Di barbaranotav
I gendarmi del mondo ogni tanto commettono “per sbaglio” qualche strage, a volte si scusano a volte no.Pazienza.Ma con la Siria, tolleranza zero, tanto da suonare come pretesto.
Questo “incidente” sembra proprio capitare nel momento più opportuno, default dell’euro, sprofondamento dell’economia Usa, elezioni in Siria dove viene confermato il partito di Assad perfino nelle roccaforti ribelli….
Le recenti scoperte di significative, anzi enormi riserve di petrolio e gas nel poco esplorato Mar Mediterraneo, tra Grecia, Turchia, Cipro, Israele, Siria e Libano, indicano che la regione potrebbe diventare letteralmente un “nuovo Golfo Persico” in termini di ricchezza di petrolio e gas. Come per il vecchio Golfo Persico, la scoperta di abbondanti giacimenti di idrocarburi potrebbe anche rappresentare una maledizione geopolitica di dimensioni sconcertanti.
Annan: “Alcuni Paesi mettono in pericolo la pace in Siria”
Matteo Bernabei
Sono state parole pesanti quelle pronunciate ieri dell’inviato speciale delle Nazioni Unite e della Lega araba in Siria, Kofi Annan (foto), nel corso di una conferenza stampa a Ginevra. L’ex segretario generale dell’Onu parlando proprio della crisi che ha colpito il Paese arabo ormai oltre un anno fa, seppur indirettamente non ha infatti risparmiato le critiche agli Stati che compongono il gruppo degli “Amici della Siria”, creato dagli Usa e che agisce parallelamente ma in maniera del tutto differente al Palazzo di Vetro. “Alcuni governi stanno mettendo in pericolo il processo di pace in Siria, rischiando di scatenare una lotta distruttiva nel Paese”, ha dichiarato Annan all’indomani delle rivelazioni del New York Times riguardo alla fornitura di armi ai ribelli siriani da parte di alcuni Paesi della regione e le operazioni segrete della Cia lungo il confine turco. Dichiarazioni, quelle dell’ex numero uno delle Nazioni Unite, dalle quali si evince una grande frustrazione nel vedere il proprio operato sfruttato per coprire ben altri tipi di azioni.
Nell’annunciare poi la volontà di tenere una conferenza sulla crisi in Svizzera per la fine del mese, l’inviato è tornato a parlare della questione della partecipazione dell’Iran a un eventuale incontro internazionale sulla questione. Partecipazione già bocciata dagli Stati Uniti, poiché a loro avviso dietro le azioni del governo di Damasco ci sarebbe la regia occulta di Teheran, sebbene non abbiano alcuna prova a conferma di queste insinuazioni.
“L’Iran deve far parte di quel gruppo di Paesi chiamati a lavorare per una soluzione della crisi in Siria”, ha detto senza mezzi termini Annan, che ha infine rivolto un appello a tutte le parti in causa a fare di più per il raggiungimento di una soluzione pacifica. Appello che come accaduto sempre in questi casi è stato distorto dalla stampa embedded internazionale per farlo apparire come un monito rivolto alle sole autorità di Damasco.
Ma l’inviato di Lega araba e Nazioni Unite non è stato il solo ieri a respingere una richiesta del fronte interventista guidato dagli Stati Uniti. Anche il capo degli osservatori Onu nel Paese arabo, il generale Robert Mood, ha detto no all’incremento del numero dei caschi blu e al loro armamento invece invocato da Washington, Londra e Parigi, per far si che la missione abbia successo. Affinché l’iniziativa di mediazione porti dei risultati basterebbe, infatti, che tutti i Paesi coinvolti si adoperassero seriamente per questo fine senza agire per vie traverse fomentando una guerra fratricida come invece sta facendo la Turchia. Ankara sempre ieri ha fatto sapere di aver perso i contatti con un proprio caccia F-4 mentre questo sorvolava le acque territoriali siriane. Se davvero le intenzioni della comunità internazionale occidentale verso l’iniziativa di pace di Annan fossero sincere, ora qualcuno dovrebbe chiedere alle autorità turche perché mai un loro velivolo si trovasse in territorio siriano e non protestare per suo presunto, e nel caso legittimo, abbattimento da parte delle forze armate di Damasco.
La Cia arma i ribelli siriani in Turchia
Matteo Bernabei
La Cia sta segretamente operando nel sud della Turchia per stabilire a quale gruppo di ribelli siriani fornire armi ed equipaggiamento per combattere contro le forze armate di Damasco. A rivelarlo è nientedimeno che il New York Times, quotidiano statunitense vicino al presidente Usa Barack Obama fin dalla sua campagna elettorale.
Stando alle informazioni in possesso del giornale della Grande Mela, alcuni agenti si trovano già da qualche settimana lungo il confine fra i due Paesi per assicurarsi che le armi fornite dalla stessa Ankara e dalle monarchie sunnite del Golfo, come Qatar e Arabia Saudita, non finiscano nelle mani delle milizie di al Qaida. Secondo quanto rivelato dalla stessa amministrazione democratica, infatti, sebbene Washington non fornisca direttamente armi ai gruppi paramilitari legati alle opposizioni estere, vi sono Paesi alleati confinanti con la Siria che lo stanno facendo. Si tratta d’importanti rivelazioni che dimostrano come le ingerenze degli Stati stranieri, nella crisi interna al Paese arabo, siano concrete e ben più ampie di quanto i capi di Stato arabi e occidentali non abbiano mai ammesso. Allo stesso tempo la necessità dell’intelligence nordamericana di filtrare il traffico di armi verso le sole milizie illegali da loro riconosciute, conferma la presenza in Siria di formazioni terroristiche. Una presenza da sempre denunciata dal governo di Damasco e volutamente oscurata, invece, dal fronte interventista occidentale guidato da Washington e Parigi. Un’ammissione di tale genere avrebbe infatti rivalutato agli occhi dell’opinione pubblica internazionale la crisi siriana e impedito agli Stati Uniti e ai suoi alleati di raggiungere i propri obiettivi neocoloniali, oltre ovviamente a far crollare la campagna mediatica contro Bashar al Assad. E forse proprio per questo ieri il New York Times ha diffuso la notizia cercando di ribaltarne il significato, facendo intendere cioè che quella Usa non è un’ingerenza che sta alimentando una guerra civile, ma un “limitato sostegno” alle aspirazioni del popolo siriano.
Alla luce di tutto questo forse è il supporto russo alle autorità di Damasco a sembrare limitato. Un supporto che fino ad ora è rimasto strettamente politico e commerciale, al di là di ciò che i governanti occidentali stanno cercando di far credere. Nonostante l’importanza di queste rivelazioni, però, ieri sulle pagine di molti quotidiani internazionali a tenere banco è stata la notizia della diserzione di un pilota dell’esercito di Damasco che ha chiesto e ottenuto asilo politico in Giordania. Un fulgido esempio di insabbiamento mediatico.
22 Giugno 2012