da guerrillaradio

Incontriamo Abdallah Abu Rahme coordinatore dei Comitati Popolari per la Resistenza Nonviolenta Palestinese, a una delle proiezioni del film “Five broken cameras”, film che nei giorni scorsi Abdallah ha presentato in alcune sale italiane con Luisa Morgantini già Vice Presidente del Parlamento Europeo e portavoce dell’associazione Assopace Palestina.
I suoi occhi fieri, in cima a più di un metro e ottanta e a spalle forti, suscitano rispetto e intimoriscono un po’. Ma, nella fredda hall di un cinema di provincia, in piedi sulla porta, scambiamo quattro chiacchiere, e il rispetto per la sua figura fa spazio al rispetto per un uomo tenace, determinato e… umano.
“Per un palestinese è impossibile non impegnarsi per difendere i diritti del suo Popolo. Io ho cominciato fin da quando ero studente, aderendo alle prime manifestazioni e, successivamente, contribuendo alla nascita del Comitato Popolare del mio villaggio, Bil’in”.
Abdallah ci racconta questi suoi “pezzi di vita” senza scomporsi, e con la stessa pacatezza ci racconta dei suoi quattro arresti, di un anno e mezzo nelle carceri israeliane, del distacco dalla sua famiglia:
“ L’anno e mezzo che ho trascorso in prigione è stato un’esperienza terribile. Ho potuto vedere la mia famiglia solo una volta al di fuori delle udienze in tribunale. Ma si sa, lì non puoi avere nessun contatto e quel poco che si può comunicare, passa solo attraverso gli sguardi e i piccoli gesti.
Scappare, essere ricercato e infine arrestato per il mio impegno non violento ha avuto conseguenze molto pesanti anche sulla mia famiglia. Ero in carcere quando mia madre è stata ricoverata in ospedale. Da sola, senza la mia presenza, non ce l’ha fatta a resistere e si è spenta poco dopo. Mio figlio ha imparato il mio volto da una foto sul muro, e quando sono uscito di prigione stentava a capire che suo padre non era quel ritratto, ma la persona in carne e ossa che lo stava abbracciando”.
Una vita dedicata alla causa del suo popolo, quella di Abdallah, oggi portavoce di un insieme di realtà palestinesi che si battono contro la confisca delle terre e la costruzione di nuove colonie.
“I Comitati Popolari nascono nel 2002, con la costruzione del muro di separazione israeliano; un muro che ha letteralmente spaccato il territorio di molti villaggi e che ha annesso allo stato di Israele fino al 43% del suolo Palestinese, su cui si basa la vita di intere famiglie.
VIDEO IL MURO DI ISRAELE: http://www.youtube.com/watch?v=NSa6UKk4Dwg
“Con la costruzione del muro, Bil’in è stato privato del 50% del suo territorio, anche per questo siamo stati fra i primi a riunirci per manifestare contro l’occupazione israeliana”.
Dal 2005, dunque, è stata intrapresa una forma di resistenza non violenta, con l’aiuto di internazionali e attivisti, anche di nazionalità israeliana. Come Abdallah spiega nel prossimo video, l’azione dei Comitati, che include anche informazione, sensibilizzazione e iniziative legali, è da sempre fortemente osteggiata dall’esercito israeliano che ha risposto con la forza e con violente repressioni. I morti, i feriti e gli arrestati non si contano solamente tra i manifestanti, ma anche e soprattutto tra le numerose famiglie dei villaggi, vittime di incursioni notturne e rappresaglie. La resistenza dei Comitati non è però stata vana. Una parte, seppur piccola, delle terre confiscate è stata restituita alla popolazione di Bil’in e il muro è arretrato grazie alla loro azione legale.
VIDEO L’ATTIVITA’ DEI COMITATI http://www.youtube.com/watch?v=wkdVuB7YfQc
“È un risultato piccolo, ma che ci ha spinto a proseguire con ancora più forza la nostra lotta dando vita, nel 2009, a un’azione comune con altri villaggi e al Comitato di Coordinamento della Resistenza Popolare. Abbiamo deciso di alzare il tiro della nostra azione: oltre alle proteste di ogni venerdì davanti al muro, ci siamo occupati degli arrestati, degli uccisi e delle loro famiglie e abbiamo organizzato dei seminari sui diritti umani per la popolazione. La nostra attività va dal boicottaggio dei prodotti israeliani all’occupazione delle strade che collegano le colonie. È così che è nato il progetto Bab Al Shams* (*la Porta del Sole, ndr)”.
Dopo il voto di riconoscimento della Palestina come stato osservatore alle Nazioni Unite, Netanyahu ha comunicato di voler costruire nuove colonie nella zona E1 a Est di Gerusalemme; insediamenti che – di fatto – spaccherebbero in due la Cisgiordania. In risposta all’annuncio del Governo israeliano, il Comitato ha dato il via a una nuova operazione di resistenza e protesta incentrata sulla “costruzione preventiva” di villaggi palestinesinelle zone destinate a nuove colonie.
Bab Al Shams è stato, il 12 gennaio scorso, il primo capitolo di questo progetto, simbolo di una lotta nuova, alta, pacifica. Circa 300 attivisti palestinesi e internazionali, coordinati dal Comitato, hanno lavorato alla costruzione di 24 tende da campo, costruendo il villaggio in sole 4 ore:
“Si è trattato di un’azione molto difficile da gestire. Dovevamo superare numerosi posti di polizia e un grosso insediamento di coloni: avevamo bisogno di un piano segreto e di sviare l’attenzione dell’esercito.
Abbiamo lavorato per un mese giorno e notte per procurarci il materiale necessario e coordinare tutte le parti coinvolte: organizzazioni, partiti, attivisti palestinesi e internazionali.
Il giorno dell’azione ha iniziato a nevicare, perciò abbiamo dovuto rivedere i nostri piani e, la notte del 12 gennaio, siamo partiti con 300 attivisti da Ramallah verso il luogo prescelto per la nostra azione.
In 4 ore abbiamo così costruito un villaggio di tende, mentre i nostri legali inoltravano un appello alla Corte per evitare la distruzione immediata di Bab Al Shams.
Appena i soldati israeliani hanno saputo del progetto hanno assediato il villaggio. La prima evacuazione è stata violenta, ma eravamo determinati a riprenderci la Porta del Sole e, con uno stratagemma, siamo riusciti a rientrare nella zona del villaggio e a issare nuovamente la nostra bandiera. A quel punto, tuttavia, nonostante la corte ci avesse dato il permesso di mantenere le tende per 6 giorni, i soldati hanno distrutto completamente Bab Al Shams.”
16 persone hanno riportato gravi contusioni durante lo sgombero e Bab Al Shams è stato completamente distrutto. La protesta dei comitati, tuttavia, non è cessata e da gennaio altri villaggi sono nati in zone destinate a nuove colonie israeliane. Tutti regolarmente distrutti, assediati, attaccati dai soldati. I villaggi costruiti dai comitati nascono con un destino già segnato, ma il popolo palestinese non rinuncia a portarli alla luce, in un’escalation di azioni e nuove fondazioni.
“Tra noi, che costruiamo villaggi per riappropriarci della nostra terra e i coloni israeliani c’è una sostanziale differenza” ci ricorda Abdallah “i nostri sono villaggi palestinesi costruiti sul territorio palestinese. Le colonie sono insediamenti nati dalla confisca coatta delle nostre terre. Nulla cambierà con le nuove elezioni, nonostante Netanyahu non abbia ottenuto la maggioranza che si aspettava. Non per questo, tuttavia, rinunciamo a lottare e a sognare un futuro diverso per la Palestina tutta”.
Di Ilaria Brusadelli e Marco Besana – ¡NO MÁS! www.lavocedinomas.org
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