Quel mosaico polifonico di voci ed etnie che è stato l’Iraq si è rotto definitivamente. La politicizzazione della sfera politica sotto il segno della religione è un dato di fatto e cartina di tornasole di una lettura dei fatti contemporanei. Possiamo dire addio allo scaltro Al Maliki, premier sciita sostenuto dagli Usa: non ha saputo ricucire il grande buco nero della rottura dell’equilibrio tra etnie. Mentre la guerra, prodotto della dissoluzione etnica dell’Iraq, continua duramente. L’Isis dopo aver occupato la grande diga irachena a Mosul ora è sotto il giogo delle forze dei pehmega sostenute dagli Usa. L’attacco nei pressi dei villaggi curdi del distretto di Tuz Khamtazu ha prodotto una emergenza umanitaria. Sono molti i civili intrappolati nel monte Sinjiar, al laccio dei jihadisti senza cibo né acqua. Ma la notizia vera è la rimozione di Al Maliki e la designazione dello sciita Al Abadi come futuro premier. Egli si presenta come uomo dell’unità. Ha infatti chiesto ai sunniti ed ai curdi di metter da parte le rivalità interne per creare un governo di unità nazionale. Uomo dell’Occidente, è rientrato in Iraq dopo la caduta di Hussein e ora lancia la carta della ricostruzione nazionale, nel clima di anarchismo in cui è precipitato a causa delle politiche statunitensi dopo la morte del rais. Le consultazioni paiono già avviate con la benedizione di Obama, che ha promesso una intensificazione militare dopo la nomina del nuovo premer a Washington. Dopo aver sostenuto Al Maliki, gli americani mollano e indicano nel nuovo premier Al Abadi l’uomo della pacificazione. Kerry è stato molto chiaro: nessun militare USA in Iraq ma politiche che ne rafforzino la sicurezza. L’Iran plaude alla caduta di Al Maliki, forte dei successi sul trattato nucleare, mentre l’esercito fedele all’ex premier attende le prossime mosse. Dal canto suo Al Maliki urla al golpe: il presidente della repubblica Mossuom avrebbe violato la costituzione poiché non gli avrebbe affidato il terzo mandato secondo legge. L’errore dell’ex premier è stato quello di ripetere le modalità di costruzione del potere secondo Hussein. Come il rais ha fatto con la comunità sunnita così Al Maliki ha fondato un blocco di potere sulla comunità sciita, destando i desideri di vendetta della comunità sunnita. Resta comunque da dire che proprio la guerra del Golfo ha rotto la pax etnica irachena introducendo elementi di destabilizzazione e anarchismo, dando la stura alla violenza tra fazioni. Lo strumento reale di governo, in un clima così fosco resta l’esercito. Pare che esso abbia abbandonato Al Maliki, passando al sostegno del nuovo premier. Se Al Abadi saprà ricucire il puzzle impazzito dell’Iraq lo si vedrà dalle prime mosse. Ma se il premier, come sembra, è targato Obama, ci sono forti dubbi di riuscita nell’intento.
Stefania Pavone, giornalista free-lance e collaboratrice per Cogito Ergo Sum