola dichiarò esplicitamente che il problema “[…] nasce dall’aspettativa che non ci si possa fidare del flusso futuro di oro destinato a soddisfare tutte le esigenze di una espansione delle riserve associata ad un crescente volume del commercio mondiale e dei pagamenti, ed è per questo che il contributo dei possedimenti in dollari (per la crescita delle riserve) sembra improbabile che continui come in passato.”
Gli swap di valute vennero ancora una volta considerati parte della soluzione. Sotto i cosiddetti “asset in valuta,” gli swap vennero definiti dal Gruppo Ossola come un utile strumento per la creazione di riserve alternative. Tre mesi dopo, nel corso di un’audizione davanti alla Sottocommissione per la Sicurezza Nazionale e le Operazioni Internazionali, William McChesney Martin Jr., a quel tempo Presidente del Consiglio dei Governatori della Federal Reserve, conferì un ruolo molto più significativo agli swap di valute nel mantenimento del ruolo del dollaro come valuta di riserva globale.
Secondo McChesney Martin: “[…] In base agli accordi di swap, il Sistema (cioè, il Federal Reserve System) ed i suoi partner fanno prelievi solo per contrastare gli effetti dei cambi e le fluttuazioni temporanee o transitorie dei flussi dei pagamenti. Circa la metà dei prelievi realizzati dal Sistema, e la maggior parte dei prelievi effettuati dalle banche centrali straniere, sono stati rimborsati entro tre mesi; quasi il 90% dei recenti prelievi del Sistema e il 100% di quelli effettuati da banche centrali estere sono stati rimborsati entro sei mesi. In ogni caso, a nessuna prelievo viene permesso di rimanere in sospeso per più di dodici mesi. Questa politica garantisce che i prelievi saranno soddisfatti, o dal Sistema o da una banca centrale estera, ma solo per fini temporanei e non al fine di finanziare un deficit persistente. In tutti gli accordi di swap entrambe le parti sono completamente protette dal pericolo di fluttuazioni dei cambi. Se una banca centrale estera preleva dollari, il suo obbligo di rimborsarli non sarebbe diverso se nel frattempo la sua moneta viene svalutata. Inoltre, i prelievi sono scambi di valute piuttosto che di crediti. Per esempio, se la Banca Nazionale del Belgio preleva dollari, il Sistema riceve l’equivalente in franchi belgi; e dal momento che la Banca Nazionale del Belgio deve effettuare il rimborso in dollari, il Sistema è sempre protetto da qualsiasi possibilità di perdite. Ovviamente, la stessa protezione viene data alle banche centrali estere ogni volta che il Sistema preleva valuta estera.
I tassi di interesse sui prelievi sono identici per entrambe le parti. Quindi, fino a quando una delle parti sborsa la moneta, non vi è alcun onere di interesse per entrambe le parti. Ovviamente gli importi utilizzati ed effettivamente erogati richiedono di un pagamento di interesse; esso è generalmente vicino al tasso dei titoli di stato USA.”
Il grafico seguente dovrebbe aiutare a visualizzare il meccanismo:
In sostanza con questi swap di valute le banche centrali estere, che durante la guerra avevano spostato il loro oro negli Stati Uniti, divennero intermediari di un prodotto che era un derivato di primo grado del dollaro USA e un derivato di secondo grado dell’oro.
Il 24 Settembre 1965 qualcuno lo definì uno schema Ponzi. In un articolo pubblicato da Le Monde, Jacques Rueff rispose pubblicamente a questa assurdità con il titolo sarcastico “Des plans d’irrigation pendant le déluge” (ossia, I piani di irrigazione durante l’alluvione). Scrisse:
“[…] C’est un euphénisme inacceptable et une scandaleuse hyprocrisie que de qualifier de création de “liquidités internationales” les multiples operations, tells que (currency) swaps…” “C’est commetre une fraude de meme nature que de présenter comme la consequence d’une insuffiscance générale de liquidités l’insufficance des moyens dont disposent les Etats-Unis et l’Anglaterre pour le réglement de leur déficit exterieur.”
Traduzione: “[…] E’ un eufemismo inaccettabile ed una ipocrisia scandalosa qualificare come creazione di “liquidità internazionale” le transazioni come gli swap (di valute) […]. Allo stesso modo, è una truffa definire come conseguenza di una generale mancanza di liquidità, la mancanza di mezzi a disposizione di Stati Uniti ed Inghilterra per risolvere i loro deficit esterni.”
Confrontando Stati Uniti ed Inghilterra con i paesi sottosviluppati, Rueff aggiunse che anche questi ultimi mancavano di risorse esterne, ma quelle necessarie non possono che essere acquisite attraverso operazioni di credito piuttosto che con un’invenzione monetaria travestita da necessità e nell’interesse generale della popolazione (ossia, del resto del mondo).
Con impressionante previsione, Rueff avvertì che il problema si sarebbe presentato in tutta la sua grandezza il giorno in cui questi due paesi avrebbero deciso di recuperare la loro autonomia finanziaria effettuando rimborsi con le loro pericolose passività (cioè, le valute). Quel giorno, disse Rueff, sarebbe stato necessario un coordinamento internazionale, ma non sarebbe ruotato attorno alla creazione di strumenti alternativi di riserva (richiesti da un mondo affamato di liquidità). Quel giorno sarebbe stato un giorno di liquidazione in cui sarebbero stati coinvolti debitori e creditori, ed avrebbero condiviso la responsabilità comune della leggerezza con cui hanno accettato congiuntamente le difficoltà monetarie presenti… Purtroppo il punto di vista di Rueff è molto familiare all’osservatore del 2013…
Come funzionano gli aggiustamenti oggi, senza swap di valute
Fino alla fine del Gold Exchange Standard, anche se il moltiplicatore della riserva sopprimeva il valore dell’oro (come oggi), l’oro era ancora la riserva ultima e non possedeva alcun rischio di controparte. Dopo il 15 Agosto 1971, quando Nixon promulgò l’Ordine Esecutivo 11615 (guardate l’annuncio qui), la riserva ultima divennero i contanti (ossia, i dollari) o la loro controparte, i titoli del Tesoro USA. E a differenza dell’oro, tali asset di riserva potevano essere creati o distrutti ex-nihilo. Quando vengono ri-ipotecati la leva cresce senza limiti, e quando il loro valore scende le valutazioni colano a picco inesorabilmente. Perché (a differenza del 1907) il canale di trasmissione di queste riserve è oggi il sistema bancario, quando diventano scarse il rischio di controparte si trasforma in un rischio sistemico.
Quando Rueff discusse degli swap di valute, aveva in mente gli squilibri. Nel XXI secolo non abbiamo più tempo per preoccuparci di queste cose superflue. Bilanciamento del deficit commerciale? Deficit delle partite correnti? Deficit di bilancio? Nel XXI secolo non possiamo permetterci di vedere il quadro generale. Siamo in grado di vedere solo il “qui e ora.” Pertanto quando si parla di swap di valute, l’unica cosa che abbiamo in mente è il rischio di controparte nell’ambito del sistema finanziario. Il termometro che misura tale rischio è lo swap Eurodollaro, mostrato di seguito (fonte: Bloomberg). Mentre il dollaro divenne la moneta di riserva, il costo per possederlo divenne la pietra angolare del valore per il resto dello spettro patrimoniale, noto come “rischio.”
Nel grafico qui sotto possiamo vedere due grandi divari nello swap Eurodollaro. Quello nel 2008 corrisponde con l’evento Lehman e l’altro nel 2011 corrisponde alla crisi bancaria nella zona euro che è stata contenuta con una riduzione del costo dello swap USDEUR e con le operazioni di rifinanziamento a lungo termine effettuate dalla Banca Centrale Europea. In entrambi gli eventi, il sistema finanziario era in pericolo e le banche sono state costrette a ridurre la leva finanziaria. Come sarebbe proceduto il processo di aggiustamento se non ci fossero stati gli swap di valute?
Nella figura qui sotto spiego il processo di aggiustamento in assenza di swap di valute. Come si vede nel punto 1, dato il rischio di default per il debito sovrano detenuto dalle banche della zona euro, il capitale lascia la zona euro (cosa che va ad apprezzare il dollaro americano). Vediamo un aumento della riserva per i rischi dei crediti (portando il valore complessivo delle attività e del patrimonio verso il basso). Poiché queste banche hanno passività in dollari statunitensi e accettano depositi in euro, questa mancata corrispondenza e la svalutazione dell’euro deteriora il loro profilo di rischio.
Le banche dell’Eurozona sono costrette a vendere i crediti in dollari USA, come indicato nel punto 2. Vendendoli sotto la pari, le banche devono mettere in conto delle perdite. Le banche non nell’Eurozona che acquistano questi crediti non possono mettere immediatamente in conto dei guadagni. Viviamo in un mondo a moneta fiat, e le banche lasciano semplicemente che i loro crediti vengano ammortizzati; non c’è mark to market. Con questi acquisti, il capitale rientra nell’Eurozona andando a deprezzare il dollaro. Alla fine, non c’è credit crunch. Fino a quando questo processo è lasciato al mercato, i mutuatari non soffrono perché la proprietà dei crediti viene semplicemente trasferita. Questo processo è neutrale nei confronti del rischio sovrano, ma col passare del tempo se non migliora il proprio profilo di rischio, la capacità di prestito diventerà limitata.
Alla fine, l’aggiustamento ha luogo (a) nel mercato dei cambi, (b) nel valore del capitale bancario delle banche dell’Eurozona, e (c) nell’importo del capitale che viene trasferiti dall’esterno all’interno della zona euro.
Come funzionano oggi gli aggiustamenti con gli swap di valute
Procediamo ora ad esaminare l’aggiustamento — o meglio, la sua mancanza — in presenza di swap di valute. L’aggiustamento viene ritardato. Nella figura qui sotto, possiamo vedere che la FED interviene indirettamente, prestando alle banche dell’Eurozona attraverso la BCE. Il capitale non lascia gli Stati Uniti, invece vengono stampati dollari e il dollaro si deprezza. Il 30 Novembre 2011, dopo l’annuncio della FED alle 8 del mattino, l’euro guadagnò due centesimi rispetto al dollaro statunitense. Poiché non viene trasferito capitale, non sono necessari ulteriori risparmi per sostenere la zona Euro e la cattiva allocazione delle risorse continua, perché non viene venduto alcun credito. Questo è un fenomeno rialzista per quanto riguarda il rischio sovrano. La FED diventa un creditore della zona Euro. Se il rischio sistemico si deteriora nella zona Euro, la FED è dapprima costretta a ridurre il costo degli swap e poi a rinegoziarli a tempo indeterminato, fino a quando c’è una Banca Centrale Europea come controparte per la FED affinché eviti un aumento degli interessi nel mercato dei finanziamenti in dollari. Ma se la zona Euro va in pezzi, non ci sarebbe alcuna controparte “sicura” — almeno nel breve termine — a cui la FED potrebbe prestare dollari. In presenza di una Banca Centrale Europea, gli swap sarebbero rialzisti per l’oro. In sua assenza, la difficoltà di stabilire linee di swap sarebbero temporaneamente molto ribassiste per l’oro (e per il resto dello spettro degli asset).
Parole finali
Nel corso di quasi un secolo abbiamo assistito alla distruzione lenta e progressiva del miglior meccanismo globale col quale si potesse cooperare per la creazione e la distribuzione delle risorse. Questo processo è iniziato con la perdita della capacità di affrontare gli squilibri di flusso (cioè risparmio, commercio). Dopo le Guerre Mondiali è diventato chiaro che avevamo perso anche la capacità di affrontare gli squilibri nello stock di debito, e nel 1971 ci siamo assicurati che scomparisse anche qualsiasi flessibilità nei prezzi per ripristinare il sistema a fronte di un aggiustamento. Ciò è avvenuto in due fasi: in primo luogo a livello globale, con l’irredimibilità dell’oro: il mondo non poteva più svalutare. In secondo luogo a livello locale ed inter-temporale, con i tassi di interesse a zero: i paesi non possono più produrre aggiustamenti di consumo. Ormai gli aggiustamenti possono emergere solo attraverso una crescente serie di eventi di rischi sistemici globali con conseguenze sempre più rilevanti. Gli swap, come strumenti, non saranno più in grado di affrontare le prossime sfide. Quando questo fatto sarà infine chiaro, gli stati saranno costretti a ricorrere direttamente alla confisca degli asset di base.
[*] traduzione di Francesco Simoncelli
Fonte: http://johnnycloaca.blogspot.co.uk/2013/08/cenni-storici-sugli-swap-di-valute.html